REWIND – Riavvolgiamo il nastro. Questa settimana si parla di calcio. L’Italia è fuori dai mondiali. È un’Italia a (b)randelli, anzi a Prandelli (l’hanno usato tutti il cambio di consonante, lo faccio pure io). Una persona di mia conoscenza sostiene che le donne non devono mai, e per nessun motivo, parlare di calcio. Il soggetto in questione è fermamente convinto che questo gioco tra ventidue uomini adulti che, all’interno di un rettangolo verde, in pantaloncini corti, inseguono un pallone e lo calciano nel tentativo di far entrare la sfera all’interno di un’area delimitata da tre pali di legno, racchiuda sfumature insondabili e accessibili solo al maschio. Perché bisogna farsi, secondo lui (perché è un lui), la strada, aver calciato un pallone contro una saracinesca, aver conosciuto lo sguardo d’intesa con un compagno, il capo chino dentro lo spogliatoio dopo una sconfitta, essersi riempito le narici di odore di disinfettante dentro le docce più squallide dei più periferici campi di calcetto; e anche i più malfamati, se vivi a Caracas. Il calcio (quello giocato) è virile, il calcio è un fatto di gruppo, il calcio è irrefrenabile, ovunque e comunque lo si giochi. È tutto calcio, o scaraventi da solo il pallone contro un muro viaggiando con la fantasia o calci un rigore decisivo durante la finale di un mondiale. È tutto calcio e le donne lo possono anche razionalizzare, ma, mai lo potranno capire fino in fondo, in nessun modo riusciranno ad afferrarne l’essenza. L’afflato. Un discorso che costeggia la strada del maschilismo soft, a ognuno il suo mondo e cose di questo genere, poi svolta e si addentra sul terreno minato del “sarebbe come”. E continua così la persona di mia conoscenza: “Sarebbe come spiegare ad un uomo cosa provano certe donne di fronte una vetrina di Louis Vuitton, l’effetto calamita di un abito da sera, la pupilla dilatata al cospetto del giusto accessorio. La magia. Pensare che un uomo possa comprendere tutto questo è illusorio, possono accompagnarvi rassegnati, accettare il mistero; ma, capirlo, mai. ”. In effetti, sperare che un uomo possa afferrare la musicalità scandita di un nome e cognome recitato con distaccata lentezza come, per esempio, Mi-u-ccia-Pra-da, significa tentare di farlo entrare dentro un universo alieno. Le due celeberrime metà della mela si uniscono rimanendo separate dal vetro di una vetrina e da lì ci si osserva senza poter entrare in contatto fino in fondo, senza poter scavalcare il confine. Mentre dopo un po’ di vicendevole osservazione, lui si stanca e comincia a palleggiare.
PRESAGI - Leggendo il futuro dentro una sfera. Di cuoio. Fatte le giuste premesse, e condividendo l’insondabilità del mondo pallonaro, almeno per me, di questa avventura della nazionale italiana al mondiale brasiliano mi interessano i punti di contatto con la realtà politica, se non altro, in termini metaforici. Partiamo da un dato: Prandelli è renziano. Ho letto interviste, mi sono documentata, e lui ha chiaramente detto “io tifo per Renzi”. Considerando che Renzi avrà tifato per lui, si spera che l’Italia politica non precipiti con la stessa rapidità dell’Italia calcistica. Se poi consideriamo che, malgrado la pippaggine acuta dei nostri calciatori, qualsiasi persona di buon senso riteneva più probabile una vittoria ai mondiale che il risanamento dei conti pubblici, l’abbassamento del tasso di disoccupazione, il superamento della crisi economica, possiamo dire che il compito di Renzi è di gran lunga più complicato di quello che spettava a Prandelli. Altro elemento che unisce Prandelli a Renzi è l’idea del nuovo, la rottura con i vecchi schemi, un new-deal politico e calcistico. Mi dicono che l’Italia non ha messo in campo le sue armi consuete, Prandelli ha imposto un nuovo stile, poi pare sia entrato in confusione e tutto è naufragato. Anche Renzi abusa dell’aggettivo “nuovo”, l’Italia spera che Prandelli non abbia fatto da apripista. Altro punto di contatto tra Prandelli e Renzi è la flessibilità nell’imporre le regole, i comportamenti, per poi aggirarli, se conviene. La nuova politica, l’immunità, il codice etico dei calciatori, Chiellini da una gomitata ad un calciatore della Roma, si becca tre giornate, ma lo convoco lo stesso. Cose così. Un certo disprezzo per la coerenza, Chiellini come Berlusconi, i principi sono sacri, ma, se serve, li aggiriamo. Si scende a patti.
