Può l’arte farci sfiorare il sublime, incantare i tamburi di guerra, allontanarci quasi volando dai nostri problemi quotidiani?
Ebbene essa può: e domenica sera, alla sede della Pro Loco di Casteldaccia, tutto ciò è stato dimostrato, da una bella, eterea eppure disinvolta Rosellina Guzzo, e dal nostro fenomeno casteldaccese; Vincenzo Mancuso, alla chitarra acustica.
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Hanno suonato – facendo vibrare, oltre alle loro corde, pure l’anima – musica celtica e mediterranea, blues, e altre composizioni originali firmate da loro e dal rimpianto Giuseppe Leopizzi.
Toccante e di certo inconsueto, è il magnifico arrangiamento di “Vitti ‘na crozza”, che, a mio parere, restituisce al testo l’intendimento iniziale dell’autore di uno struggimento nostalgico, spesso eluso in molte interpretazioni musicali.
Magnifiche tutte le altre musiche ora suadenti, fresche, poetiche, come, ad esempio, “Altrove” ed ora coinvolgenti e addirittura inebrianti, come quella sorta di tarantelle irlandesi che abbiamo avuto il privilegio di ascoltare.
La serata ha, inoltre, visto l’esordio dell’enfant prodige Matteo Mancuso, che, accompagnato dal padre, ha letteralmente strabiliato il pubblico con i suoi virtuosismi alla chitarra elettrica.
Come si suol dire, buon sangue non mente, o, se mente, presto o tardi ritorna, dico io, come spero che ritorni a sé questa nostra Casteldaccia.
Dico ciò perché in una serata come quella descritta, che in tempi di vero fermento culturale avrebbe riempito ben altro che il vecchio cinema Italia, anche se i posti a sedere erano tutti occupati, in fondo, eravamo pochi eletti a goderci lo splendido concerto.
Ma come?! Si presenta a noi una nostra brava e stupenda vicina di casa che, tra l’altro, ha origini casteldaccesi, si presenta un grande figlio delle nostre strade ormai conteso e conosciuto a livello internazionale, e noi ce ne stiamo a casa nostra o, peggio, preferiamo altri svaghi?
Scusate la mia ingenuità, anzi la mia assenza da questa specie di mondo ultimo, ma pensavo ad uno sconvolgente afflusso di folla.
Pensavo che il detto dei latini: "nemo profeta in patria", non fosse attinente alla realtà della maggior parte di noi.
Da povera illusa, infatti, faccio il poeta.
Da povera illusa scrivo in prosa, idealizzando cose che solo pochi leggeranno.
Ma, permettetemi di dire che, a questo punto, preferisco guardare e non strillare inutilmente o fare cose di cui poi potrei pentirmi.
Forse, quanto è avvenuto domenica sera è colpa di quella stramaledetta indole gioviale e sempre e con chiunque alla portata, mi sono detta.
Forse, non sarebbe un male farsi isola dentro e non porsi col cuore, non riconoscere i volti di quanti ci hanno visti crescere, di quelli con cui abbiamo condiviso le nostre esperienze giovanili.
Insomma, gonfiarsi sino a scoppiare per tutto quello che trascini dentro e precludi al mondo.
Eppure, nel pensarlo, sapevo che ad un vero artista sarebbe stato impossibile adottare quel comportamento calcolato.
Sapevo che quel passo non dettato dal cuore l’avrebbe fatto inciampare malamente.
Perciò tutto quello che mi resta da dire è: "Svegliati Casteldaccia, ricordati chi eri e torna a noi."