Fino alla metà del 1300 la fascia costiera che dalla foce dell’Eleuterio si estendeva sino al torrente Milicia, e che, “con voce arabica” -come attesta un grande storico siciliano del ‘500, Tommaso Fazello - veniva chiamata Baharìa,
apparteneva ancora al “sacro regio demanio” ed era amministrata dalla città di Palermo, per antico privilegio concesso dai primi re normanni.
Come molte altre zone dell’isola, in quell’epoca, la Baharìa era una immensa foresta che forniva legname d’opera (utilizzato, soprattutto, per le costruzioni navali) ed allevava cervi, cinghiali e daini.
Nel 1365, un debole re aragonese, Federico il Semplice, è costretto, evidentemente per esigenze finanziarie, a concedere al palermitano Manfrido Layhabica il castello e il feudo di Solanto.
Da allora in poi tutto il sacro regio demanio che si estendeva attorno alla città di Palermo viene preso d’assalto da guerrieri, trafficanti e usurai i quali, approfittando della grave crisi in cui versava la monarchia a causa della lunga guerra contro gli Angioini e contro il Papa e della guerra civile che sconvolgeva l’Isola, si appropriano di un vastissimo territorio ricco e fertile, che la costituzione del regno di Sicilia considerava sacro e inalienabile. Distrutta la foresta, il territorio cambiò aspetto. A cominciare dal 1400, al posto delle querce, vennero piantati l’ulivo, la vite e, soprattutto, la canna da zucchero.
Il castello e il feudo di Solanto, di cui il territorio di Bagheria era parte, passarono lungo i secoli per molte mani.
Alla metà del 1600 essi appartenevano alla famiglia Joppolo.
E’ appunto in questo torno di tempo che si verifica l’avvenimento che darà indirettamente origine a Bagheria.
Due baroni palermitani, un Branciforti e un Filangeri, dopo una lunga ricerca decidono di costruirsi una casa da queste parti.
Quali i motivi che li spingevano a fare ciò?
Non il desiderio di stare in campagna. Possedevano altrove. Infatti, estesissimi feudi e non avevano, quindi, necessità di procedere a nuovi acquisti.
In realtà i due baroni cercavano qui un rifugio per quanto possibile sicuro.
E ciò perché la città, che negli ultimi 150 anni era diventata uno dei più popolosi centri d’Europa ( 130/140 mila abitanti quando Parigi ne ha 250 mila) cominciava a far paura ai magnati del regno.
Nel maggio del 1624 una violenta epidemìa di peste aveva ucciso nel giro di qualche mese 13 o 15 mila abitanti.
Nel 1647 la rivolta popolare capitanata da Giuseppe D’Alesi terrorizza i nobili che numerosi si rifugiano nei loro feudi abbandonando precipitosamente i loro palazzi di città.
La ferocia della repressione testimonia appunto il terrore che aveva invaso l’animo dei baroni e degli altri privilegiati.
Il fratello del D’Alesi, stanato dal suo rifugio di vicolo Mori, venne squartato ai quattro canti.
I Puntata - continua****
Foto di Ambra Angileri
Nel mese di settembre del 1979, durante una Festa de l 'Unità a Bagheria Peppino Speciale, politico, giornalista e studioso di storia locale tenne presso l'aula consiliare di Bagheria tre affollatissime lezioni sulle origini e la storia di Bagheria, per tre serate consecutivamente.
Successivamente le registrazioni di quelle lezioni furono raccolte, riviste dallo stesso Speciale e pubblicate in un opuscolo dalla Sezione Comunista di Bagheria, sotto il titolo: "Appunti per una storia di Bagheria"
Ad oggi rimangono lo strumento di divulgazione sulle origini della nostra comunità più rigoroso, più completo e nel contempo di facile lettura. Proprio per questo abbiamo deciso di ripubblicarlo a puntate su Bnews nella convinzione di conttribuire a ricostruire una identità sociale e culturale che sembra talvolta smarrita.
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