Cronaca

Dalle prime luci dell’alba, 200 Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo e del R.O.S., al termine di una complessa attività d’indagine coordinata dalla locale D.D.A. (Procuratore Aggiunto dott. Leonardo AGUECI e Sostituti Procuratori dott.ssa Francesca MAZZOCCO e dott.ssa Caterina MALAGOLI), sono impegnati nell’esecuzione di una trentina di provvedimenti restrittivi nei confronti di soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni, rapine, detenzione illecita di armi da fuoco, scambio elettorale politico mafioso e traffico internazionale di stupefacenti.

In cima alla lista dei fermati c'è Gino Di Salvo, considerato il nuovo reggente del mandamento di Bagheria. Una vecchia conoscenza delle forze dell'ordine visto che avrebbe ottenuto i gradi di capo dopo avere finito di scontare una condanna per mafia. Il suo delfino sarebbe Sergio Flamia, anche lui già finito in manette nei giorni del blitz Perseo del 2008. Allora gli veniva contestato il solo favoreggiamento per avere messo a disposizione un suo immobile per ospitare i summit dei boss di Bagheria. Successivamente, sarebbe diventato il cassiere del clan.

Altro nome “importante” è quello di Salvatore Lauricella, figlio di Antonino, lo scintillone, il boss della Kalsa arrestato dopo un periodo di latitanza.

Lauricella jr sarebbe entrato in contatto con il clan bagherese, cheormai  comprende le famiglie mafiose di Villabate, Ficarazzi e Altavilla Milicia, grazie alla sua amicizia con Antonino Zarcone, braccio destro di Antonino Messicati Vitale scovato a Bali dove stava trascorrendo, anche lui, una latitanza dorata.

Completamente disarticolato il mandamento mafioso di Bagheria, storica roccaforte di cosa nostra. Oltre a pericolosi e temuti esponenti della consorteria mafiosa, sono stati arrestati anche il reggente e il cassiere del mandamento, nonché i capi delle famiglie mafiose di Villabate, Ficarazzi e Altavilla Milicia.

Le investigazioni hanno dimostrato come il sodalizio fosse organizzato secondo il tradizionale assetto verticistico proprio delle più antiche consorterie mafiose, riprendendone addirittura i rituali di affiliazione: la punciuta e la presentazione dei nuovi affiliati ai mafiosi più anziani.

In un’intercettazione ambientale, un uomo d’onore, discutendo con un sodale, paragona le nuove leve a giovani cavalli da trotto, da addestrare - se necessario - anche ricorrendo alle maniere forti: “quando vedi che nella salita fanno le bizze...piglia e colpisci con il frustino....sulle gambe...che loro il trotto non lo interrompono...purtroppo i cavalli giovani così sono”.

Le indagini hanno inoltre messo in luce una mafia ancora aggressiva e sempre più camaleontica, pronta a mutare gli assetti organizzativi (in tal senso, il passaggio della famiglia mafiosa di Villabate dal mandamento di Misilmeri a quello di Bagheria).

Una mafia che, se da una parte continua a vedere nell’imposizione del pizzo la manifestazione più visibile della sua autorità sul territorio, dall’altra è ben consapevole che, complice anche la crisi economica, è più che mai necessario ricorrere ad altre fonti illecite di guadagno, come, ad esempio, la gestione del gioco d’azzardo.

Le attività hanno anche consentito di rilevare la perdurante capacità della consorteria di condizionare le dinamiche politico-elettorali locali. E’ stato accertato, infatti, un patto tra alcuni mafiosi di Bagheria e un candidato alle scorse elezioni amministrative regionali avente per oggetto la promessa di voti in cambio di danaro.

Le acquisizioni raccolte hanno permesso di delineare un archetipo del fenomeno mafioso che, mediante l’intervento su istituzioni, pubblica amministrazione ed imprenditoria, opera per trarre profitti e vantaggi illeciti e che è anche capace di mettere a frutto gli utili conseguiti, riciclandoli abilmente in remunerativi investimenti intestati a prestanome compiacenti.

E’ stato pertanto sottratto alla disponibilità di cosa nostra, in quanto sottoposto a sequestro, un ingente patrimonio costituito da beni mobili, immobili e complessi aziendali costituiti da locali notturni della movida palermitana, agenzie di scommesse, imprese edili, supermercati, per un valore complessivo di circa trenta milioni di euro.

