Segretario del fascio era un’avvocaticchio, piccolo anche di statura, accanito fumatore di nazionali e perciò sempre con una voce roca e sgradevole.
Lo chiamavano “il tataranchio” appunto per la sua statura.
Si fingeva amico di tutti, anche di quelli che, come noi, non erano in odore di santità.
Non era facile mollarlo.
Intrattenendsi al caffè o al circolo dei civili, spesso con chiari pretesti, sperava forse di penetrare in quella che doveva apparirgli come una tenebrosa attività.
Ogni tanto faceva finta di passare per caso e ci coglieva tutti nella bottega di Paolo. (Giuseppe Speciale in una foto degli anni '70, Palermo - Festa dell'Unità)
Un sellaio espertissimo e fantasioso che, con le sue mani di pianista, fabbricava finimenti rutilanti per i più puntigliosi carrettieri.
Allora le nostre eterne, astratte discussioni, dovevano, per ragioni ovvie, cessare subito.
Cambiavamo discorso.
Nella bottega di Paolo non era difficile. Ognuno dei mille oggetti sparsi nel grande stanzone poteva offrire lo spunto per discorsi che potevano durare ore.
Campanelle piccole, piccolissime, ma anche grandi. Paolo, queste dove vanno?
E Paolo spiegava che il sottogola della capezza doveva portare diversi fili di campanelle, di varia grandezza in modo da comporre una varietà di suoni che poi il cavallo, trottando e scuotendo la testa, avrebbe trasformato in sinfonia.
L’avvocaticchio ascoltava, interveniva, poi si stancava e se ne andava.
Un giorno nella bottega di Paolo c’eravamo io, Vittorio, Filippo L.B., Filippo C. e Tanino. Doveva essere ottobre.
Paolo disse: fra un mese sarà l’anniversario della rivoluzione russa.
Bisognerebbe che anche noi ci facessimo vivi almeno con un gesto dimostrativo.
C’era chi proponeva di collegare gli altoparlanti che, stabilmente erano stati sistemati in piazza, per trasmettere un messaggio alla cittadinanza.
L’idea dovette essere subito scartata perché nessuno di noi aveva una minima idea di cosa bisognasse fare. (Paolo detto 'u siddunaru')
E d’altra parte i due o tre elettrotecnici che allora c’erano, o erano fascisti militanti o facevano piccoli lavori per il fascio e per l’opera Balilla; era perciò azzardato confidare loro un segreto di quel genere.
Paolo propose allora di vergare delle scritte sui muri con la vernice rossa. Infine Filippo L.B. sembrò che fosse stato fulminato da una idea grandiosa.
“Facciamo una bella bandiera rossa-disse- e andiamo a collocarla sul campanile della Matrice”.
Fu una folgorazione anche per noi, sicchè non ci si sforzò più di cercare altre idee. Quella andava benissimo.
I braccianti che, malgrado la conquista dell’Abissinia e la guerra di Spagna, a diecine sostavano tutto il giorno in piazza, avrebbero visto!
Sorse però subito un problema. La bandiera doveva essere quella della Patria del Socialismo. Il colore si sapeva, si sapeva benissimo.
Quelle che non si sapevano erano però le dimensioni.
E tutti si ritenne che se non era della misura esatta non si sarebbe potuta innalzare sul campanile.
Paolo che era un autodidatta e aveva molti libri nascosti sotto il suo banco di lavoro, frugò a lungo ma non riuscì a trovarne uno dove le misure ufficiali venissero riportate.
Ognuno si incaricò di fare ricerche anche alla Biblioteca Nazionale. In paese di biblioteca c’era solo quella del ginnasio, ma lì era inutile cercare.
Era fatta di volumi della Salani e all’infuori di “Senza Famiglia”, “Piccole Donne”, “Pinocchio” e “I tigrotti di Mompracem” non si poteva sperare di trovare.
Filippo, da parte sua, prese un impegno: approntare il tessuto e cercare anche lui fra i suoi libri e nella sua enciclopedia. (G. Speciale in una foto con Carlo Levi e Danilo Dolci)
Filippo aveva un negozio di tessuti e le contadine di Bagheria-come quelle di tutto il mondo- amavano molto i colori sgargianti, il rosso soprattutto, che era infatti il colore decisamente dominante quando, una volta all’anno, per la festa di S.Giuseppe, potevano uscire per l’interminabile passeggiata nel corso.
Aveva una pezza di raso rosso. L’avrebbe tagliata da lì quella che occorreva per la bandiera.
Le ricerche durarono a lungo. Non si riusciva a trovare in nessuna biblioteca di Palermo di che dimensioni fosse la bandiera dell’Unione Sovietica.
