L'agricoltura italiana vive una nuova primavera, i bagheresi la sentono? Il quotidiano la Repubblica di non molti giorni fa, riportava una notizia
Esistono italiani che non si accontentano più di mettersi assieme ad altri per acquistare pomodori, olive o salumi e formaggi direttamente da chi li produce (Gruppo d'Acquisto Solidale - G.A.S.), pagando un prezzo "giusto" direttamente al contadino.
Si è passati a investire in una "fabbrica" di ambiente: una terra che produce in modo naturale, recupera i sapori dimenticati e offre la possibilità di un ritorno al lavoro a tempo pieno, risollevando (almeno questo è il tentativo) l'economia familiare.
Da quest'articolo giornalistico, dopo un'attenta e qualificata riflessione, si potrebbe forse dire che il nostro dna contadino non ne vuol sapere di essere cancellato e tenta, in tutti i modi, di trovare una via di ritorno alla terra nelle forme più varie.
Non è utopistico, anche se molti a Bagheria lo pensano e lo dicono, sostenere che si dovrebbe tornare a essere contadini. E' un'opzione di grande civiltà, neanche tanto difficile da mettere in pratica, perché si può partire da una semplice scelta alimentare - mangiare è un atto agricolo - passando per il cimento dell'orto, fino a veri e propri investimenti economici.
I G.A.S., le Community Supported Agricolture degli USA e adesso anche i G.A.T., sono tutte diverse declinazioni che mirano a sostenere le aziende agricole in cambio di prodotti sani per migliorare e tutelare sia la nostra dieta sia le nostre "tasche", senza pregiudicare la qualità del cibo acquistato.
Così si ricostruisce un rapporto e un'empatia col mondo rurale che non è balzano immaginare possa poi sfociare in cambiamenti di vita.
L'opzione di un ritorno concreto alla campagna, a sporcarsi le mani, è certo quella più impegnativa - visto l'errata interpretazione del retaggio storico-culturale bagherese - ma come tutte le cose più difficili, è in grado di regalare grandi soddisfazioni (anche economiche).
Ragionare su questi argomenti, apparentemente lontanissimi dalla nostra realtà bagherese, sembra utopistico, un'occasione per tentare di dare un apparente slancio di crescita, ma necessario per salvare dalla cementificazione le piccole porzioni di terreno che ancora abbiamo, per conservare almeno una traccia del nostro antico paesaggio, per produrre in maniera sana e creare nuove opportunità di lavoro in un momento storico-sociale in forte e non momentanea (purtroppo) crisi.
La politica deve prestare attenzione, dedicarsi più di quanto si sia fatto nell'ultimo ventennio, al primo settore economico-produttivo, quello dell'agricoltura, cosicché i tanti volenterosi ritorni alla terra non creino solo piccole oasi in un deserto umano, culturale ed economico.
Per tornare alla terra non è sufficiente volerlo con ogni migliore intenzione: bisogna essere preparati, si dovrebbe essere aiutati da incentivi e agevolazioni che o non ci sono o restano bloccati negli uffici preposti.
La burocrazia spesso mette i bastoni tra le ruote e non è corretto che un giovane si debba necessariamente isolare dal mondo se sceglie di tornare in campagna: senza banda larga, senza servizi, senza scuola.
Ogni forma di avvicinamento alla terra è benvenuta e bisogna sempre invogliare, in qualche modo, tutti a diventare contadini ma, come dice Ermanno Olmi, prima di tutto dovremmo tornare a essere "ortolani di civiltà": il senso civico prima di tutto, come LaboratorioB suggerisce da qualche tempo.
Angelo Puleo