Attualità

Vi scrivo formalmente questa lettera sia in qualità di rappresentante d'istituto del Liceo Scientifico "G.D'Alessandro" che personalmente, come singolo cittadino e studente molto arrabbiato con le istituzioni comunali e regionali,

Dopo la nostra protesta di qualche mese fà riguardo il lago che si veniva a formare lungo l'unica strada percorribile per arrivare dentro la scuola, abbiamo ottenuto una risposta dal vice sindaco che ci ha promesso che il problema sarebbe stato risolto.

E' presto detto, circa 10 giorni dopo sono stati effettuati dei lavori, che io definirei futili ed inadeguati, per cercare di smaltire l'acqua che si andava ad accumulare lungo la strada.

Nei due mesi seguenti non ci sono stati particolari disagi salvo il riempimento delle numerose buche di acqua che vanno a costituire una minaccia mortale per i motociclisti.

Complici anche le scarse precipitazioni, il rimedio proposto dal comune sembrava essere sufficiente per ovviare al problema del lago;

Tuttavia le recenti copiose piogge ci hanno costretti a rivedere la nostra posizione, ed abbiamo dovuto constatare (come da foto allegata) che il problema era tutt'altro che risolto.

Ci tengo anche a segnalare la presenza di un foro sul manto stradale che funge da tombino naturale e che probabilmente si è formato a causa del rigonfiamento del terreno sottostante; questo foro si è andato via via allargando mostrando ai pedoni, scioccati, una voragine al di sotto del manto stradale che potrebbe mettere in serio pericolo chiunque, specie in caso di fuga dall'edificio dovuta ad eventuali terremoti o incendi;

La mia domanda è una: come è possibile che il comune si possa permettere di pensare alla ristrutturazione del manto stradale attorno Villa Palagonia, mentre i giovani delle scuole stanno sprofondando sempre di più nella rassegnazione?

Quella voragine della quale non si vede la fine è semplicemente una metafora del nostro futuro, buio e sconosciuto;
 

"Risolveremo la settimana prossima"

Ci sarà sempre qualcuno a dirlo.

E intanto noi, che neanche sappiamo se andando a scuola avremo un futuro, vediamo messa la nostra incolumità a rischio per colpa di negligenze inaccettabili.

Spero che questo mio comunicato pervenga al sindaco Lo Meo e a tutta la giunta comunale; spero che oltre le manifestazioni e le teatrali udienze in aula consiliare si riesca a fare qualcosa di realmente concreto per la nostra cittadina altrimenti molti giovani si ritroveranno a perdere la fiducia anche in una cosa bella come la politica, che più di parole, deve essere costruita sui fatti.

Salvatore Provino 

 

Crediamo che la foto non abbia bisogno di ulteriori commenti; peraltro, la segnalazione a sollecitare l'intervento di chi di dovere su questa ormai annosa questione, ci è arrivato in questi giorni da altri studenti e genitori.

Cosa si aspetta per risolvere il problema una volta per tutte? è normale che tremila ragazzi debbano uscire in fila indiana da un acquitrino di questa natura?

I ragazzi attendono una risposta

Redazione bagherianews.com

la foto è stata messa a disposizione dagli studenti

“Giovedì 24 gennaio Donika Xhafa, una donna albanese di 47 anni, è stata trovata morta in mezzo alla strada uccisa dall’ex convivente a Vercelli dove lei viveva con i figli dopo la separazione. Sembra che l’uomo si fosse recato da lei per una riconciliazione ma per farlo era andato con una pistola in tasca, arma usata per uccidere la donna con 4 colpi: “l’uomo le avrebbe sparato un primo colpo dalla sua auto, poi sarebbe sceso per finirla con altre 3 colpi”.

Donika Xhafa è la sesta vittima di femminicidio in Italia dall’inizio dell’anno, e arriva alle pagine della cronaca dopo un anno di insistenti richieste di intervento della società civile nei confronti del governo Monti e dopo mesi di dibattito sul femminicidio nei media. Già 6 donne uccise nel 2013, due in gravissime condizioni, 125 vittime nel 2012, 127 nel 2011, 119 nel 2009.

E se anche oggi è triste vedere ancora sui giornali parlare di “raptus” e di “gelosia”, ancora più inquietante è il silenzio assordante di fronte a un fenomeno che continua come se “nulla fosse”.