Le indagini hanno infine consentito di accertare, con la collaborazione della Royal Canadian Mounted Police, l’esistenza di un raccordo operativo nel settore degli stupefacenti tra cosa nostra bagherese e la famiglia mafiosa italo-canadese dei Rizzuto, documentando, inoltre, la situazione di instabilità interna alle organizzazioni canadesi, degenerata negli ultimi anni in numerosi omicidi. 

I bagheresi erano in affari con il clan dei Rizzuto, il cui ambasciatore in Sicilia era Juan Ramon Fernandez. Era stato espulso dal Canada un anno fa e si era trasferito a vivere a Bagheria. Da oggi e' latitante.

Infine, l'inchiesta svelerebbe i retroscena della scomparsa di Carmelo Bartolone. Alcuni mesi fa ha violato l'obbligo di soggiorno per andare chissà dove. Aveva finito di scontare una condanna a sette anni e mezzo. Faceva parte dello scacchiere di uomini a disposizione di Bernardo Provenzano. Una volta libero ha deciso lasciare la Sicilia. Secondo gli investigatori, avrebbe capito che rischiava di finire ammazzato. Nel nuovo scacchiere non c'era più posto per uno come lui a cui, forse, veniva contestata la cattiva gestione del denaro della famiglia mafiosa. 

durante la mattinata gli aggiornamenti con i nomi dei fermati e le foto

nella foto di copertina Maggiore Francesco Tocci, comandante della Compagnia dei CC di Bagheria

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Non c'è traccia di Salvatore Coletta, 15 anni, e dell'amico Mariano Farina, di 12, spariti il 31 marzo 1992 a Casteldaccia: le ricerche che, su mandato dei pubblici ministeri Francesca Mazzocco e Marzia Sabella, erano state effettuate un  ventina di giorni fa sulle ville di contrada Celso sul lungomare di  Casteldaccia, allorchè Carabinieri, Vigili del fuoco , Sommozzatori avevano scandagliato pozzi, cisterne, serbatoi, e piscine in disuso, alla ricerca di qualche traccia utile che potesse disvelare il mistero dei due ragazzini di Casteldaccia, non hanno sortito alcun risultato.

E' probabile che con questi adempimenti infruttuosi su questa storia cada per sempre il silenzio, a meno che, qualche clamorosa e veritiera rivelazione, getti un fascio di vera luce su un episodio ormai consegnato come una delle peggiori pagine della storia della criminalità del nostro territorio. 

In fondo era quello che aveva desiderato la mamma di Salvatore Colletta “Spero che non trovino nulla; voglio continuare a sperare che mio figlio sia ancora vivo.", aveva detto Carmela La Spina, che non ha mai smesso di sperare che un giorno il proprio figlio possa ritornare.

Negli anni '80 alcune di quelle ville erano state abitate da boss della mafia palermitana. Un pentito ha raccontato che nelle residenze di Masino Spadaro, Michele Greco e Filippo Marchese, all'inizio degli anni Novanta, si svolgevano summit alla presenza di Bernardo Provenzano.

In quegli anni killers e rampolli di cosa nostra nella striscia di territorio tra il fiume Milicia e il fiume Eluterio facevano il bello e il cattivo tempo.

In quella zona del Celso accompagnati in motorino da un amichetto erano stati visti per l'ultima volta Salvatore e Mariano.

L'ipotesi che ebbe più credito nell' immediato occorso del teribile fatto fu che i ragazzini avessero  visto cose o persone che non avrebbero dovuto vedere, o, cosa ancora più probabile avessero sottratto, magari per gioco, qualcosa che si trovava o sulla spiaggia o nelle  ville di qualche boss che si era vendicato in maniera spietata dell'intrusione e della mancanza di rispetto di quei due ragazzini.

Oltre che l'insistenza dei genitori di Colletta e del loro avvocato, era stata la dichiarazione di una donna già vicina ad un uomo che frequentava ambienti mafiosi.che avrebbe fatto riaprire questo capitolo delle indagini.

In un primo momento si era cercato anche in territorio di Bagheria, su un muro di cemento a ridosso di una strada, ma anche in questo caso niente che potesse offrire anche il benchè minimo appiglio che potesse fare riavviare le indagini in una direzione precisa.

 


 

Un' indagine avviata nei mesi scorsi orientata a localizzare Vincenzo Cappello, 34enne, originario di via Ponte Parco, a cavallo tra i comuni di Monreale ed Altofonte, aveva consentito ai militari di stringere il cerchio attorno al pluripregiudicato, gravato già dallo scorso gennaio da un ordine di esecuzione per un cumulo di pene ammontante nel complesso a 3 anni di reclusione e più di 2000 euro di multa per furti aggravati ed altri reati.

