La riflessione inviataci da Antonio Belvedere, assieme a squarci indimenticabili di Baarìa, ad esempio quando il padre di Peppino Torrenuova in punto di morte mormora: "La politica è bella", ci invitano a ragionare su quegli anni in cui la politica era veramente “bella”, e bella per tutti, perché fatta con sincerità e convinzione profonda. E’ vero: erano gli anni delle divisioni laceranti, delle contrapposizioni dure, dei pregiudizi, delle ideologie, delle intolleranze e dei settarismi, che tanti guasti provocavano; erano anni però in cui la politica era una fede per la quale non si guardava niente e nessuno.
E quella rottura che ai primi degli anni ’60 a Bagheria (mentre in Italia si formava il primo centro sinistra), si produsse all’interno della Democrazia Cristiana e del blocco sociale che la sosteneva, fu l’ultimo tentativo di andare oltre ai pregiudizi e di guardare ai problemi di una comunità, senza lasciarsi fuorviare dalle ideologie, e fu l’ultima opportunità che a Bagheria fu offerta di aggregare forze di storia e formazione culturale e politica diverse, dai cattolici democratici ai socialisti, ai comunisti riformisti.
E non è un caso che quel tentativo ebbe come protagonisti esponenti illuminati di una borghesia delle professioni che voleva fare di Bagheria una città moderna, e sapeva che questo progetto passava attraverso una alleanza con le forze della sinistra riformatrice.
Non è un caso che proprio all’estate del 1964 risale l’unico episodio della storia di Bagheria, in cui il Partito Comunista sia pure per soli tre mesi partecipa alla giunta a pieno titolo con propri assessori e con il sindaco, prof. Giuseppe Russo.
E uno dei risultati fu, come ricorda Antonio Belvedere, la commissione di indagini sulle manomissioni del territorio dei primi anni ’60.
Agli undici consiglieri del Partito Comunista di allora, si aggiunsero gli esponenti di una lista civica, che ebbe diversi professionisti. Erano il dott. Pietro Belvedere, il dr. Tommaso Di Leonardo, l’avv. Aurelio D’Amico, ed i giovani Nino Mineo, Antonio Gargano, Salvatore Lo Bue, e tanti altri i cui nomi in questo momento ci sfuggono.
Fu un periodo della storia politica locale che fu segnata da grandi slanci e da grandi ideali, e che andrebbe rivisitata e studiata.
Dopo, sul finire degli anni ’60 nella politica, nella società, nell’economia di allora, nel tessuto sociale e nel tessuto urbano, si innestarono fenomeni involutivi e di vera e propria degenerazione, che alla fine di una vera e propria scelta di non-governo, ci ha consegnato la Bagheria di oggi.
Una città in cui non esiste più alcuna realtà produttiva, segnata dall’abusivismo, ridotta a “dormitorio” della città di Palermo.
La battaglia di oggi è quella di renderla un “bel dormitorio”, o comunque una città dai servizi adeguati che sappia valorizzare al meglio il proprio patrimonio ambientale, architettonico, storico e culturale.
Ce la faremo? Ce la faranno? C’è solo da sperarlo.
Ci sia consentito in chiusura un ricordo personale del dr. Pietro Belvedere venuto a mancare orsono 20 anni.
Il dr. Pietro Belvedere, nella nostra vita lo abbiamo incrociato tante volte: fu, da pediatra, il primo medico della mia famiglia a cavallo degli anni ’50; lo ritrovai da piccolo chierichetto della Chiesa del Santo Sepolcro, presidente dell’Azione Cattolica; e mi colpivano i suoi gesti lenti, solenni, quasi ieratici allorchè ricevette diverse volte, il giovedì della settimana santa, in un simbolismo che credo oggi sia scomparso, le cosiddette “chiavi” della Chiesa, quasi ad esserne custode sino ai giorni dopo la Pasqua.
Era questo un privilegio, un onore, un riconoscimento che veniva concesso ai parrocchiani che si distinguevano per la loro moralità pubblica e privata, per il loro attaccamento alla fede, alla parrocchia e alla loro comunità.
Dopo la sua esperienza politica dei primi anni ‘60, che fu di rottura e di rinnovamento e della quale venni a conoscenza da adolescente che cominciava a informarsi di politica, lo ritrovai nella mia esperienza di lavoro dal 1975 in poi, quando con lo stesso tono riservato mi salutava chiamando me, che ero stato da lui curato da neonato, "dottore Gargano".
Perché dico queste cose? Per due motivi: il primo è perchè andrebbe operato un recupero di ricerca e memoria di figure di persone perbene, di galantuomini, di “civil servant” nella politica, nella scuola, nel lavoro e nella società, di cui Baarìa era ricca, che rischiano altrimenti di essere ingiustamente dimenticati, e poi perché di quest’uomo mi aveva sempre colpito oltre il rigore, il riserbo e l’austerità, quel velo quasi invisibile di una tristezza che lo accompagnava in ogni suo gesto, in ogni sua parola, in ogni suo comportamento, e del quale mi sono sempre chiesto il perché.
E solo ora ho capito.