E' morto l'ing. Nicolò Giammanco, già capo dell'U.T. di Bagheria

E' morto l'ing. Nicolò Giammanco, già capo dell'U.T. di Bagheria

le brevi
Typography

E' morto nella mattinata di domenica 27 maggio all'età di 84 anni, l'ing. Nicolò Giammanco, che per circa trenta anni, dai primi anni '60 al 1993, ricoprì l'incarico di responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di Bagheria. Era da qualche mese seriamente ammalato.

Alla moglie, ai figli, ai fratelli, ai familiari tutti l'umana vicinanza al loro dolore da parte di Bagherianews e di Angelo Gargano.

Le esequie si svolgeranno lunedì alle ore 15.30 presso la Chiesa Madre di Bagheria.

Con Nicola Giammanco non se ne va solo una delle figure più complesse e controverse della nostra storia recente, ma uno degli uomini più potenti dell'intervallo di tempo tra i primi degli anni 60 e e il 1993, anno in cui fu sospeso dal Tribunale di Palermo dal ruolo che ricopriva all'interno del comune di Bagheria; anche perchè l'ingegnere Giammanco non fu solo un alto burocrate dell'amministrazione comunale, ma anche politico impegnato nella Democrazia Cristiana, di cui fu nei primi degli anni '80 consigliere e assessore provinciale ai Lavori pubblici.

Coinvolto in diverse vicende giudiziarie, a partire dal "sacco di Bagheria" dei primi anni '60, fu rinviato a giudizio e processato, a seguito di una commissione di indagine che fu varata nella brevissima "finestra" del 1964  durata quattro mesi, in cui fu sindaco di Bagheria il comunista prof. Giuseppe Russo.

Di quella commissione formata da consiglieri comunali dei vari partiti presidente fu l'on. Giuseppe Speciale, ma il vero animatore fu Vincenzo Drago allora consigliere comunale del Partito Comunista.

Quell'inchiesta diede vita ad una indagine istruita dall'allora publico ministero Rocco Chinnici ed esitò in un processo a carico di sindaci, funzionari comunali e costruttori, a conclusione del quale nel 1975 Nicola Giammanco fu assolto per insufficienza di prove e sopravvenuta amnistia.

Una seconda indagine giudiziaria lo vide protagonista assieme a politici e tecnici agli inizi degli anni '90 e si concluse dopo una detenzione preventiva di sei mesi, e dopo un lunghissimo processo nel 1998, con una condanna in primo grado per falso e abuso in atti di ufficio.

Il suo nome assurse a notorietà nazionale in seguito alla pubblicazione nel 1993 del libro di Dacia Maraini, Bagheria, in cui viene rappresentato come una sorta di genio del male.

Fu in effetti per trenta anni il "dominus" delle vicende urbanistiche del nostro territorio, ruolo conquistato in virtù di una particolare competenza e padronanza della materia urbanistica e dei Lavori Pubblici, che gli venivano largamente riconosciute; ma volere imputare solo a  Nicola Giammanco, quello che fu in realtà conseguenza di un intreccio di complicità e di interessi trasversali alla politica, ai costruttori e ai proprietari di aree del tempo, oltre ad essere semplicistico non rispecchia la realtà.

A merito del suo Ufficio va ascritta la progettazione del risanamento dei quartieri abusivi di Bagheria e l'avvio della costruzione di una serie di complessi immobiliari in aree di edilizia convenzionata, che consentirono a centinaia di famiglie bagheresi del ceto medio di poter acquistare un immobile con mutuo agevolato.

Nella relazione riservata che portò al primo scioglimento del consiglio comunale del marzo del 1993, è stato indicato come uno tra i principali  responsabili che portarono allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Bagheria.

Come pure alla tempesta giudiziaria che si scatenò su di lui e su Bagheria dopo le stragi Falcone e Borsellino, forse non sarà stato estraneo il fatto di essere cugino di primo grado del Procuratore generale della Repubblica di quel periodo, Pietro Giammanco.

Sarà il tempo, che si dice sia galantuomo, a dare un  giudizio storicamente definito sul suo ruolo e sulle sue responsabilità, oltre che su alcuni aspetti rimasti oscuri della gestione delle vicende giudiziarie che lo hanno visto protagonista.