Si è chiusa una campagna elettorale, senza passione ed entusiasmo da parte di nessuno dei contendenti.
Assolutamente assenti nel dibattito i temi dell’Europa, della crisi economica mondiale, della necessità di un nuovo ordine economico sovranazionale che riparta dall’ambiente,
dalla qualità di vita, dalla tecnologia e dai servizi e soprattutto da uno sforzo economico eccezionale di investimenti verso i paesi sulla via (interminabile) dello sviluppo.
Le magnifiche sorti e progressive, di una economia che aumentava produzione e consumi in una rincorsa e sequenzialità quasi fideistica, si sono inceppate.
Abbiamo visti i paesi di capitalismo avanzato o maturo, acquisire allo stato banche e aziende per impedirne il fallimento ed evitare quindi una crisi ancora più devastante.
Abbiamo visto cioè, il capitalismo salvarsi utilizzando in maniera massiccia lo strumento delle nazionalizzazioni e rafforzando la presenza dello Stato nell’economia.
Economicamente arretrati, noi siciliani che viviamo di rendite, pensioni e stipendi dell’esercito di impiegati pubblici, regionali, comunali, forestali, precari, sanitari, L.S.U. P.O.N., P.O.R. fondi F.A.S., corsi di formazione e via via dilapidando, non abbiamo conosciuto più di tanto il morso della disoccupazione e della contrazione di reddito nella misura in cui l'hanno conosciuto altre aree del paese e altre nazioni.
La nostra arretratezza economica per una volta è stata la nostra linea Maginot.
Ma quanto hanno pesato i temi dell’economia e dell’Europa nel dibattito e nel confronto tra i partiti durante la campagna elettorale?
Poco, anzi nulla.
La vicenda della FIAT, una azienda che si sta confrontando con il problemi della crisi mondiale dell’auto, cercando di uscirne in positivo ha visto la casa torinese portare avanti la sua difficile battaglia negli U.S.A prima e in Germania dopo senza un governo a sostenerla, con un primo ministro infognato nella storia di Noemi, che, sia detto per inciso, non si può ancora prevedere quali conseguenze potrà avere sui risultati elettorali.
Il tema importante dell'ingresso della Turchia in Europa è stato quasi del tutto assente.
Così pure il ruolo politico dell'Europa nei rapporti con l'Islam, che con grande apertura e coraggio stanno invece affrontando gli Stati Uniti.
Come assente è stato il grande tema politico etico e culturale,della integrazione e dell'accoglienza nei confronti dei popoli dei paesi poveri che danno luogo a migrazioni bibliche in cerca di pace, pane e lavoro, come si diceva un tempo.
Su questo tema sui ragionamenti e il confronto sono prevalsi i pregiudizi.
Ma neanche da noi in Sicilia la passione è decollata: noi siciliani siamo stati presi dalla telenovela di Raffaele Lombardo e del futuro governo della Regione, ed i palermitani dai cumuli di spazzatura per le strade.
Come fai a parlare di Europa?
Eppure eravamo stati nelle prime elezioni europee uno dei paesi che ebbe una delle affluenze più elevata alle urne: con gli anni questo ineteresse per l’Europa è scemato sino a divenire fastidio.
A chi e a cosa servirà quindi il voto del 6/7 giugno?
Sarà un voto che ai partiti servirà per” pesarsi”, per fare il conto delle proprie forze e dei consensi alle loro scelte politiche, per ricominciare a giocare la partita: in Italia con il P.D. a lottare contro il tentativo di Berlusconi che, se avesse un consenso plebiscitario, sarebbe tentato di trasformare in “regime” un governo, in Sicilia servirà per regolare i conti tra M.P.A., U.D.C. e P.D.L:
In Italia, abbiamo un Partito Democratico in crisi di idee e di gruppo dirigente che si prepara a contare i cocci all’indomani del 6/7 giugno; e come sempre gli altri frammenti della costellazione di sinistra a gioire per uno 0,1 in più infischiandosene del più vistoso meno, che probabilmente punirà complessivamente le forze del centro sinistra.
Un P.D.L. ed una Lega che sembrano filare con il vento in poppa, e che si avviano a conquistare una messe di consensi, che neanche le pietose bugie di Berlusconi riescono a mettere in crisi.
Un partito l’U.D.C., che nelle sue roccaforti elettorali, in Sicilia soprattutto, sconta l’erosione di voti e di dirigenti da parte dell’M.P.A., e che tenta ancora di proporsi come terza forza.
E poi tutti gli altri a remare controcorrente per un 4% che solo la lista di Di Pietro ha la certezza di potere raggiungere.
Confessiamo che sino a qualche giorno fa, per la prima volta dal 1967, anno in cui votammo per la prima volta in una elezione per il Parlamento regionale, abbiamo accarezzato l’idea di starcene a casa.
Sappiamo però che alla fine faremo come Montanelli, che allora, nel 1983, ci sembrò un campione di cinismo: ci tureremo il naso - come lui consigliava di fare - e andremo a votare; nella consapevolezza che altre vie non ci sono.