Pochi giorni fa un bell’editoriale di Ilvo Diamanti, sulle pagine del quotidiano La Repubblica, ci spiegava la stranezza di un fenomeno tutto italiano: la delusione che genera consenso (nel governo Berlusconi).
Non proveremo a discutere qui le ragioni mediatiche di questo fenomeno.
Vorremmo, invece, trasferire l’equazione generale di Diamanti su di un terreno particolare, e scivolosissimo: la scuola pubblica italiana. Il grembiulino obbligatorio sembra, con una strategia comunicativa fondata sull’amarcord, aver paralizzato ogni risposta seria e organizzata agli exploit della Gelmini: soprattutto è riuscito a spostare il merito della discussione dai 130mila posti di lavoro circa – che verrebbero meno nei prossimi anni – al com’era bello ai nostri tempi.
E ciò, insieme alle sparate sul ritorno al maestro unico, sembra aver generato consenso sulla riforma a cottimo (e del tutto a-progettuale) della Ministra. Nessuno infatti ci ha ancora spiegato il perché ci sia bisogno di tornare al maestro unico, e quali vantaggi didattici ne avrebbero i bambini italiani che cominceranno a frequentare le elementari dal 1° settembre 2009 (così come dall’essere bocciati per un solo 5, e non solo in condotta, in pagella: elementari e medie non prevedono l’esame di ‘riparazione settembrino'!).
Gli anacronismi ammantati dall’aura del Mulino bianco, a quanto pare, funzionano. In questo quadro, non possiamo non chiederci perché i 5mila esuberi di Alitalia siano stati elemento fondamentale della recente campagna elettorale, e un esubero 26 volte superiore a quello previsto per la compagnia di bandiera fatichi a lasciare il segno nella pubblica opinione? Che forse gli italiani si sono veramente convinti, sulle note della retorica brunettiana, che il taglio degli insegnanti riguardi soltanto fannulloni e somari?
Sanno gli italiani che decine di migliaia di precari della scuola sono tali perché da più di un decennio non si indicono concorsi? Sanno gli italiani che per le future guide turistiche non è previsto nessun ammortizzatore sociale, nessuna cassa integrazione? Sanno che lo stipendio di un pilota equivale a tre di un insegnante precario? Sanno i siciliani – il cui voto bulgaro li ha ormai candidati a fare da pretoriani a questo governo – che la Sicilia rischia di perdere, in tre anni, circa ottomila stipendi normali: che consentono, cioè, di sopravvivere a ottomila famiglie normali (quelle che mai vedranno un contratto di livello dirigenziale da ‘figlia o parente di primo grado’ di un assessore regionale)?
Dal silenzio generale – anche dei grandi sindacati, che si limitano finora ai comunicati stampa – si direbbe che, se mai gli italiani ne sono al corrente, non danno alcun valore alla questione: non avere più una scuola ‘di bandiera’ è evidentemente percepito come catastrofe minore, trascurabile. Ma tale catastrofe parte da lontano. E, in questo senso, le osservazioni di Augusto Cavadi, sempre su Repubblica di domenica scorsa, sul ruolo dei Dirigenti Scolastici meriterebbero ulteriori riflessioni.
Sono cresciuto e mi sono formato in una scuola in cui il Preside era il Coordinatore delle attività culturali e didattiche d’Istituto. Ho cominciato a lavorare, e lavoro ancora, in una scuola in cui i capi d’Istituto sono diventati Dirigenti/Manager. In questa differente definizione del ruolo si nasconde una politica di descolarizzazione di fatto della società italiana che ha radici antiche, riconducibili alla controrivoluzionaria ribellione delle elites in atto da tempo. Le agenzie formative alternative, di cui il burocratese di viale Trastevere gronda, hanno fatto il proprio corso: ed è stato facile, da venti anni a questa parte, ascrivere la scuola alla voce ‘Spese’ del Bilancio dello Stato, anziché alla voce ‘Investimenti’. Questo è quanto le agenzie formative mediatiche hanno fatto percepire agli italiani.
Gli insegnanti che hanno fatto nel frattempo? Al di là di qualche generica piattaforma sindacale, hanno adottato un atteggiamento Eduardiano: deve passare la nottata! Ed è passata, ma, al risveglio, ci siamo ritrovati la Gelmini a darci il buon giorno. La Gelmini la cui azione ministeriale – credo del tutto basata sulle veline di Tremonti – si fonda su un pregiudizio virtuale: quello secondo cui il mondo della scuola (e dell’Università) sarebbe una roccaforte della cultura di sinistra. E noi insegnanti, purtroppo, adesso ci accingiamo a scontare anche quest’ultima illusione di una Sinistra che non avendo un progetto chiaro e credibile per il paese, ha commesso l’errore di superbia di continuare a autorappresentarsi come area di riferimento politico del mondo scolastico. Così stiamo diventando l’obiettivo politico di una manovra economica.
La Gelmini e Tremonti sono forse convinti di star assestando un colpo da knock-down all’egemonia culturale dei loro avversari politici, e invece stanno dando fuoco a una delle tante polveriere sociali di cui il nostro paese abbonda. Anche perché l’egemonia, gramscianamente intesa, sta tutta da un’altra parte.
Qualche giorno fa Galli della Loggia, in un corsivo sul Corriere, puntando l’indice contro alcuni dati disastrosi della scuola pubblica italiana (le performances degli studenti delle ragioni del nord sarebbero, mediamente, più significative e in linea con gli standard europei rispetto a quelle degli studenti del sud), poneva le basi per leggere la situazione di crisi attuale come una nuova versione della eterna Questione Meridionale. È ragionevole liquidare la questione posta da Galli della Loggia alludendo al ‘leghismo’ antimeridionalista di tanti commentatori e analisti? Non sarebbe più opportuno interrogarsi sui danni che, da decenni, stiamo procurando al futuro dei nostri alunni e dei nostri figli?
La grande colpa di noi insegnanti – come categoria di lavoratori – è stata quella di non aver saputo fare autocritica, di non aver voluto ammettere che il sistema scuola, così come è, non ha futuro; di esserci accontentati di diventare travèt, rinunciando a ogni legittima pretesa di lavoro culturale. Ha ragione Cavadi nel chiedere un sussulto d’orgoglio – personale prima che di ‘corporazione’ – contro quei Dirigenti che trattano i docenti da sudditi: ma va ricordato che - come diceva Francesco Flora in un’epoca nemmeno tanta lontano, mettendo a fuoco mostri e vizi culturali che oggi sembrano risorti - la servitù, anche quando passiva, è sempre volontaria. Per chiedere coraggio, forse, è troppo tardi.
Ci siamo accontentati di volare come vola il tacchino. E, dunque, non c’è nulla di strano se contiamo molto meno dei piloti Alitalia.
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