I due non erano contadini - di Biagio Napoli

I due non erano contadini - di Biagio Napoli

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I due non erano contadini: uno era carabiniere in pensione e l’altro, invece, faceva l’architetto.

Per la raccolta delle olive si ritrovavano però insieme, ormai da qualche anno, in campagna come contadini. Non era stato sempre così, nelle cose c’è sempre un inizio, quella volta l’uomo a cui avevano affidato la raccolta delle olive venne a dire che ottocento chili raccolti avevano dato ottanta chili d’olio, a dieci avevano buttato, una faticaccia che non gli conveniva, non potevano dividere a metà, o due parti per chi raccoglieva e una per il padrone o niente.

Decisero niente perché le olive di quella contrada mai avevano buttato a dieci o davano minimo il quattordici e se erano mature anche il diciassette o il venti. Una volta anche il ventisette per cento, al frantoio l’olio non finiva di uscire, i bidoni si riempivano uno dopo l’altro. Quello era uno scaltro; se ne uscì dicendo che erano olive rifatte, al frantoio così avevano detto, dopo tutto quel bel tempo aveva piovuto, bisognava vedere quanta acqua era caduta, le olive da secche di acqua s’erano gonfiate, così avevano dato poco olio.

Olive rifatte. Perciò aveva ripetuto: “o due parti chi raccoglie e una parte il padrone o ecco qua le chiavi e non se ne parla più”. Si presero le chiavi perché le olive potevano essere rifatte e dare poco olio o quello poteva essere un ladro; si attrezzarono per finire la raccolta.
Quell’anno e negli anni a venire. Peraltro quella di raccogliere le olive è cosa di famiglia. I due erano cognati, l’architetto si prendeva qualche giorno di ferie, l’altro non ne aveva bisogno. Ogni anno, per tutti i santi, si ritrovavano insieme per la raccolta. Anche quell’anno.

Giunti al podere vi trovarono Giuseppe e Angelo Scirè, proprietari dell’uliveto al limite, ambedue ultraottantenni; anche loro avevano deciso di cominciare per il giorno di Ognissanti.

–Ci si vede una volta l’anno- disse il vecchio Giuseppe in risposta al saluto dei nuovi arrivati. Stava su una scala; sfilava con le mani le olive dei rami più alti lasciandole cadere su una rete che s’allargava almeno un metro per lato, oltre i rami più lunghi dell’albero. Anche Angelo era su una scala a pioli. Sulla rete c’erano già numerosi mucchi di olive.

–Ma voi siete arrivati prima- disse l’architetto. –Ne avete fatto di lavoro a quel che vedo. Voi fate all’antica...

-Certo siamo arrivati presto- disse Giuseppe Scirè. –Ma che noi facciamo all’antica...una volta, in campagna, s’arrivava cu scuru...cu scuru si mittieva manu e cu scuru si livava manu-

- E Angelo Scirè:-Si cuminciava cu lustru a luna e cu lustru a luna si finieva. S’addrumavanu i canni pi viriricci...che tempi-

E Giuseppe Scirè: Tempi tinti. Cu era patruni, era riccu. Ma tutti gli altri...picciriddru io, si java a cuogghiri alivi, ti sta mittiennu tutti nta sacchietta i passuluna? Chiddri ca un ti po’ manciari, ti sajvi? Così dicevano, questi erano i padroni-

Stettero un poco in silenzio poi uno dei fratelli riprese: - Ma ora la proprietà non vale più come una volta. Chi è proprietario è solo padrone di spendere senza ricavare nulla. A tierra a fa a casa, a casa tierra un ni fa. Chistu un si po’ diri cchiù!-

E l’altro:-Casa una pi stari e tierra quantu nni viri. Mancu chistu si po’ cchiù diri-

Non era passata che mezz’ora quando arrivarono la figlia e il genero di Giuseppe Scirè.

