Ottenebrati come siamo in questi giorni, nei cervelli e nelle narici, dalla inarrestabile invasione della nostra città da parte del Coinres (sì, perché mi pare proprio che il Coinres, insieme alla Regione Sicilia e alla sua infinita burocrazia clientelare,
Il 23 maggio scorso, a Palermo, in occasione delle manifestazioni in ricordo della strage di Capaci, un gruppo di insegnanti dei COBAS è stato denunciato per vilipendio alla Stato.
Cosa avranno fatto mai? ci si sarebbe chiesto se la notizia avesse avuto il meritato risalto.
È successo questo: alcuni insegnanti hanno portato in corteo uno striscione ‘storico’, risalente al 23 maggio 1994, quando fu srotolato davanti all’allora ministro della pubblica istruzione Rosa Russo Iervolino.
"La mafia ringrazia lo Stato per la morte della scuola". Questa la frase incriminata, che per 16 anni è stata uno slogan come altri – e che magari più di altri mette in stretta relazione la lotta per i diritti al lavoro con il problema delle libertà costituzionali concrete che i governi repubblicani sanno garantire al cittadino e con quello più complicato dell’affrancamento (im)possibile dalle mafie.
Un mese fa questa frase, improvvisamente, è stata sentita come una minaccia intollerabile alla nostra democrazia, un’occasione per la solita autistica esibizione di ‘fermezza’ da parte di uno Stato che non c’è anche quando si vede: e così, i tre insegnanti che sostenevano quello striscione si sono beccati una denuncia per l’infrazione all’art.290 del codice penale, cioè vilipendio delle istituzioni e delle forze armate.
Una sola domanda, ma a voce alta: che cosa è cambiato nella sensibilità democratica (sempre meno) diffusa se una cosa che per sedici anni passa inosservata ora viene percepita come pericolosamente sediziosa?
È possibile che in una città come Palermo, dove l’80% dei commercianti paga il pizzo, dove – come ricorda bene Franco lo Piparo – l’ex Dirigente dell’Amia, con un buco alle spalle da 150 milioni di euro, ci rappresenta (sic!) in senato dopo aver fatto scorpacciate di aragoste in giro per il terzo mondo, tre anonimi insegnanti, mentre ricordano il sacrificio di magistrati e servitori dello Stato che a tanti oggi sembrano dare fastidio (sempre più spesso si equiparano magistrati e giornalisti alla delinquenza pura…), possano ritrovarsi improvvisamente dalla parte del Male?
Ma come, proprio loro?
Quelli che il vilipendio lo subiscono quotidianamente (ad opera di veline e ministresse incompetenti fino al ridicolo), si mettono pure a perpetrarlo?
È opportuno chiedersi: si tratta di cambiamenti superficiali, che in nulla incideranno nella natura profonda dell’antropologia siciliana (secondo la vulgata attribuita al buon Tomasi di Lampedusa) o fatti come questo – e come la sostanziale impunità, giudiziaria e politica, dei responsabili del Coinres e dell’Amia – sono il segno di uno smottamento verso un cambiamento radicale e irreversibile che ci condurrà a una situazione generale che, con sempre maggiori difficoltà, potremo dire democratica?
Secondo un’altra vulgata molto accreditata quando, a livello politico, qualcosa di importante si rivolta in Sicilia, presto quei rivolgimenti non tarderanno a mostrare le loro conseguenze nella politica nazionale: e se fossero episodi come questi ‘ i rivolgimenti’ profondi, anziché la stiracchiata e balbettante sedizione del governo regionale contro la politica leghista nazionale?
Se la Sicilia fosse il palcoscenico dove si sta provando a imporre uno strano autoritarismo mediatico per cui nessuna autorità vede le montagne di spazzatura che ci sommergono – tantomeno Regione e Provincia di Palermo targate PDL - , nessuna autorità si preoccupa di rintracciare le responsabilità politiche e, ove ci fossero, penali di tali misfatti, e per uno striscione sulla mafia, invece, un cittadino qualunque, nell’ambito di una manifestazione organizzata puntualmente da sedici anni a questa parte, può finire sotto inchiesta?
Insomma, stanno tornando i tempi delle indagini sopra i cittadini al di sopra di ogni sospetto?
Già, perché quelli al di sotto di ogni sospetto di certo non smaniano per indagare su se stessi: mica sono Pasquale, loro!
Maurizio Padovano