C’è la mafia del piombo, quella che ha reso la Sicilia per lunghi periodi la terra principe della cronaca nera e giudiziaria a livello internazionale e c’è la mafia postmoderna. ...
La nuova mafia, secondo quanto emerso dalle recenti dichiarazioni degli inquirenti, dalle indagini e da copiose analisi del fenomeno da parte di studiosi di psichismo mafioso, fa ampio uso di competenze massmediologiche e sarebbe in grado di orientale la comunicazione. Parrebbe sempre più evidente la discrasia fra i nuovi mafiosi alfabetizzati, con la possibilità economica di accedere alla migliore formazione, e la gente comune che in molti casi rasenta ancora l’analfabetismo. Il rischio, secondo diversi studiosi, potrebbe essere quello del proselitismo: sostanzialmente, chi non ha vissuto gli anni delle stragi potrebbe restare affascinato dal nuovo modus agendi di certi mafiosi comunicatori. Infatti, la mafia postmoderna ha affinato le armi, quelle del linguaggio e della comunicazione.
Tiene conto del nuovo che avanza perché, se così non fosse, non potrebbe gestire le tantissime attività di facciata che porta avanti velandosi spesso dietro il subdolo paravento della professione di fede incondizionata alla ‘legalità e alla trasparenza’. Effettivamente certi personaggi (che voce di popolo classifica in odor di mafia) con il loro look impeccabile, le loro camice rigorosamente di alta sartoria, le loro auto di lusso, le magnifiche ville e strapiombo sul mare ( regolarmente abusive) e un campionario di dichiarazioni mediatiche di comodo, possono affascinare i giovani e non solo. È innegabile, la difficoltà economica, il vuoto lasciato da chi dovrebbe essere un punto di riferimento per i cittadini e invece passa il tempo a lucidare la propria poltrona, la mancanza di certezze lavorative, creano le condizioni di un avvicinamento, talvolta inconsapevole, delle nuove generazioni al fenomeno mafia. Questo non significa che la mafia indica bandi pubblici per assoldare killer o picciotti per disbrigo pratiche, piuttosto che le condizioni di precarietà, mancata realizzazione professionale e di conseguenza personale possono condurre le persone, delusione dopo delusione, a cadere nello sconforto e a ripiegare più che sulla mafia, sulla mafiosità. Ma attenzione, la mafia è cosa diversa dalla mafiosità. La prima la si potrà sconfiggere con grandi sacrifici, lavoro, determinazione, arresti, leggi, processi etc ; la seconda invece, non usa piombo ma camaleontiche strategie di cattiveria sulfurea e non accomuna le persone in clan o famiglie ma per mentalità.
E non nascondiamoci dietro un dito: nella nostra martoriata, contraddittoria ma pur sempre amata Bagheria la mafiosità è spesso di casa. Prende il sopravvento ogni volta che qualcuno, nel suo ruolo ufficiale/ istituzionale, potrebbe impegnarsi concretamente per risolvere un problema ma non lo fa, preferendo fingere di non accorgersi di quanto d’increscioso stia avvenendo; ogni volta che qualcuno, pur notando delle evidenti discrepanze e il mancato rispetto della legge, professa il silenzio per non dispiacere Tizio o Caio, il quale ha evidentemente “sistemato” parenti, amanti o amici facendogli ottenere posti di lavoro che andavano assegnati (sulla carta) con regolari concorsi e non con selezioni fittizie; ogni volta che lasciamo nella sua devastante solitudine chi ha avuto il coraggio di dire pubblicamente le cose per come stanno; ogni volta che dietro l’anonimato si celebra il rito profano della denigrazione; ogni volta che si fa comunella al solo scopo di gettare fango sull’operato e l’immagine di altri; ogni volta che qualcuno spreca il suo tempo e quello del prossimo per assecondare il viscerale appagamento che prova nell’ impedire ad altri di raggiungere determinati e legittimi obiettivi. Ma va anche detto che la mafiosità è per certi versi simile all’invidia: chi la professa non avrà mai pace e alla lunga, a forza di vedere nemici, marcio e antagonisti ovunque, si autodistruggerà al ritmo sfrenato dell’arroganza.