L’APPARENZA INGANNA. Appendice. – La settimana scorsa le mie parole sulla foto dell’assassino di Yara Gambirasio, immortalato tra di cani e gatti, hanno provocato reazioni da parte di alcuni dei “gentili lettori”. Disapprovazione. E va benissimo così. Qualche amico ha scomodato parole come “delirante” e anche questo va bene. Ho sorriso. In nessun caso traspariva cattiveria. Però, su una cosa dovete concordare con me, ci sono comportamenti, ruoli, che predispongono positivamente. Si chiama preconcetto positivo. Se una signora, ogni sera, si fa tre piani di scala a piedi per portare da mangiare ai gatti che miagolano nel vicolo, non ditemi che ai nostri occhi questo non è un comportamento che percepiamo benevolmente e che ci conduce a farci un’idea positiva della persona. Se poi, il cibo portato ai gatti, non è altro che una maniera originale per far sparire il cadavere del marito, allora una certa sorpresa sarà legittima. Un “chi lo avrebbe mai detto” è ciò che spontaneamente ci viene da dire. Perché il preconcetto è bidirezionale. È in negativo, ma anche in positivo. Alle volte, certe cose, non te lo aspetti. Se una persona mi si presenta come direttore della Caritas qualche barriera la smonto, se poi mi aggiunge che è un sacerdote, allora una certa confidenza con il messaggio di amore cristiano gliela devo riconoscere, se, infine, ti arrestano con l'accusa di concussione e violenza sessuale pluriaggravata, come è capitato a Sergio Librizzi, sacerdote e direttore della Caritas di Trapani, allora un pizzico di sorpresa è inevitabile. Sarò molto meno sgamata di alcuni miei lettori che sulla natura umana e le sue sfaccettature sembrano saperla lunga, ma, io, ai lupi travestiti d’agnelli non riesco proprio ad abituarmi. Cosa c’è di più subdolo?
P.O.S. – L’Italia è un Paese senza speranza. Questa è la mia posizione. Un opinione, attaccabile, forse, nemmeno rispettabile. Poi ci sono i fatti a conferma. Leggo: lotta all’evasione. Continuo a leggere: Basta contante: dal 30 giugno commercianti, artigiani, professionisti, chiunque sia in grado di fornire una merce o un servizio ai consumatori dovrà dotarsi di un Pos, il "point of sale", quel dispositivo che permette di effettuare un pagamento con bancomat, carta di credito o debito. Un obbligo che riguarderà tutti: dal dentista al venditore ambulante, dall'avvocato all'idraulico. Nessuno potrà più rifiutarsi di accettare un pagamento tracciabile, purché la somma dovuta non sia inferiore ai 30 euro. Bene, anzi, benissimo. Entusiasmo, poi, delusione. “non è contemplata nessuna sanzione a carico di chi non rispetterà l'obbligo.” Come un divieto di sosta che non permette di punire il trasgressore. Allora, ci parcheggiano tutti! Come si fa a concepire una cosa del genere. E questo è il nuovo, il “Renzi apprendellato”.
CALIENTE – A Bagheria l’estate si annuncia caliente. Le cose sembrano prendere fuoco così, all’improvviso. Il 23 giugno viene arrestato un bagherese per aver appiccato un incendio in un fondo agricolo. Difesa: me lo ha commissionato il proprietario: voleva ripulire il terreno. Ripulire. Sicuramente, il verbo corretto. Il 27 giugno si è verificato, al calare delle prime ombre della sera, quando gli spiriti inquieti cominciano a sgranchirsi le gambe e a stiracchiarsi i muscoli, un incendio di natura (forse) dolosa, presso la stanza dell’ufficio amministrativo del cimitero di Bagheria. E’ andato bruciato tutto il materiale amministrativo, vale a dire i documenti di seppellimento e di assegnazione dei loculi, bollettini di versamenti e reversali. Tutto, tutto. La cosa incredibile è che al cimitero di Bagheria avvengono cose strane, ma che, a dispetto di tutta la letteratura gotica, horror, splatter, zombies, prodotta negli anni, i morti – a Bagheria - non sono colpevoli di nulla. Anzi, beffardamente, sono le vittime. Il problema di Bagheria è l’autocombustione, come il traffico in Johnny Stecchino. E anche qui “Ripulire” è il verbo che si staglia all’orizzonte come una nuvola stanca dentro una giornata afosa. Rimane lì. Mi chiedo, ma è mai possibile che in questo paese le uniche cose non si riesce a ripulire sono le strade e le spiagge?
DURA LEX, SED LEX – In Italia, dove tutto è possibile, dove i POS diventano obbligatori, ma non posso obbligarti a tenerli, ogni cosa assume il sapore dell’ossimoro. Dopo solo sei anni di carcere Annamaria Franzoni va ai domiciliari. Lo ha deciso il tribunale di Sorveglianza di Bologna. Per la legge italiana e per la verità (quella processuale, dopo tutti i gradi di giudizio) Annamaria Franzoni è un’assassina. Nulla conta quello che ognuno di noi pensa; innocentisti, colpevolisti. C’è stato processo e c’è stata sentenza. Ha ucciso suo figlio, ha ucciso un bambino. Questo è quanto ha accertato lo Stato italiano. Ora è fuori, con questa motivazione: “si può sostenere che non vi sia il rischio che si ripeta il figlicidio… Una tale costellazione di eventi non è più riscontrabile”. Mettiamo da parte l’emotività, non conta stabilire se è giusto o è sbagliato. Potrebbe anche andare bene così. Quello che non va bene è il disprezzo per il principio di uguaglianza. Questo Paese delle leggi ad personam non può sopportare anche che mentre la Franzoni è fuori, altri scontino la loro pena fino in fondo. E perché questo non dovrebbe valere per l’assassino di Yara o per l’uomo che qualche giorno fa, a Motta Visconti, ha sterminato la famiglia? Anche per questi uomini, probabilmente, una tale costellazione di eventi non sarà più riscontrabile. Qualsiasi pena, anche una semplice multa, diventa sproporzionata se l’omicidio volontario di un bambino vale sei anni di carcere. Se questo è il metro, perché un rapinatore, uno spacciatore, un truffatore, ne dovrebbe scontare di più? Forse perché le mamme sono buone e gli spacciatori sono cattivi? E torniamo alle apparenze, torniamo ai preconcetti. Positivi e negativi.
Giusi Buttitta
E' un'Italia a (B)randelli - di Giusi Buttitta
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