Storie delle prime studentesse della facoltà di Lettere di Palermo agli albori del Novecento. Donne con l’ambizione dello studio e anche per questo trasgressive, “diverse”, nate da famiglie borghesi colte ma non ricche
che puntavano sull’istruzione delle figlie più che sul matrimonio. Uno spaccato della vita sociale e culturale dell’epoca raccontato attraverso le vicende biografiche delle brillanti allieve di Giovanni Gentile, di Giuseppe Pitrè e di Alfredo Cesareo.
Storie raccolte in un volume dei Quaderni della facoltà di Lettere intitolato “Ninfe proterve. Italia, Eva e Concettina studentesse di Lettere” scritto da Bice Mortillaro, oggi ottantunenne, una tra le prime iscritte a Giurisprudenza nel 1946, quando a studiare legge erano soltanto in cinque.
Il volume, corredato da un ricco apparato iconografico e da lettere inedite di Gentile, è stato presentato ieri venerdì 6 marzo, in concomitanza con l'imminente giornata dell'8 marzo, nell’Aula Magna della facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo.
Una carrellata nella vita di giovani donne orgogliose e ambiziose con il desiderio di raggiungere la parità e l’autonomia economica. Storie di aspirazioni di emancipazione spesso fallite a causa della guerra, del matrimonio con uomini illustri, della maternità.
“Era mio dovere non fare scomparire queste donne e restituirle alla memoria della città e del suo Ateneo”, dice l’autrice del volume, scritto dopo un lungo lavoro di ricerca negli archivi della facoltà di Lettere, della Biblioteca Regionale, dei quotidiani locali e anche dall’ archivio familiare della madre, ricco di ritagli di giornali, lettere e fotografie.
Del gruppo di giovani donne “Libere telepatiche” faceva parte anche Italia Mortillaro, zia dell’autrice, nata in una famiglia di idee risorgimentali. Allieva di Giovanni Gentile, fu la prima del gruppo a laurearsi e scrisse una tesi sulle figure femminili del Tasso, un lavoro pubblicato e richiesto anche all’estero dalla Biblioteca di Londra e di Dresda. Consentì a Italia Mortillaro di affrontare uno dei temi più appassionanti e più attuali della condizione femminile: il superamento della frattura tra il ruolo della moglie e il ruolo di amante, tra la maternità e la sessualità. La giovane donna, insegnante di Italiano alla Scuola normale femminile “Rosina Muzio Salvo” di Trapani, ebbe contatti epistolari con tante giovani donne d’Europa di idee progressiste.
Anche Eva Zona fu allieva di Giovanni Gentile. Figlia del direttore dell’Osservatorio astronomico di Palermo, pubblicò una tesi su Foscolo e si dedicò tutta la vita alla scrittura. Emilia Marini, per il suo interesse per le problematiche sociali e politiche della donna, scelse di tradurre e commentare l’Antigone. Morì giovane, nel 1918, vittima di un’epidemia.
Concettina Carta, allieva di Giuseppe Pitrè, non riuscirà mai a fare pubblicare la sua tesi in tradizioni popolari.
Gli anni dal 1907 al 1912 sono quelli nei quali le donne del gruppo lavoravano alla tesi e si laureavano: le associazioni femminili in Italia erano impegnate nelle lotte per il suffragio e le donne finlandesi, prime in Europa, ottenevano il diritto di voto.
In omaggio a tutte le donne che hanno speso parti più o meno cospicue della loro esistenza nella lotta per l'amore di un ideale, il desiderio di emancipazione e riscatto sociale, culturale e spirituale da qualsivoglia forma di schiavitù, pubblichiamo una riflessione di Bice Mortillaro, scritta in occasione del suo 80esimo anno di vita.
RACCONTI DI VITA - di Bice Mortillaro Salatiello
I MIEI 80 ANNI
Per noi donne sono particolarmente intrecciate la vita privata e affettiva e le scelte al di fuori di essa, anche lavorative.
Mi sento fortunata per avere potuto conciliare politica delle donne, lavoro, volontariato, ruolo di madre e nonna come in un unico ruolo dove al centro c’è stata sempre l’affettività.
Oggi si vive più a lungo. Si possono così vivere più vite, avere nel tempo più interessi, soddisfare i propri desideri esistenziali, recuperare il tempo perduto. Così è stato per me.
