Il feudo dell’Accia non faceva eccezione alla regola. Queste terre che in mano ai contadini avrebbero di lì a pochi anni fatto arricchire centinaia di famiglie erano utilizzate soltanto per far pascolare qualche sparuto gregge.
Il decreto salemitano di Garibaldi,
Lo stesso Corleo venne chiamato, nella qualità di sovrintendente per l’enfiteusi dei beni rustici ecclesiastici in Sicilia, a dare applicazione alla legge.
E bisogna ammettere che la legge fu realmente e rapidamente applicata, tra l’altro a mezzo di un apparato burocratico assolutamente esiguo. La sovrintendenza disponeva, infatti, di nove impiegati compreso il Corleo, mentre le commissioni circondariali che erano quelle che materialmente procedevano alla lottizzazione e alla assegnazione delle terre avevano un organico ancora più ridotto.
Nel giro di tre anni, in applicazione della legge Corleo che non è altro, bisogna ripeterlo, che la trasformazione in legge del Regno del decreto di Garibaldi, duecento mila ettari di terra vengono tolti ai vescovi abati e dignitari vari della chiesa cattolica e distribuiti. A chi? C’è a questo proposito una vecchia polemica. Dicono gli uni, sulla base di un giudizio, secondo noi unilaterale, di Franchetti e Sonnino, che le terre vennero tolte alla chiesa e date a gente benestante.
La lottizzazione dell’Accia smentisce in pieno questo giudizio negativo.
Il feudo, infatti, venne addirittura polverizzato fra più di un migliaio di assegnatari di Bagheria, Casteldaccia e Misilmeri. Gli assegnatari di Bagheria furono esattamente mille e otto. Praticamente non ci fu famiglia che non ne ebbe la sua fetta di terra all’ Accia.
Certo le cose non andarono così nel resto dell’Isola, resta comunque il fatto che i duecento mila ettari di terre della manomorta furono divisi fra oltre venti mila nuovo proprietari.
Si trattò di una vera e propria riforma agraria, forse l’unica nella travagliata storia moderna della Sicilia.
Se pensiamo che un secolo dopo la riforma agraria approvata dall’assemblea regionale e applicata attraverso un ente che disponeva di duemila impiegati, ha dato in sorteggio poco più di cento mila ettari di terra a tredicimila braccianti siciliani possiamo fare un utile confronto.
Ma torniamo a Bagheria. Appena, nell’agosto 1865, i lotti vengono consegnati agli assegnatari l’ex feudo cambia rapidamente volto. Vengono piantate le vigne che per oltre un ventennio saranno la ricchezza di Bagheria. Una lunga serie di abbondanti vendemmie e soprattutto il boom del prezzo del vino che a cominciare dal 1868, raggiunge punte elevatissime (è il periodo della eccezionale espansione delle nostre esportazioni specie verso la Francia) trasformano completamente Bagheria. Centinaia di piccoli vignaiuoli riescono ad accumulare notevoli profitti che investono nella costruzione di case e di palmenti. Nascono in questo periodo i rioni delimitati dall’antico viale di accesso alla villa Palagonia, dal corso Butera e dallo “stratonello”.
Si espande anche l’antico rione dietro la Matrice e il Miseremini abitato prevalentemente da braccianti.
Aumenta la popolazione, il Municipio è fra i primi in Sicilia ad aprire scuole comunali.
Continua....