Per questo motivo, dopo il convegno organizzato domenica 25 novembre 2012, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle Donne, il nostro movimento cittadino scende di nuovo in piazza per accendere nuovamente i riflettori su questa vera e propria strage e per spezzare il filo rosso della violenza contro le donne e per rompere il silenzio che continua a contornarlo.

A tal fine domenica pomeriggio lungo il Corso Umberto gli attivisti del movimento Bagheria Bene Comune hanno dato vita ad una manifestazione un poco provocatoria volta a richiamare l'attenzione sul drammatico e sempre più attuale fenomeno del Femminicidio.

Con l'ausilio di una sagoma di legno si è riportata l'immagine della stessa sul selciato con del nastro adesivo bianco. La sagoma indica il confine tra la vita e la morte, all'interno della sagoma c'è il silenzio chi sta fuori dalla sagoma dia voce a chi voce non ha più.

Sono state fatte quindi alcune sagome alla stregua di quelle che indicano la presenza di un cadavere sulla scena di un crimine.

Una sagoma femminile gettata lì come una cosa abbandonata indifesa e sola; un segnale attraverso il quale si richiama la violenza e la morte e che urla a gran voce che la vita di un'altra donna è stata spezzata.

Quello che non si riesce a spezzare è invece il filo rosso della violenza e del sangue e spesso ci si imbatte anche nel filo pesante dell'indifferenza e del silenzio.

Alcuni passanti si sono timidamente avvicinati, altri hanno dato un'occhiata allo striscione che riportava la scritta: “Stop al femminicidio” ed abbiamo amaramente compreso che molti ignorano il significato di questa triste parola. Una parola nuova per un crimine vecchio.

Alcune bambine hanno sostato più a lungo vicino le sagome con i visi incuriositi, ma con la consapevolezza della loro età. E gli altri?
G
li altri forse pensano che la morte di madri di famiglia, figlie e mogli altrui non li riguardi, che un problema non è nostro fintanto che non ci tocchi da vicino. Ma ne siamo davvero sicuri?

Noi sappiamo che ogni volta che una donna viene uccisa un tassello significativo della società civile viene meno e che questa società rischia di frantumarsi sotto i nostri occhi, ma il guaio è che alcuni questi occhi li tengono ancora ostinatamente chiusi.

Bagheria, 27 gennaio 2013
 

Adele Musso,
Movimento Cittadino Bagheria Bene Comune
 

Il 27 gennaio è la giornata della memoria, ricorrenza istituita dalla Nazioni Unite per ricordare le vittime del nazismo e lo sterminio degli ebrei.

Tengo a ricordare con particolare attenzione questa data. Negli anni passati insieme a svariate associazioni culturali, in primis con l'associazione Antigone, abbiamo organizzato in occasione di questa giornata importanti momenti di approfondimento.

Le scuole e le associazioni culturali, ma anche le Istituzioni locali sono state, e ancora oggi sono, protagoniste di momenti di elaborazione teatrale, mostre, dibattiti, audizioni di testimoni sopravvissuti alla persecuzione nazista.

Nei volti e nell'animo dei tanti ragazzi che ho visto partecipare a queste manifestazioni ho sempre scorto un senso di vergogna e di sdegno che si espandeva insieme alla presa di coscienza di quanto possa essere crudele l'uomo di fronte alle tentazioni della vita, alle debolezze del nostro animo e al male che ci circonda.

Spesso a questo momento di sdegno seguiva una presa di consapevolezza personale ed intima che ci lasciava ben sperare e ci rassicurava sul fatto di avere svolto un importante ruolo educativo.

La persecuzione nazista ha riguardato non solamente gli ebrei, ma anche i portatori di handicap, le minoranze etniche, i gay e tutti coloro che i nazisti definivano "diversi".
 

E di coloro che hanno orientamento sessuale diverso oggi voglio parlare.

 Le recentissime immagini provenienti dalla Russia in cui la finta democrazia di Putin, ed in particolare la Duma, ha esteso su tutto il territorio nazionale una legge che vieta in pubblico di parlare dei diritti dei cittadini gay mi hanno fatto molto male e mi hanno ferito intimamente.

Ancora oggi,nel tecnologico mondo del 2013 in cui c'è chi invoca il ricorso ad un voto dato da casa con un clic , un bacio dato tra persone che si amano,dello stesso sesso o di diverso sesso,può essere un atto tanto rivoluzionario da meritare di essere respinto con i pugni dell'intolleranza.