Mi sono sposata quando ancora frequentavo l’università, era il 1949. Caparbiamente mi sono laureata ugualmente (per quei tempi non era scontato). Ho fatto felicemente la casalinga e la madre di tre figli. Ma negli anni sessanta l’insoddisfazione già serpeggiava. Mi portavo nel DNA familiare l’amore per la libertà, l’autonomia, il rifiuto delle ingiustizie sociali. Non a caso le svolte nella mia vita sono avvenute negli anni nei quali anche a Palermo arrivavano i venti della rivoluzione sessanttottina e la mia primogenita occupava l’Università.
Avevo già deciso di iscrivermi alla Scuola di Servizio Sociale (avrei voluto fare la magistrata,ma in quegli anni ancora era interdetto alle donne entrare in magistratura e non volevo fare la burocrate utilizzando la mia laurea in legge).
Iniziava così la seconda fase della mia vita capivo di avere fatto una scelta giusta, avrei potuto conciliare lavoro e impegno sociale, anche se avrei guadagnato molto poco. Ho fatto tirocinio presso un servizio sociale, ISCAL (Servizio sociale dello IACP), in una periferia di edilizia popolare, Borgonuovo dove numerose e agguerrite assistenti sociali lavoravano e lottavano a fianco degli abitanti per avere servizi e diritti dall’amministrazione comunale e rendere l’inserimento meno traumatico. Fu un’esperienza che influenzò le mie scelte future. Ricordo le assemblee affollate e un parroco bravissimo che lottava insieme agli abitanti.
Uno dei primi incarichi dopo il diploma mi venne offerto da un ente regionale di edilizia popolare a Bonagia, i cui edifici erano stati occupati abusivamente. L’esperienza precedente mi fece schierare insieme alla mia collega dalla parte degli occupanti. Il lavoro nel quartiere ci faceva prediligere il rapporto con le donne, che erano quelle che stavano in casa e che soffrivano maggiormente della mancanza di servizi e dell’isolamento. In un vicino quartiere sempre periferico, Borgo Ulivia, conobbi l’esistenza dell’UDI (Unione donne italiane) che da allora sarebbe stato il mio unico luogo della militanza politica e fu allora che capii che il lavoro sociale e politico erano intercambiabili.
Ho fatto parte dal 1972 dell’Assemblea nazionale dell’UDI e del Consiglio di amministrazione della cooperativa Libera stampa che editava il giornale Noi donne. Ho partecipato a tutte le lotte per i diritti delle donne: il nuovo diritto di famiglia, la legge sui Consultori, sugli Asili nido, la 194 (noi che lavoravamo nel sociale sapevamo quante donne nel sud morivano di aborto clandestino).
La mia presenza da indipendente nell’UDI, che allora, era una costola del PCI (eravamo ospitate in Via Stabile presso la sede del sindacato e dell’Ass. Italia-Urss ) era molto travagliata e disturbante .Sicuramente allora non avevo capito bene quali conflitti avessero Anna Grasso e Lina Colajanni, le due leader,all’interno del partito.
Non era per loro facile imporre scelte che riguardavano le lotte a favore delle leggi che le donne in quegli anni portavano avanti, in particolare la liberalizzazione dell’aborto. Il femminismo ‘puro’ in quegli anni era molto forte e agguerrito sia a Palermo che a Catania e noi eravamo viste come inaffidabili perché facenti comunque parte del PCI.
All’inizio spettò a me mediare, in qualità di indipendente, ma dopo, con la nuova presenza nell’UDI di tante giovani donne (cito Daniela, ma erano tutte splendide e determinate ad affermare la loro specificità politica ) la nostra autonomia politica, fra tanti contrasti, diventò palese. Ma nelle manifestazioni, le lotte, i cortei continuavamo ad essere separate. Per noi era frustante stare tra due fuochi (il partito e le femministe).
Adesso penso che era tragicamente paradossale e un po’ buffo.
Sino a che la loro leader Lisetta Milazzo non volle incontrarci e iniziò un periodo di unità che ci rese più forti.
Ed eravamo insieme quando la polizia caricò il nostro corteo,credo per la legge sull’aborto e ci unimmo anche quando il sindacato tentò di ‘scipparci’ l’8 Marzo.