Il giovane, peraltro tossicodipendente, si era sottratto alle ricerche, preferendo darsi alla macchia piuttosto che affrontare il carcere. L’episodio non è nuovo: già il 31 ottobre 2011, a conclusione di un’operazione analoga, i militari lo avevano raggiunto e bloccato sul corso principale di Balestrate mentre era fermo all’interno di un bar. Dopo un breve periodo di reclusione era stato rilasciato grazie all’indulto, tornando alle abitudini di sempre e finendo vittima di ulteriori condanne.

Questa volta però Cappello aveva completamente cambiato zona, preferendo sistemarsi al centro di Bagheria, abbastanza vicino comunque all’abitazione materna di Altofonte ove poteva ricevere sostegno logistico ed appoggio economico, ed aveva anche irrobustito le cautele per evitare di essere individuato, cambiando scheda sim al proprio telefonino di frequente ed utilizzandone sempre di intestate ad utenti fittizi, impiegando vetture insospettabili, di cui l’ultima intestata ad una ragazza, probabilmente legata a lui da un rapporto ancora da chiarire.

altPeraltro durante la latitanza, armato di pistola, aveva tentato di rapinare due donne nella loro abitazione di via Corpo di Guardia, poi si era dato alla fuga: determinante il contributo della più giovane delle vittime che, collaborando con le forze dell’ordine, ha consentito di riconoscere nel catturando l’autore del reato, così consentendo l’emanazione di un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere da parte del GIP presso il Tribunale di Palermo che lo ha individuato quale colpevole anche di questo ulterirore misfatto.

Nel tardo mattino del 3 maggio i militari lo hanno poi definitivamente localizzato in un parcheggio di un noto locale per ricevimenti in via Circonvallazione ove era impiegata peraltro la moglie del fratello, anch’egli detenuto.

All’intimazione dell’alt da parte di una pattuglia inviata a verificare la sua presenza il Cappello, alla guida di una Panda, ha immediato innestato la marcia, tentando di investire i militari che ne sono usciti, fortunatamente, con solo lievi ferite, poi si è dato ad una rocambalesca fuga facendo perdere le proprie tracce, nonostante si fosse alzato in volo anche un elicottero dell’Elinucleo di Boccadifalco per individuarlo. (elicottero segnalato nei giorni scorsi sopra il cielo di Bagheria ndr)

Ritenendo certo che si fosse andato a rifugiare nel suo nascondiglio, un’abitazione in via Carà 24 di Bagheria, le operazioni per circondarlo sono scattate subito con l’immediato, compatto ausilio dei Carabinieri di Bagheria.

In poco tempo la zona è stata cinturata ed isolata, poi l’irruzione nella palazzina a tre piani: Cappello si era rifugiato sul terrazzo all’ultimo piano nel disperato tentativo di sottrarsi ancora alla cattura. Nella perquisizione successiva è stato trovato in possesso di un coltello a serramanico e, nascosta sotto un tappettino della Panda che aveva impiegato per la fuga, di una pistola a salve modificata per camerare il calibro 7,65 con 3 proiettili.

Cappello ha dunque terminato la sua latitanza nelle camere di sicurezza della caserma di Monreale, dalle quali è stato poi tradotto all’Ucciardone: oltre ai provvedimenti da cui era già gravato vanno ora ad assomarsi i reati derivanti dalla sua condotta durante la fuga, dalla resistenza a pubblico ufficiale alle lesioni fino al porto illegale di arma da fuoco alterata e clandestina.

ufficio stampa provinciale Carabinieri

E’ stato da poco catturato dai Carabinieri della Compagnia di Bagheria, il quarto componente della banda di rapinatori seriali, RANDAZZO Antonino nato a Palermo, cl. 1993, nullafacente, incensurato; abitante in Ficarazzi (PA), Comune alle porte di Palermo.

Il giovane, che dalle prime ore dell’alba di ieri era riuscito a sfuggire alla cattura, poiché non presente al momento dell’irruzione nell’abitazione residenziale, sicuramente braccato dai Carabinieri e stanco che gli investigatori non mollavano e gli erano col fiato sul collo, si è dovuto arrendere ai militari che lo stavano arrestando. Anche per quest’ultimo componente della banda, si sono aperte le porte della Casa Circondariale “Ucciardone” di Palermo.