Quei ragazzi con i volti sporchi di sangue,pestati a sangue da ometti intolleranti sotto l'occhio complice e il manganello veloce della polizia Russa e sotto- consentitemi- l'obbiettivo tanto vicino quanto lontano ed indifferente dei fotografi e delle testate giornalistiche, mi hanno colpito.

Come può, ancora oggi, una rivendicazione di uguaglianza passare per diversità e ancora peggio divenire agli occhi di altri cittadini motivo di ripercussione e di persecuzione fisica o psicologica.

Non comprendo,ma così accade in Russia ed in tante altre parti del mondo. Ricordiamocelo.

E per venire all'Italia,come si fa,ancora oggi -faccio riferimento alla campagna elettorale nazionale in corso- a sentire di continuo slogan e distinguo su un tema come quello dell'estensione di diritti verso coloro che professano orientamenti sessuali differenti.

Un tema che nella grande maggioranza dei cittadini e sopratutto tra i giovani è oramai pacifico e che invece i nostri partiti continuano,spesso per interesse di bottega, a strumentalizzare.
Vorremmo sentire su questa questione parole chiare e programmi precisi.

In tanti Stati del mondo,dicevamo,l'intolleranza verso chi viene definito diverso è ancora troppo presente.Tuttavia i cittadini nel loro quotidiano vivere e tutti coloro che ricoprono ruolo politici ed istituzionali hanno esempi positivi cui rivolgersi. 

Un altro brivido mi ha attraversato la schiena in questi giorni, e per fortuna era un brivido positivo scaturito spontaneamente ascoltando le parole del primo Presidente di colore degli Stati Uniti d'America. Si,proprio quell'uomo definito "abbronzato" dal nostro ex Presidente Berlusconi.

C'era grande attesa per il suo discorso di insediamento, tanta gente in festa lo aspettava e qualcuno lo contestava. 

In alcuni cartelli esibiti da chi lo ha contestato, accanto alla grande folla assiepata ad attenderlo sul National Mall, qualcuno recitava "Dio odia Obama e gli omosessuali". 

Il Presidente Obama, nel suo discorso, ha detto testualmente "il nostro lavoro non sarà completo finchè i nostri fratelli e le nostre sorelle gay non saranno trattati come chiunque altro in base alla legge. Perchè se davvero siamo creati uguali, l'amore che giuriamo uno all'altro deve essere uguale alla stessa maniera".

E allora facciamo politica e parliamo d'amore, perchè l'amore è il più bel messaggio politico che si possa lanciare.

Daniele Vella direzione regionale Partito Democratico, direzione nazionale Giovani Democratici. 

Sono trascorsi ormai 34 anni dall'omicidio di Mario Francese che di professione faceva il giornalista e che proprio per la sua professione venne ammazzato davanti casa sua, a Palermo, al ritorno dal Giornale di Sicilia, il 26 gennaio del 1979. Sembra strano, oggi, pensare che in Sicilia una persona viene ammazzata perché fa semplicemente il proprio lavoro, certo fatto con onestà, con passione, con rigidità morale, ma sempre un paradosso rimane.

E fa ancora più impressione a noi giovani, oggi, pensare che un giornalista possa essere ucciso per le sue inchieste, non siamo più abituati alle inchieste, a parte qualche caso, ormai i giornali si dedicano ad altro, si limitano a riportare fatti e dichiarazioni. Mario Francese era un giornalista che si occupava di cronaca giudiziaria per il Giornale di Sicilia. Fu l'unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Ninetta Bagarella.

Il primo a capire, scavando negli intrighi della costruzione della diga Garcia, l'evoluzione strategica e i nuovi interessi della mafia corleonese. Non a caso parlò, unico a quei tempi, della frattura nella «commissione mafiosa» tra liggiani e l'ala moderata.

Un delitto che apre la lunga catena di sangue di Cosa nostra, con delitti «eccellenti» a ripetizione. Solo in quell’anno vengono uccisi, il capo della Squadra Mobile di Palermo Boris Giuliano, il giudice Cesare Terranova.

E poi il 6 gennaio 1980 il presidente della Regione Piersanti Mattarella e molti altri ancora seguiranno.

Presto l’omicidio di Mario Francese cade nel dimenticatoio, l’inchiesta viene archiviata. Verrà riaperta molti anni dopo, su richiesta della famiglia. I giudici nella sentenza di primo grado evidenziano che dagli articoli e dal dossier redatti da Mario Francese emergeva una straordinaria capacità di operare collegamenti tra i fatti di cronaca più significativi, di interpretarli con coraggiosa intelligenza, e di tracciare così una ricostruzione di eccezionale chiarezza e credibilità sulle linee evolutive di Cosa nostra, in una fase storica in cui oltre a emergere le penetranti e diffuse infiltrazioni mafiose nel mondo degli appalti e dell’economia, iniziava a delinearsi la strategia di attacco di Cosa nostra alle istituzioni.

