C’era puzza di bruciato nell’inchiesta avviata dal Tribunale nazionale antidoping contro mezza atletica italiana.
L’accusa per fior di atleti, tra i quali la maratoneta bagherese Anna Incerti, friulana d’adozione per aver sposato l’udinese, ex campione del mondo della corsa in montagna, Stefano Scaini, era quella di aver eluso alcuni controlli antidoping dal 2010 al 2011.
Di non aver insomma ottemperato al protocollo “whereabouts” , quello della reperibilità degli atleti 24 ore su 24.
Sin dall'inizio Anna Incerti aveva proclamato la propria 'innocenza' sostenendo che era il sitema dei controlli che non avevava funzionato; ed ha avuto ragione.
In ogni caso l'accusa aveva fatto scalpore ed era un fardello alla vigilia delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, capace di mettere piombo nelle gambe e nella testa e con la prospettiva di beccarsi due anni di squalifica solo perché il sistema di reperibilità per l’antidoping non funzionava.
A cinque mesi da Rio la prima sezione del Tribunale Nazionale Antidoping ha emesso le prime sentenze relative ai procedimenti aperti in seguito all’indagine “Olimpia”, svolta dalla Procura di Bolzano e agli esiti degli accertamenti svolti in ambito sportivo.
«In base all’articolo 29.1 delle NSA», il Tna ha disposto l’assoluzione per la violazione dell’articolo 2.3 delle Norme Sportive Antidoping, dei tesserati Fidal Daniele Meucci, Fabrizio Donato, Daniele Greco, Ruggero Pertile, Andrew C. Howe, Silvia Salis, Anna Incerti e Andrea Lalli.
La Incerti correrà domenica i Mondiali di mezza maratona a Cardiff. «Ho sempre creduto nella giustizia - ha detto l’atleta siciliana difesa dall’avvocato Giulia Bongiorno - ma chi mi ripagherà adesso di quello che ho subito?