Alle prime luci dell’alba, di ieri, i Carabinieri della Compagnia di Bagheria e gli Agenti della V Sezione della Squadra Mobile della Questura di Palermo avevano dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP Dr. Giovanni Francolini presso il Tribunale di Palermo, richiesta dai Pm Dr.ssa Amelia Luise e Dr. Luca Battinieri, nei confronti di quattro giovani palermitani.

Gli arrestati sono stati ritenuti responsabili di avere commesso una serie di rapine, dieci in tutto, in un brevissimo lasso di tempo, compreso tra marzo e luglio 2012, in Palermo, Bagheria, Ficarazzi e Bolognetta, in danno di istituti di credito, uffici postali, supermercati e gioiellerie, talvolta con modalità violente. Inoltre, i malviventi si sono spesso avvalsi di un minore, denunciato a piede libero, per realizzare le rapine.

Il provvedimento restrittivo scaturisce dalle risultanze di una complessa attività investigativa, che ha visto impegnati per sei mesi gli Agenti della sezione Antirapine della Squadra Mobile della Questura di Palermo e i Carabinieri della Stazione di Ficarazzi.

Gli Investigatori hanno concentrato la loro attenzione sul modus operandi delle rapine, che nello specifico agivano nei luoghi presi di mira a viso scoperto, seguendo sempre lo stesso iter criminoso, ossia uno dei rapinatori scavalcava il bancone e minacciava verbalmente il dipendente al fine di prelevare il contante presente, mentre gli altri complici, restavano in ausilio, avendo cura di monitorare quanto accadesse attorno e di mantenere aperta la porta automatizzata.

Determinante ai fini delle indagini si è rivelato l’esame dei filmati estrapolati dai sistemi di video-sorveglianza degli esercizi commerciali rapinati, che gli investigatori hanno posto a confronto con le immagini pubblicate dai giovani rapinatori sui propri profili del social network “facebook”.

altCiò ha consentito di individuare la gang di giovanissimi malviventi, alcuni dei quali legati da uno stretto rapporto di amicizia, dediti in forma seriale ed esclusiva alla commissione di rapine, quale mezzo di mantenimento di un dispendioso tenore di vita e del loro essere “trendy”.

I servizi di pedinamento condotti nel corso delle investigazioni hanno accertato infatti che i rapinatori frequentavano locali alla moda della movida palermitana, indossando abiti griffati, abbigliamento del quale non si privavano neanche in occasione della perpetrazione delle rapine, si muovevano alla guida di costose motociclette BMW e di scooter di grossa cilindrata.

Uno degli elementi che ha inchiodato, difatti, “uno degli amici di rapina” è stato proprio il suo “bomber” very cool, ovvero il giubbino colorato, indossato dallo stesso nell’ambito di più rapine ed individuato nei fotogrammi estrapolati dagli impianti di video sorveglianza e rinvenuto nell’ambito di una perquisizione.

Peraltro proprio nel corso di una perquisizione domiciliare a casa del RANDAZZO, effettuata dai militari dell’ Arma, finalizzata al rinvenimento degli abiti indossati durante le rapine, il giovane si lamentò rappresentando di avere gravi problemi di salute, per le lesioni riportate a seguito di un grave incidente stradale, che lo limitavano nella capacità di movimento.

In realtà i video acquisiti restituiscono una realtà diametralmente opposta: RANDAZZO appare agile, deciso e dinamico nella realizzazione dei colpi.

I giovani, tutti originari dello “Sperone”, nel quartiere Brancaccio, avevano individuato nel centro storico di Palermo, zona via Libertà e dunque il salotto-bene della città, e nella periferia est del capoluogo, le aree predilette per la commissione delle rapine, anche in virtù delle numerose vie di fuga esistenti, forti delle presunzione di non poter essere riconosciuti, motivo per il quale si muovevano a volto scoperto.

Il provento totale delle rapine commesse ammonta alla somma complessiva di 50 mila euro circa.

Questo l’elenco completo degli arrestati:

1. CUCINA Marco nato a Palermo, cl. 94, nullafacente, incensurato;

2. RANDAZZO Antonino nato a Palermo, cl. 93, nullafacente, incensurato;

3. D’AGOSTINO Alessio nato a Mazara Del Vallo, cl. 93, nullafacente, pregiudicato;

4. ALFANO Marco Giuseppe nato a Palermo, cl. 90, nullafacente, pregiudicato.

nella foto Randazzo Antonino

Palermo, 04 maggio 2013

 

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