In quegli anni 70 iniziai anche a fare volontariato presso il reparto di Neuropsichiatria infantile del Policlinico dove quasi a 50 anni ebbi un incarico a tempo indeterminato, ad un livello basso malgrado avessi due lauree. Insieme ad alcune mamme di bambini handicappati iniziammo una battaglia per l’eliminazione delle “classi speciali”, contro la ghettizzazione. Da quell’esperienza nacque il coordinamento handicappati.
Erano gli anni delle assemblee all’ospedale psichiatrico e l’adesione a Psichiatria democratica, che aveva come obiettivo l’approvazione della legge sulla chiusura dei manicomi (la futura 180.) Invitammo Basaglia a Palermo.
Il vantaggio di essermi sposata giovane ed avere i figli già grandi mi consentiva questo impegno a tempo pieno, ma della casalinghità mi era rimasto il piacere di cucinare, molto gradito dagli amici dei miei figli e così la mia casa era piena di giovani.
Gli anni ottanta furono gli anni della piena militanza femminista, ma anche di partecipazione ad una rivolta morale contro il malgoverno della nostra città (iniziava la cosiddetta primavera siciliana, protagonista il sindaco Orlando).
Ancora una volta fu una chiesa ad accogliere le assemblee:prima a S. Chiara con Don Rocco(puntualmente trasferito come in futuro sarebbe accaduto a Don Meli) e in seguito a S. Francesco Saverio. Non c’era differenza tra noi operatori sociali laici e cattolici e alcuni militanti di partiti: avevamo tutti gli stessi obiettivi: affermare i diritti di tanti cittadini emarginati, dei più deboli, denunziare l’amministrazione mafiosa della città.(nacque il Co. Ci. Pa.)
Fu in quella chiesa che incontrai una donna speciale Candida anche lei assistente sociale. Lei profondamente cattolica io laica. Ci intendemmo subito, avevamo gli stessi obiettivi. Facilmente mi trascinò in una avventura che per me continua ancora. Lei ci ha lasciato. Certamente ha influito,dopo la perdita del mio meraviglioso Gabriele, il bisogno di occupare la mia mente, di non lasciarmi spazi mentali vuoti. Mi convinse a far parte dell’associazione di volontariato Laboratorio Zen Insieme che lei aveva creato con un gruppo di volontari che avevano deciso di lavorare nel quartiere Zen che si delineava già con tutti i suoi problemi per l’occupazione abusiva da parte di abitanti di un centro storico che crollava per l’incuria dei nostri amministratori (nessuno sino ad allora era riuscito ad entrare nel quartiere perché gli occupanti diffidavano di tutti).
Per me stava per arrivare l’età della pensione. Avevo accumulato un grande bagaglio di esperienze che volevo continuare ad utilizzare a servizio degli altri, soprattutto donne e bambini.
Iniziava la terza fase della mia vita. Avevo imparato l’importanza della relazione tra donne. Anche con le donne dello Zen c’erano tanti problemi esistenziali in comune al di là della condizione socioeconomica e di abusivi.
Fu questa pratica del partire da sé propria del femminismo,che mi permise di entrare in relazione con le donne dello Zen 2. Andavo a trovarle a casa, erano giovani, con figli già grandi, con tanti problemi. Vivevano isolate in appartamenti lucidati, depresse, una depressione che le faceva dormire fino ad ora di pranzo. Scoprì che era questa una delle ragioni dell’evasione scolastica dei loro figli. Erano felici di offrirmi il caffè e parlavamo. Parlavano di sé, dei loro problemi di sopravvivenza ma anche dei problemi di coppia, un marito spesso violento, mi chiedevano aiuto e solidarietà.
Aprimmo il primo centro sociale dentro uno dei caseggiati (insule). Fummo reputate folli per il pericolo che correvamo, ma fu lì che le donne dello Zen festeggiarono il loro primo 8 marzo. Vennero in tante, cucinammo, mangiammo insieme e noi portammo le mimose. Il centro sociale era aperto ai bambini e alle mamme.
Un giorno d’estate, quando lo Zen diventa una prigione insopportabile, proponemmo alle donne di andare la sera a mangiare una pizza in centro città. Non fu facile convincere i mariti, ma alla fine, trenta donne dello Zen in pullman andarono in città e rivendicarono il loro diritto alla cittadinanza e ad una serata felice. Organizzammo in seguito per loro corsi di ceramica e di pittura; erano bravissime, ma l’esperienza più importante fu il Corso di formazione per educatrici ed assistenza per l’infanzia con i fondi europei. Quando appendemmo nelle strade del quartiere il bando che invitava le donne a presentare le domande non eravamo sicure che le donne avrebbero risposto. I posti erano trenta arrivarono quasi trecento richieste. Il corso lo chiamammo Antigone, vi parteciparono trentadue donne del quartiere anche sposate e con figli, entusiaste e bravissime.
