Abbiamo più di un motivo per intervenire nella polemica innescata da una lettera e da un comunicato delle fazioni del PD, al periodico on line 90011.it, che, assieme ad altri periodici in rete, fra cui il nostro, è diventato
Il primo motivo è la solidarietà piena che sentiamo di dover manifestare non solo a Nino Fricano estensore della nota contestata, ma al direttore e a tutti i colleghi che lavorano in questo quotidiano, ai quali va la nostra attestazione di stima e di rispetto per la serietà e l'impegno con cui quotidianamente svolgono il loro lavoro.
Il secondo è perché il Partito democratico è il partito al quale vanno, malgrado tutto, le nostre simpatie politiche ed è quello per il quale abbiamo con coerenza votato sin dal lontano 1967, considerandolo l'erede della migliore tradizione delle componenti democratiche e popolari del P.C.I. e della D.C., e il tentativo coraggioso e generoso di coniugare i valori ispiratori di due tra le più ricche e partecipate esperienze politiche del dopoguerra, quella cattolica e quella comunista, per dare vita ad un moderno partito riformatore.
Ed è per questo che le vicende di questo partito più di altri ci vedono partecipi e ci coinvolgono.
Chi guida oggi questo partito, e non solo a Bagheria, dovrebbe ricordarsi, cosa che troppo spesso dimentica, di essere l'erede che deve rappresentare al meglio questo patrimonio di cultura, di passione politica, di sacrifici e di lotte.
Il terzo motivo è che paradossalmente è proprio dal P.D. in alcune sue espressioni, e più in generale dalla sinistra, che sono venuti a Bagheria da qualche anno a questa parte, gli attacchi alla stampa ed una sostanziale insofferenza per il ruolo della libera informazione.
Si cominciò circa tre anni fa allorchè le rimostranze dell'allora consigliere Antonio Passarello e di Mimmo Aiello, esternate al presidente del consiglio del tempo, Bartolo Di Salvo per alcuni articoli sulla carta stampata, provocarono una indebita ingerenza di quest'ultimo nel campo dell'informazione.
Non solo, ma si aprì in consiglio comunale un grottesco dibattito in cui una mezza dozzina di "giganti"della politica "maramaldeggiarono" contro gli assenti, premettendo per giustificare gli attacchi a chi fa informazione, sempre la solita giaculatoria: "Noi siamo naturalmente per la libertà di stampa".
E subito dopo giù a "picchiare", qualcuno, reo non solo di non pensarla come loro, ma addirittura di dirlo o di scriverlo. Senza alcun contraddittorio ovviamente.
Lascia perplessi che a polemizzare ed in certi casi ad attaccare l'informazione o singoli giornalisti responsabili solo di raccontare i fatti siano proprio esponenti di quei partiti che dovrebbero essere, come altrove sono, in prima fila nella difesa del legittimo diritto dei giornalisti ad informare e dei cittadini ad essere informati senza i condizionamenti che la politica, a Roma come a Bagheria, vorrebbe esercitare.
Più di recente è stato il consigliere di S.E.L Gino Castronovo ad accusare, con elementi di palese falsità, l'estensore di questa nota per un servizio televisivo sul corso Umberto chiuso alle auto, che avrebbe fatto trasparire, ahi, ahi ahi, l'opinione del giornalista.
Oggi è toccato a 90011 reo secondo il P.D. di resocontare in maniera inappropriata una vicenda politica, che solo gruppi dirigenti locali e regionali di entrambe le fazioni, hanno fatto diventare una caricaturale telenovela, se pensiamo all'ultimo anatema da caserma: "diffida chiunque dal definire segretario ecc.." intimato in un comunicato da una delle due fazioni.
E questo comportamento del Partito democratico in particolare, ci fa tanto ricordare quello della Democrazia cristiana degli anni sessanta e settanta: sempre pronta a sottoscrivere proclami e appelli quando si trattava di appoggiare la lotta di Cuba contro l'imperialismo, o di sostenere il Fronte di liberazione in Vietnam, ma altrettanto pronta a fare muro e ad opporsi quando si chiedeva una presa di posizione sulla democratizzazione del consorzio idroagricolo e sulla condanna del fenomeno mafioso a Bagheria.
Ecco, alcuni nostri amici del PD, sarebbero pronti a immolarsi per garantire la libertà di stampa nel Burkina Faso, farebbero marce e fiaccolate per garantire libertà di espressione agli esponenti del Fronte Polisario, farebbero fuoco e fiamme per il diritto alla libertà di informare di Santoro, Floris, Dandini e Travaglio, si trasformerebbero in uomini sandwich per fermare le leggi bavaglio di Berlusconi, ma non appena la libertà di stampa riguarda il cortile sotto casa, e si tratta di portare rispetto al lavoro e ai sacrifici degli operatori dell'informazione locale, allora, come diciamo in dialetto, "si rumpinu i ruoggi": perché secondo certuni politici, a Bagheria, la libertà di informazione coincide né più né meno che con la loro opinione.