-V’arricampati a squagghiata ri l’acquazzina- disse il vecchio.
E suo fratello:-Alivi è mistieri ri cumpagnia, un’è mistieri ri sulità. Si avi a cumpagnia, cu cogghi alivi, si stanca cchiù picca-
La figlia e il genero di Giuseppe Scirè si misero a raccogliere le olive. Poi:-Ahi!- si lamentò il genero di Giuseppe Scirè. Lo videro che zoppicava e si massaggiava il fianco destro.
-Cosa è successo?-disse l’ex carabiniere .-Avete bisogno di un qualche aiuto? Si può fare qualcosa?-
-Sono scivolato- l’uomo disse. –Le mie scarpe da tennis non sono adatte per questa rete plastificata-
-Cariu longu longu- disse Giuseppe Scirè.
-Tisu comu a Nofriu ‘mPaliejmu!-
-Comu a Nofriu ‘ncarruozza-

Per un bel po’ se la presero col giovane. Prima lo criticarono perché fumava continuamente.

-A cuosa cchiù difficili a livarisi è a minna ra matri, eppuru... u picciriddru chianci, ma po’ sa scuojda... chistu u viziu ri fumari un su po’ livari- disse uno dei fratelli.
Poi lo criticarono perché si era scelto un alberello piccolo piccolo e da esso non s’allontanava.
-St’ajbulu alivi nni po’ aviri na burrittata, ma iddru è siempri ddrà; spirugghiamunni ca scurò!- disse Giuseppe Scirè.
-Squagghiò a cira!- disse Angelo Scirè.
-U manciari e biviri ‘ngrassa, u travagghiu rumpi l’uossa!- concluse Giuseppe Scirè.

Si fece mezzogiorno. I vecchi gridarono ai due cognati un buon appetito e un invito a mangiare con loro. Il carabiniere in pensione rispose che stavano al massimo fino alle due del pomeriggio; poi andavano a mangiare a casa. La figlia del vecchio Scirè chissà cosa aveva portato da mangiare. Disse però:

-Certo un bel piatto di tagghiarini cu sucu sarebbe un’altra cosa!”
Fu allora che l’ex carabiniere cominciò a scherzare e disse che, se si trattava di tagghiarini cu sucu, magari a casa non ci sarebbe andato a mangiare; accettava l’invito. Ma poi, c’erano per tutti? C’erano davvero?

-Un putiennu accattari, pattiamu!- disse Angelo Scirè.
E Giuseppe:-Ma, ‘ncampagna, u megghiu manciari è pani e passuluna. Sunnu comu u mieli, megghiu ra cajni, megghiu ancuora si su arrustuti comu i spitina-
-Chistu na vuota. Quannu c’era pitittu vieru. Quannu a cajni si manciava na vuota a ruminica-
-Quannu cu cinquanta grammi ri cajni licca tu e licca mastru Giuvanni...-

Si riprese a lavorare e nessuno più parlò.

Allora Giuseppe Scirè disse:-Ma chi siti sciarriati? Chi silenziu! Ca nuddru parra? Ca nuddru canta?-
-Sciarriati no, ma stanchi si-disse l’ex carabiniere.
-Stu cavuru- disse l’architetto.
-Se fosse stato nuvoloso- disse l’ex carabiniere.
-Si c’è cavuru, picchì c’è cavuru, si chiovi picchì chiovi...-
-C’era un cummientu unni calavanu siempri a pasta..cu a vulieva cuotta e cu a vulieva crura...ddra pasta un la scinnievanu mai!- disse Giuseppe Scirè.
-Cu a vuoli cuotta e cu a vuoli crura...e io avissi a fari u Signuri? Mancu pu n’ura!- disse Angelo Scirè.

Andarono via.

Per strada una mandria di pecore costrinse i due cognati a rallentare.
L’ex carabiniere disse:-Chista è a mannara ri mastru Simuni: vintinovi cani e vintisietti pecuri-