Con l’aiuto dell’Ass. Libera e di Rita Borsellino ristrutturammo un ampio locale in un’altra insula dello Zen, dove i bambini e adolescenti si riuniscono,fanno musica,studiano,informatica e non spacciano (non esiste nessun asilo pubblico nel quartiere con circa 25.000 abitanti).
Gli anni novanta sono stati gli anni delle stragi. Abbiamo cercato di portare la lotta antimafia nel quartiere e non era facile. Con l’Associazione abbiamo fatto parte di P.A.U.(Palermo Anno Uno)per la rinascita della città. Contribuimmo a far nascere Libera nazionale. Sono stata,insieme alle compagne dell’UDI, protagonista, dopo la strage di Via D’Amelio, della straordinaria iniziativa politica tutta femminile,delle ‘Donne del digiuno di Piazza Castelnuovo, durata più di un mese (non volevamo che la gente,era agosto,andasse al mare e dimenticasse)Andammo a Partanna e portammo la bara di Rita Atria al cimitero
Il periodo della mia vita di cui sono più orgogliosa sono gli anni ottanta per avere contribuito insieme alle compagne dell’UDI di Palermo alla svolta libertaria con lo storico congresso del 1983 che sancì l’autonomia e l’indipendenza dai partiti.
L’UDI di Palermo diventò il luogo politico delle donne. Portammo in Sicilia le idee, le elaborazioni più interessanti e avanzate: dal primo Sottosopra, ai documenti contro la guerra di Alessandra Bocchetti. Iniziammo in una sede piccola ma tutta nostra, ed in seguito una più grande in via XX Settembre. Ci autofinanziavamo organizzando feste, aprimmo anche un servizio di ristorante.
Ad una delle nostre feste venne anche G. Falcone con la scorta (e non lo accogliemmo proprio bene). Iniziammo anche un servizio autogestito di consulenza legale e psicologica per le donne in difficoltà, sul modello della Casa delle Donne di Roma. Eravamo donne legate da una profonda relazione affettiva e grande solidarietà, stavamo bene insieme anche se spesso litigavamo, ma bastavano la voce e la chitarra di Marilena per farci superare i conflitti, che erano anche momenti di confronto e libertà.
In quegli anni creammo l’associazione “D Come Donna” della quale ero presidente. Si sentiva la necessità di uno spazio culturale che seguisse e approfondisse quanto di interessante elaboravano le donne dalla Libreria di Milano, le filosofe veronesi e napoletane: il pensiero della differenza. Aderimmo alla società delle storiche che nasceva in quegli anni. Invitammo Luisa Muraro, ma non dimenticavamo l’altra politica. Organizzammo incontri con donne palestinesi e israeliane progressiste. L’evento più importante nel 1989 fu il convegno allo Steri di Luce Irigaray.
Qui si interrompe la mia vita.
E’ questo il mio vissuto, anche se ho continuato a fare tante cose, non abbandonando il mondo delle donne, che non erano solo le donne dello ZEN ma anche l’Associazione Mezzocielo. Adesso abbiamo fondato Luminaria.
Come ai tempi dell’UDI continuiamo a discutere, a litigare, a stimarci, volerci bene. Questo fa parte della nostra differenza.
I luoghi delle donne sono gli unici luoghi che mi collegano a un passato felice, e continuo a vivere come in una doppia vita dove passato e presente, felicità e dolore si sovrappongono.
Sono passati tanti anni dai quei lontani anni sessanta, quando presi la strana decisione di fare l’assistente sociale e uscire dalla casalinghità. E’ stato il mio essere donna, il mio bisogno naturale di aiutare gli altri a farmi prendere questa decisione? Oppure il bisogno di realizzazione anche al di fuori del ruolo familiare? O anche il mio rifiuto delle situazioni di ingiustizia sociale?
Sono stata sempre convinta che il lavoro sociale, il volontariato sono aspetti importanti e autentici della politica.
L’interesse verso il lavoro sociale delle nuove generazioni ne sono una conferma.
Bice
La foto di Bice Mortillaro è uno scatto del fotografo Fabio Marino.