Tante cose si potrebbero dire ma sarebbero soltanto parole, non ci rimane che ricordare, ma il ricordo senza l'impegno sembra vano, memoria e impegno vanno insieme, impegno a vivere la propria professione con onestà e passione, considerando il proprio lavoro un contributo per la crescita della nostra comunità. Memoria per chi è stato ucciso, prima vittima, ma anche per chi è rimasto, per i familiari privati del proprio caro, anche loro vittime di mafia, memoria per Giuseppe, il più piccolo dei figli di Mario andato via troppo giovane, il quale ha dedicato la sua vita alla ricerca della verità sulla morte del padre.

LA storia di Mario Francese va conosciuta, così come vanno conosciute le sue inchieste, letti i suoi articoli e per questo vi consiglio di collegarvi al sito della fondazione francese www.fondazionefrancese.org e leggere il libro di Francesca Barra, IL QUARTO COMANDAMENTO. La vera storia di Mario Francese che sfidò la mafia e del figlio Giuseppe che gli rese giustizia, edito da Rizzoli

Emanuele Tornatore 

Articolo di Mario Francese pubblicato dal
Giornale di Sicilia 16.4.1978

Massacro alla Vucciria

Li ho visti uccidere

Ho visto i killer irrompere nella bettola e sparare, ho assistito ad una esecuzione della malavita palermitana, ho vissuto i drammatici minuti di chi si ritrova con due cadaveri tra le mani, ancora caldi, ancora rantolanti.

Erano pressappoco le due e cinque, avevo tardato a fare la spesa e mi aggiravo tra i negozi della "Vucciria" alla ricerca di un telefono pubblico: ero in ritardo sulle mie abitudini e volevo telefonare a casa mia per avvertire che stavo arrivando.

Entro nella trattoria di don Totò Ammirata, poso i pacchi della spesa su un tavolino che abitualmente sta sulla sinistra, vicino l'ingresso, incontro un mio vecchio amico, lo saluto, lo prego di dare uno sguardo a quei pacchi e mi dirigo verso il bancone dell'oste, per chiedere un gettone.

Passo vicino al primo tavolo e c'è un avventore anziano che sta mangiando, mi faccio largo fra tre giovani che stanno bevendo una bottiglia di birra, uno solo di loro è in piedi, gli altri due stanno lì vicino, seduti. Quando sono davanti a don Totò e sto per scambiare con lui le prime parole sento l'esplosione di due colpi. Mi giro di scatto, vedo un fucile a canne mozze, sento altre due assordanti esplosioni ma quando sto per rendermi conto di cosa succede mi sento stordire, e cado per terra.

Credo, in quei pochi terribili attimi, di essere stato colpito a morte. Mi sento la testa bagnata, cerco il sangue con le mani, è vino: don Totò mi aveva sferrato un colpo di bicchiere in testa per sottrarmi, a modo suo, alla furia dei killer: lui, guardando verso la porta, aveva avuto modo di assistere meglio di me alla tragica scena.

Quando mi riprendo non è ancora svanito l'odore del piombo. Improvvisamente la trattoria mi appare deserta, corro verso la porta, sento l'anziano avventore lamentarsi (era stato ferito di striscio), salto fuori, vedo la macchina degli assassini (una "128" bianca) allontanarsi verso via Tintori. Torno dentro la bettola, c'è l'odore dolciastro del sangue. Dei tre giovani che avevo incontrato, quelli che bevevano birra, ce ne erano soltanto due. Morti: uno steso per terra, agonizzante; l'altro ancora seduto sulla sedia, con la gola squarciata, il capo riverso. Il panico, naturalmente. Da dove telefonare? Don Totò non riesce a trovare i gettoni, non mi resta altro da fare che correre nel negozio, lì di fronte. La signora non vuole, insisto, chiamo il 113, dopo cinque minuti arriveranno le "volanti" e quindi le "gazzelle". Cinque, lunghi minuti: il tempo di tentare disperatamente un qualche soccorso per il giovane agonizzante, il tempo di apprendere che fuori, ad una ventina di metri, c'era la terza vittima, freddata dai killer qualche attimo prima di irrompere nella bettola.  

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