“Giummu”, “Giummiddu” lo chiamavamo: “Giummu! I gettoni! “
Era il grido che risuonava nel salone a pianterreno di Corso Umberto vicino a Piazza Palagonìa, dove calcio balilla, qualche flipper, (preistorici antesignani dei moderni video giochi )e una innocente macchinetta mangiasoldi,
Il pomeriggio e la sera in specie d’inverno quando ci si riparava anche dal freddo, quel luogo "nno giummu", era tutto: punto dove ci si dava appuntamento, capolinea per le lunghe e interminabili passeggiate nello "stratonello", luogo dove cercare di passare e perdere tempo, chiacchierare con gli amici di calcio, di ragazze, e di poltica, o per giocare al “bigliardino”.
“Giummu”, al secolo Giuseppe Tomasello, non era solo il gestore, ma qualcosa di più: u Giummu di quel locale e di quell’ambiente era l’anima.
Il soprannome era da attribuire con molta evidenza al suo fisico esile, minuto e minuscolo che lo rendeva appunto un “giummo”, un fiocco, ma lui cercava di rendere la sua figura imponente e autorevole, vestendo spesso, con giacca e cravatta, e d’inverno con un cappotto e con un cappello più alto di lui.
Per darsi un ulteriore tocco di prestigio e autorevolezza, un borsello perennemente alla spalla, oltre all'immancable sigaretta.
Giummo era quello che oggi si direbbe “un personaggio”: se avesse partecipato al Maurizio Costanzo show , sarebbe diventato un attore.
Era caricatura e macchietta, ma pieno di una sua intrinseca serietà e drammaticità.
Perché “Giummu” era un personaggio involontario; ragionava e “sragionava” con argomentazioni che spesso non stavano né in cielo né in terra, ma lo faceva sempre serioso, con la voce grave e autorevole, con una convinzione profonda, con il sussiego e l’autorevolezza (e la presunzione) di un docente universitario, senza mai manifestare il minimo dubbio o la minima incertezza sulle cose che gli uscivano di bocca.
Non c’era argomento che lo trovasse impreparato: nell’ordine la politica, che era il suo pezzo forte, il suo cavallo di battaglia, e poi l’economia, la filosofia , la letteratura , le scienze, lo sport, la religione, la morale e il costume, insomma l’intero scibile.
Su tutto Giummu sentenziava con l’espressione ispirata e compunta, rotolando talora termini complicati, inventando neologismi, parafrasando frasi storiche e storpiando modi di dire, facendo voli “pindarici”, spostandosi da un emisfero all’altro, collocando personaggi famosi nei secoli e nei luoghi più incredibili e attribuendogli affermazioni da “brivido”, mettendo assieme un coacervo di banalità e di cose sensate e insensate, con quella sua aria da predicatore metodista.
Solo quando gli scappava proprio grossa, sorrideva autoironico come dire a dire: “Va bè, ragazzi, era solo una piccola esagerazione, un paradosso per farmi capire”.
Il suo parlare era verboso, colorito, ridondante, pieno di assonanze onomatopeiche, e infarcito sempre di “incisi” e “rimandi” e talvolta anche convincente: e quando ragionava “sul serio” parlava rigorosamente in “ italiano”; aveva un periodare assertivo e apodittico di chi ha, e sa, la verità, e non ammetteva repliche.
I suoi discorsi cominciavano sempre con lo stesso “incipit: “Voi dovete sapere che…” e poi proseguiva.
Ricordo che giovane studente di liceo a contatto dei primi filosofi, ci capitò di parlare, così, al bigliardino con qualche compagno di classe, di Talete, che avevamo appena studiato a scuola, e che considerava sostanze primigenie l’aria, l’acqua, la terra e il fuoco ( spero di non ricordare male).
E u Giummu per niente intimorito dalla complessità dell’argomento e dai nostri "titoli" di studenti di liceo classico , subito si intromette: “E’ evidente-interloquisce-io queste cose le ho sempre dette” e giù a discettare e a filosofare.
Talvolta eravamo noi, un po’sfaccendati, a provocarlo sui filosofi, chiedendogli di Hegel e Kant: mai una sola volta si sottrasse alla discussione; partiva da lontano, coniugava buonsenso e paradossi, e con una operazione “intelligente” li ricollocava nel pensiero e nei problemi contemporanei.
Ma mai una volta che disse: “Hegel? ma chi è costui?”
E quando l’uomo in quel famoso luglio del 1969 pose il piede sulla luna, fu lui a parlarci non solo di implicazioni politiche ed economiche legate alla conquista dello spazio, ma anche di tecnologie spaziali e propulsori a idrogeno.
La verità è che era un piacere ascoltarlo.
Spaziava sul mondo e si pronunciava su tutto: dalle cause della grande crisi petrolifera degli anni’70 al fenomeno del terrorismo brigatista, dalle crisi economiche ricorrenti al calcio e all’ atletica, dal divorzio alle minigonne, dall’ inquinamento del pianeta al controllo delle nascite, dal cinema al festival di Sanremo.
Nulla sfuggiva alle sue dissertazioni.
Sulle ricorrenti crisi economiche, su inflazione e prezzi sciorinava le sue teorie, e le sue ricette con eloquio sconclusionato e fluente, illogico però persuasivo, e guai a contrariarlo: “Cosa ne volete capire voi studenti dell’economia” ci diceva con un tono di sufficienza e superiorità, guardandoci dall'alto verso il basso ( si fa per dire).
"Voi capite solo di filosofia! e con uno sguardo ci schiacciava sotto il peso di tutto il suo "disprezzo", per bollarci come intellettuali scansafatiche privi di senso pratico.
Era il suo modo per insultarci, quando lo sfottevamo un pò.
Soltanto il richiamo “Giummu i gettoni! ” riusciva a distoglierlo dalla sua cattedra.
Giummu non aveva avuto la ventura di studiare; era un autodidatta, però ogni pomeriggio comprava "l’Ora", il quotidiano palermitano che usciva appunto nel pomeriggio, e se lo “calava” tutto, per cui riusciva talvolta ad infilare nei suoi ragionamenti qualche cosa sensata: era sempre aggiornato, diciamo che "stava" sulla notizia, e poi con la sua vena fantastica rielaborava tutto quanto era riuscito a leggere.
In politica dava il meglio di sé: era stato verso la metà degli anni ‘50 il segretario dei giovani comunisti a Bagheria e la passione e la fede politica gli erano sempre rimaste...
Poi naturalmente si cresce; e lo perdemmo di vista, anche perchè ai bigliardini subentrarono i locali con le macchinette mangiasoldi e i video giochi, che non ti lasciano neanche il tempo per parlare con chi ti sta accanto e “Giummo” che non si adeguò, si ritrovò fuori mercato.
Qualche giorno fa ho rivisto un suo fratello più giovane, e gli ho chiesto di Giummo: “Se ne è andato - mi disse - un paio d’anni fa”.
"Un giummo", un altro piccolo frammento di storia, di vita, e di colore”baarioto” che ci ha lasciato.