Apprendo da “Repubblica” di Palermo che Bagheria ha il triste primato italiano del disagio sociale. Quattordici bagheresi su cento sono senza lavoro (almeno ufficialmente) e vivono di reddito di cittadinanza. Se si pensa che ancora negli anni sessanta-settanta del secolo scorso molti palermitani e siciliani dei paesi vicini venivano a lavorare a Bagheria un po’ di rabbia è difficile contenerla.
Se fossi il sindaco di Bagheria non ci dormirei la notte. Non vorrei essere frainteso. L’attuale amministrazione non ha alcuna responsabilità. È al lavoro da appena otto mesi ed è ancora troppo presto per stendere un bilancio. E però non starei tranquillo lo stesso.
Stiamo vivendo una generale e drammatica questione meridionale e siciliana la cui soluzione non dipende certo dal sindaco di Bagheria. Ma Bagheria non è un paese siciliano qualsiasi. Qualcosa sindaco e amministrazione possono fare. Sarebbe utile aprire un dibattito sull’argomento invitando esperti, non necessariamente o esclusivamente bagheresi, a individuare cause del disastro e eventuali rimedi. Qualcosa di simile a ciò che aveva fatto negli anni ottanta il sindaco Antonio Gargano. Fu chiamato «Piano dei saggi». Lo studio fu affidato a due docenti universitari: Vincenzo Li Donni, economista, e Leonadi Urbani, urbanista. Anche se non esistevano social e giornali online, un dibattito cittadino ci fu e qualcosa fu fatto.
La situazione oggi è incomparabile con quella di quarant’anni fa. Un motivo in più per cercare di capire e approfondire. Vanno inviduati con realismo e con l’aiuto di esperti i punti di debolezza e i punti di forza del sistema Bagheria oggi. Per evitare anche di disperdere le pochissime risorse di cui il Comune dispone in iniziative buone per un articolo di giornale ma che non portano sviluppo.
Attualmente sindaco e amministratori sono molto concentrati sullo sfincione e su Bagheria città del gusto. Iniziativa per certi versi lodevole che però non può mai e poi mai essere motore di sviluppo. Di due tre quattro eccetera buoni ristoranti e produttori di dolci è giusto essere orgogliosi ma non sono un motore economico. Possono e debbono affiancare una economia ma non possono essere il pilastro portante di un’economia. Salvo che il tale produttore di dolci non abbia la capacità di diventare una azienda a vocazione nazionale e internazionale. In questo caso tutti gli aiuti possibili da parte dell’amministrazione comunale sarebbero sacrosanti. Ma questo significa fuoriuscire dal folclore autoelogiativo paesano.
Così come non ha alcun senso pensare di potere ripristinare la grande epopea degli agrumi. Chi lo fa non conosce né passato né presente dell’agrumicoltura, siciliana e internazionale. Quella dei limoni è una stagione chiusa dell’economia bagherese. Per un motivo strutturale: non esistono le grandi estensioni di terreno necessarie per un rilancio industriale dell’agrumicoltura.
I punti di forza di Bagheria potrebbero essere altri. Dico “potrebbero” perché sarebbe giusto sentire l’opinione degli esperti. La mia opinione l’ho esposta più volte anche su questo giornale. Bagheria ha le condizioni per diventare un centro di servizi intellettuali per tutta l’area metropolitana e anche oltre. Ma per far questo bisognerebbe cominciare con l’evitare di fare scelte sbagliate come lo è stata la decisione di installare tra Villa Cattolica e Villa Sant’Isidoro un grande centro di raccolta e lavorazione dei rifiuti. Scelta che potrebbe stroncare alla radice il progetto di Bagheria “Città delle Ville e della cultura”.
Franco Lo PIparo