Cati chini ri acqua iccati 'nta strata - di Movimento Senza Potere

Cati chini ri acqua iccati 'nta strata - di Movimento Senza Potere

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12 dicembre 2016 ore 10:45. Mentre transitiamo lungo una strada nota e trafficata di Bagheria una donna, con fare serafico e rituale, lancia l'acqua sporca dell'ultima "passata ri cannavazzu", dal balcone del suo primo piano verso la porzione di strada antistante. La scena si immobilizza nella nostra mente quasi fosse una fotografia. I colori si trasformano in scale di grigio e il nastro della memoria si riavvolge velocemente per riportarci nello stesso luogo dove troviamo le risposte ai nostri interrogativi.

Volendo ritornare a una Bagheria in bianco e nero non troppo lontana possiamo raccontare il luogo dell'appartenenza che si è velocemente trasformato nel luogo dell'indifferenza: la strada.
Quando le nostre case erano abitazioni umili ed essenziali, e il mulo divideva con noi lo spazio e l'aria, le strade polverose e irregolari erano il luogo dell'incontro e della vita sociale, la lavanderia condivisa, il punto di partenza e il punto d'attesa su di una sedia impagliata lacera e “camuluta”, il parco divertimento di ogni bambino che col niente costruiva il tutto, il passaggio lento di carretti e animali, l'armoniosa stanza-soggiorno per un pasto povero ma condiviso, la prima chat a corto raggio. Quelle strade avevano un profondo valore ancestrale e rivestivano un ruolo focale per una comunità che dava significati importanti e valoriali a ogni cosa. L'acqua faticosamente riempita alla fontana serviva a bere, a lavare i panni nei tini, a detergere i corpi affaticati da una giornata di lavoro, e solo come ultimo atto la si gettava lungo le strade per "abbacare" la polvere e mantenere compatto il suolo aggredito dal sole, e soprattutto per pulire quello che era lo "strapuntino della casa". Era una sana abitudine per fare di necessità virtù in un tempo in cui il sistema idrico e fognario pubblico era in progettazione.

Strada strapuntino della casa 1968 Foto di Mimmo Pintacuda Fratelli Alinari S.p.A. Tutti i diritti riservati 1Fu un lampo e tra "scafazzu" e abusivismo indotto, Bagheria da parco di ville settecentesche e giardini di limoni si trasformò in colate di cemento schizofrenico tra reticoli di strade non asfaltate e disordinate. E mentre si assaporava la conquista di considerevoli metri quadrati fatti di modernità, si continuavano a gettare secchi d'acqua lungo le strade per contenere la polvere del boom automobilistico. Nonostante il cambiamento fu molto repentino le strade continuarono, ancora per un po', a rimanere un'estensione della propria casa, strade che si caratterizzavano per la nebbia delle "tannure", le pallonate alle saracinesche dei magazzini, incolonnamenti di "maiddi" per l'estratto, la prima chat a medio raggio.

Ma fu un trapasso veloce perché l'asfalto, come una lava incontenibile, giunse per preparare le strade del cambiamento. Ma a ricoprirsi fu pure la memoria di un popolo che si limita oggi a percorrere le strade per velocizzare la propria mobilità. Sintomatico il trauma subito dai nostri nonni, quasi avessero subìto la recisione del cordone ombelicale in piena gestazione. Non era infatti inusuale, e ancora oggi ne rimane qualche flebile traccia, vedere anziani "stricare" l'asfalto davanti l'uscio di casa o intenti a educare i propri nipoti a farlo. È un gesto sicuramente inconscio ma che esprime benissimo il dramma per il furto subìto, un gesto quasi religioso per dare decoro all'altare della memoria, un gesto ricco di emotività quasi si volesse chiedere perdono del divorzio.

E oggi quale significato porta con sé un secchio di acqua sporca gettato freddamente per strada?
La strada è diventato il non luogo, un transito di indifferenza, lo spazio dove tutto è freddamente possibile. Gettare la cicca a terra, far volare la carta di caramella, lanciare un sacchetto dal finestrino, abbandonare un volantino, imbrattare un muro, lasciare a essiccare i bisogni dei nostri cani lungo i marciapiedi, sono gesti ricorrenti e che siamo riusciti a fare rientrare tra i confini della normalità, perdendo anche il più piccolo sussulto di indignazione.
La strada oggi è solo il segmento di una rete viaria che sicuramente ha velocizzato gli spostamenti ma ha anche ucciso l'appartenenza. Abbiamo perimetrato l'attenzione entro la nostra proprietà privata, tutto ciò che sta fuori non è di nostra competenza. Gettare l'acqua sporca in strada diventa allora un modo come un altro per manifestare la nostra indifferenza a tutto ciò che sta intorno, con l'aggravante di pretendere dalle istituzioni la cura del bene comune. Ma se il bene è comune la sua cura non è prerogativa di alcuni ma di tutti.
Affinché ogni cittadino si senta parte di una comunità le strade devono tornare a essere luogo dell'appartenenza. Maturare la consapevolezza di fare parte di un tutto è il cambiamento. Insomma, amare un territorio significa avere cura di ciò che non è mio ma è di tutti, quindi anche mio.

Movimento Senza Potere

Credits Foto: Strada, strapuntino della casa, 1968, - Foto di Mimmo Pintacuda © Fratelli Alinari S.p.A. - Tutti i diritti riservati