La stola e il grembiule, padre Stabile presbitero da cinquanta anni

La stola e il grembiule, padre Stabile presbitero da cinquanta anni

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Per entrare nella “Casa” della nostra comunità parrocchiale di san Giovanni Bosco non si salgono scalinate come nelle più belle chiese barocche, né si viene accolti da un ampio sagrato, ma una grande statua bianca del Cristo risorto invita a scenderle le scale e ci si ritrova dentro la sala della preghiera, semplice, sobria e accogliente, ad immagine dell’ anziano della comunità, della guida, del presbitero, cioè secondo lo stile di don Francesco Michele

Il nostro parroco non porta segni distintivi del suo presbiterato, non indossa tonache nere, né collari, eppure dai suoi occhi, dal movimento delle sue mani, dal suo sguardo attento, dal suo sorriso naturale e non di facciata, emerge tutta la ricchezza e la grazia del sacramento che ha ricevuto cinquanta anni fa.

Un prete con la stola e il grembiule. Una chiamata a seguire il Vangelo, a fidarsi della Sua Parola, a spezzare il pane, quello eucaristico e quello della condivisione, a vivere nella chiesa, anzi ad essere chiesa, comunità che accoglie e perdona, che prega e spezza il pane con i poveri. 

La nostra comunità celebra questa “chiamata” e vuole ringraziare Dio per averci affidato Don Francesco, per averlo posto a guida della nostra comunità, per la sua semplice e delicata presenza, per la sua voglia e desiderio di far crescere una comunità come famiglia di credenti che vivono nel territorio, che amano la città in cui vivono e che contribuiscono a migliorarla.

Con lui vogliamo continuare a camminare, a pregare, a renderci sempre più testimoni di Resurrezione, perché questa è la sintesi dei suoi cinquanta anni di sacerdozio, essere sempre testimoni del Cristo risorto, vivere nella gioia perché si è certi che ogni condizione di morte può essere superata dall’Amore che ci invita ad impegnarci, ad alzare la testa e fissare lo sguardo a ciò che accade attorno a noi senza mai sentirci dispensati nell’agire per il bene della collettività. 

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Nella nostra casa della comunità oltre al crocifisso e alla lampada sempre accesa davanti al tabernacolo e un’icona con il sepolcro vuoto, si trovano le immagini di Don Bosco, a cui la chiesa è dedicata, educatore e “santo dei giovani”, la foto di Papa Giovanni XXIII che ha voluto il Concilio Vaticano II, apertosi proprio cinquant’anni fa, nel 1962, qualche mese dopo l’ordinazione presbiterale di don Francesco, ricevuta il 7 luglio di quell’anno dal cardinale Ernesto Ruffini. Ma su tutte - sono presenti le foto del vescovo Romeo e del papa Benedetto XVI - emerge una foto posta davanti la porta del suo ufficio parrocchiale, quella di Don Pino Puglisi, a cui tutti guardano trovandosi spesso ad aspettare o approssimandosi ad entrare nell’ufficio. 

Forse il regalo più bello per il nostro parroco (ma soprattutto per tutta la chiesa universale), nostro anziano e amico, per il nostro fratello e concittadino è stato il riconoscimento del Martirio di don Pino Puglisi, martire ucciso in odio alla fede cristiana dai mafiosi. Abbiamo visto la sua emozione, la sua commozione, ma come comunità abbiamo anche vissuto il suo impegno per il riconoscimento del martiro mediante lo studio delle carte, la raccolta delle testimonianze, gli interventi e la preghiera durante le omelie, gli incontri con i giovani e con i bambini. 

Caro don Francesco, sappiamo benissimo che non ami ringraziamenti personali, ma pubblicamente, voglio sintetizzare le emozioni dei giovani e dei bambini, degli anziani e delle famiglie, delle associazioni e dei movimenti che vivificano nella nostra comunità, dicendoti semplicemente… ti vogliamo bene.

                                                                                                                            Emanuele Tornatore