01-10-08 I dipinti di A. Belvedere da domani esposti a Barcellona

01-10-08 I dipinti di A. Belvedere da domani esposti a Barcellona

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Dal 2 al 23 ottobre venti opere pittoriche del bagherese Angelo Belvedere (realizzate in gran parte sull’isola tropicale di Granderoche dai primi anni ’90 al 2006) saranno esposte in Spagna, presso i locali della galleria Bassols Balmes, a Barcellona.

Ci sono artisti che non si dimenticano perché le loro opere li porti nel sangue come un’infezione, una malattia che ti avvelena l’anima in una struggente passione per l’Altro, per quell’inesprimibile che l’arte tenta a volte in qualche modo di “rappresentare”.
Questo linguaggio dell’ Altro è costituito da quell’immaginario, da quell’impossibile che sfugge a ogni logica del senso, e che semplicemente potremmo accostare alla poesia.

Le opere di Angelo Belvedere quasi sempre ci comunicano questo sentimento del vago, dell’indefinito, del non potere che spiega le vele inseguendo territori altri, quasi sempre inesplorati. Sottratte al linguaggio comune della quotidianità e della logica strumentale del senso, le sue pitture sono “poesie visive”, contrassegnate dal marchio dell’autenticità.
In fuga dal nostro continente europeo il nostro artista infatti solo in un’isola dei Caraibi ha trovato il suo rifugio, costruendovi la sua dimora, che è divenuta anche un albergo e soprattutto il suo atelier ideale, insomma un posto per dipingere in stretto contatto fisico con quegli elementi della natura, la sabbia, un mare cristallino, l’abbagliante azzurro del cielo che si distende al si sopra di quel punto, di quell’isola per noi smarrita, Granderoche, nell’arcipelago Los Roques di fronte al Venezuela. Non è che Belvedere abbia voluto in questa sua fuga dalla civiltà occidentale imitare in qualche modo l’avventura ed il destino di Gauguin.

Il suo bisogno di evasione nasce dall’ansia di fuggire da una civiltà altamente tecnologica, che l’artista francese di certo nel diciannovesimo secolo non poteva conoscere, così come in quel tempo non poteva conoscere i disastri ambientali prodotti da uno sviluppo industriale il cui impatto negativo sull’ambiente è davvero oggi devastante.
Di fronte alla nostra attuale e nauseabonda “civiltà dei consumi” e relativi rifiuti, con i quali ormai abbiamo imparato a convivere, guardiamo pertanto con una sorta di invidia alla svolta che l’artista bagherese ha voluto dare alla sua vita scegliendo circa quindici anni fa di andare a vivere lontano in un’incontaminata e sperduta isola dei Caraibi. In queste nostre righe è tuttavia della pittura di Belvedere che cercheremo di parlare.

Una pittura per certi aspetti simile al cinema di Bergman che nell’isola di Fårö, dove il regista svedese si ritirò e visse fino alla morte, realizzò alcuni dei suoi capolavori.
Sicuramente Fårö e Granderoche sono due isole poste su longitudini e latitudini assai lontane tra loro nonché diametralmente opposte ma entrambe, come è possibile immaginare, non possono non dare l’impressione di entrare in un mondo esterno ossia, per così dire, in un mondo fuori dal mondo.
Su questo mondo altro dal nostro è forse il silenzio vasto, calmo, inquietante del mare che diventa materia di riflessione, di ispirazione artistica.

Il silenzio del resto come la solitudine, come un sentimento di abbandono può essere un elemento costitutivo di una esperienza esistenziale, in cui può manifestarsi la presenza-assenza di Dio o semplicemente quel sentimento del sublime in cui si specchia il fascino e la bellezza enigmatica della natura.
Guardando le opere che Angelo Belvedere ha realizzato a Granderoche non si può non pensare all’esperienza estrema di un visionario, di un sognatore, di un mistico dell’assoluto, di un cuore selvaggio e solitario che in un angolo dei Caraibi ha trovato il suo Aleph borgesiano, la sua montagna sacra.

Poesia de uva”, “Peces y corales”, “Granderoche” sono opere pittoriche bellissime realizzate quasi in apnea, in una sorta di profonda immersione dell’anima nei fondali di quel mare tropicale, che lascia davvero senza fiato, senza respiro.
La materia di queste opere pittoriche ai limiti dell'astrazione ha i colori liquidi, rarefatti del mare e di un cielo nitido, terso, irradiato dai raggi solari. Nei colori del mare e del cielo Belvedere semplicemente rivive l'esperienza estatica che Arthur Rimbaud, un altro esploratore dell'infinito e dell'ignoto, descrisse in questi suoi celebri versi: Elle est retrouvée / Quoi ? - L'Éternité. / C'est la mer allée / Avec le soleil ( É ritrovata / Che cosa ? - L'Eternità. / É il mare andato / Con il sole.)