Il 7 Novembre trascorse e la bandiera non era ancora pronta.
E fu così che i braccianti in piazza continuarono a guardare in alto ma non videro mai la bandiera rossa issata sul campanile della Matrice.
Giuseppe Speciale
Giuseppe Speciale è nato a Bagheria il 14/3/1919 ed è morto a Capo Zafferano (Santa Flavia) il 29 /3/1996.
Conseguì la laurea in storia e filosofia, presso l’Università di Palermo, discutendo una tesi su Spinoza. (Giuseppe Speciale in una foto a Villa Lentini, marzo 1995)
Fin da studente, allievo del professore Ferretti, maturò la sua fede antifascista e la sua scelta politica. A quel periodo risalgono le sue amicizie con Paolo Aiello, Renato Guttuso, Ignazio Buttitta, Pepito e Vittorio D’Alessandro, Giacomo Giardina, Castrense Civello, Franco Grasso e tanti altri.
Si iscrisse al P.C.I. nel 1944; tornato a Palermo nel dopoguerra fu chiamato a collaborare con “la Voce della Sicilia”, di cui era direttore Girolamo Li Causi, assieme a Franco Grasso e Francesco Renda.
Fu successivamente direttore della redazione siciliana de “L’Unità” il quotidiano del Partito Comunista, corrispondente di “Paese Sera” e collaboratore de “L’Ora”, oltre che direttore della rivista “L’Autonomia”.
Nel 1953 fu eletto per la prima volta consigliere comunale del Comune di Bagheria , carica che ricoprì, anche in veste di capogruppo, e tranne una breve interruzione sino al 1989.
Dirigente regionale del Partito Comunista e appassionato militante, fu eletto Deputato al Parlamento Nazionale nel 1958, e riconfermato nel 1963 e nel 1968..
Strenuo oppositore della mafia, fu promotore nel 1964 della Commissione di inchiesta sugli scempi edilizi a Bagheria.
Fautore assieme ad altri della nascita della Galleria d’Arte Moderna di Villa Cattolica, intitolata poi a Renato Guttuso, che fece il corpo di donazioni più cospicuo.
Autore di numerosissimi articoli e corrispondenze , e tra queste ricordiamo, quelle sulla battaglia del pane a Palermo che culminò con la strage di Via Maqueda ad opera della polizia; le corrispondenze sugli scioperi dei lavoratori e dei carusi delle zolfare di Lercara, di una “Storia dei Florio”, uscita come inserto per il giornale “L’Ora”, e di un opuscolo”Appunti per una storia di Bagheria”.
Conseguì la laurea in storia e filosofia, presso l’Università di Palermo, discutendo una tesi su Spinoza. (Giuseppe Speciale in una foto a Villa Lentini, marzo 1995)
Fin da studente, allievo del professore Ferretti, maturò la sua fede antifascista e la sua scelta politica. A quel periodo risalgono le sue amicizie con Paolo Aiello, Renato Guttuso, Ignazio Buttitta, Pepito e Vittorio D’Alessandro, Giacomo Giardina, Castrense Civello, Franco Grasso e tanti altri.
Si iscrisse al P.C.I. nel 1944; tornato a Palermo nel dopoguerra fu chiamato a collaborare con “la Voce della Sicilia”, di cui era direttore Girolamo Li Causi, assieme a Franco Grasso e Francesco Renda.
Fu successivamente direttore della redazione siciliana de “L’Unità” il quotidiano del Partito Comunista, corrispondente di “Paese Sera” e collaboratore de “L’Ora”, oltre che direttore della rivista “L’Autonomia”.
Nel 1953 fu eletto per la prima volta consigliere comunale del Comune di Bagheria , carica che ricoprì, anche in veste di capogruppo, e tranne una breve interruzione sino al 1989.
Dirigente regionale del Partito Comunista e appassionato militante, fu eletto Deputato al Parlamento Nazionale nel 1958, e riconfermato nel 1963 e nel 1968..
Strenuo oppositore della mafia, fu promotore nel 1964 della Commissione di inchiesta sugli scempi edilizi a Bagheria.
Fautore assieme ad altri della nascita della Galleria d’Arte Moderna di Villa Cattolica, intitolata poi a Renato Guttuso, che fece il corpo di donazioni più cospicuo.
Autore di numerosissimi articoli e corrispondenze , e tra queste ricordiamo, quelle sulla battaglia del pane a Palermo che culminò con la strage di Via Maqueda ad opera della polizia; le corrispondenze sugli scioperi dei lavoratori e dei carusi delle zolfare di Lercara, di una “Storia dei Florio”, uscita come inserto per il giornale “L’Ora”, e di un opuscolo”Appunti per una storia di Bagheria”.