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Bagheria com’è oggi e due miti da sfatare
Fra poco più di due mesi a Bagheria andremo a votare per eleggere sindaco e consiglio comunale.
I candidati e le candidate alla carica di sindaco sono al lavoro per redigere i loro rispettivi programmi. (Per non appesantire il discorso userò il maschile come genere grammaticale neutro per indicare anche le candidate). Se mai qualcuno volesse tenerne conto proverò a dire quello che io, anziano bagherese non candidato, ho capito di Bagheria, del suo passato e del suo presente. In successivi articoli proporrò alcune idee per una politica realistica in vista di una Bagheria meno triste di quella di adesso.
Bagheria è stata sempre tra i paesi meridionali più ricchi, economicamente e culturalmente. I motori del maggiore dinamismo bagherese sono stati essenzialmte due: (1) la cultura non localistica che le aristocratiche Ville settecentesche hanno immesso nel territorio: le Ville sono state una iniezione di Europa urbana e colta in una realtà rurale; (2) l’assenza del latifondo e di conseguenza la presenza di un consistente strato di piccoli e medi proprietari agricoli.
I due motori di fatto si sono quasi sempre ignorati e a volte si sono fatti la guerra. Nella realtà profonda hanno cooperato a fare di Bagheria quella che è stata: un paese sul piano economico e culturale incredibilmente vivace che ha sempre vissuto in una dimensione non localistica. La macchina produttiva non ha mai lavorato per il consumo locale: dall’industria per la conservazione del pomodoro al limone esportato in tutto il mondo, Stati Uniti e Russia inclusi. Quanto alla cultura alta c’è l’imbarazzo della scelta: dal giurista Francesco Scaduto al matematico Bagnera, dal pittore Guttuso al regista Tornatore, ecceterea eccetera, volendo rimanere ai livelli più alti. Bagheresi che appartengono alla cultura italiana e europea.
In conclusione, Bagheria economicamente e culturalmente non è stata un paese.
Qual è la novità di oggi? Si può sintetizzare in poche parole: Bagheria non ha più un motore economico. Accade per la prima volta nella nostra storia.
Culturalmente ancora reggiamo, economicamente siamo in piena decadenza. Ancora una generazione e, se non troviamo la strada giusta per uscirne fuori, anche sul piano delle professioni culturali entreremo nel deserto. Basta pensare che i figli di molti dei nostri migliori figli emigrati (che sono tanti) non sono più bagheresi e alcuni di essi hanno una seconda cittadinanza non italiana. Sicuramente non svolgeranno la loro vita professionale a Bagheria. Sono bagheresi con curricula professionali eccellenti. Una perdita irreversibile.
Del degrado economico ci sono indubbiamente delle responsabilità politiche. Ma c’è un fattore oggettivo che precede le responsabilità politiche. Quello che fu il punto di forza della fiorente economia bagherese è diventato un freno allo sviluppo e, io ritengo, anche un fattore di accelerazione del decadimento: la piccola e media proprietà. Ancora trent’anni fa il proprietario di tre-quattro tumuli di terreno agrumicolo (l’equivalente di meno di mezzo ettaro) poteva fare studiare i figli e condurre una vita non ricca ma nemmeno povera. Oggi l’estensione di una piccola (sto dicendo “piccola”) azienda agricola che riesca a produrre per un mercato non locale usando le tecnologie più avanzate non può essere inferiore ai dieci ettari. Mi dite chi possiede nel territorio bagherese non dieci ma cinque ettari di terreno non spezzettato di qua e di là?
Questo è un dato oggettivo che precede le possibili scelte politiche.
L’agricoltura a Bagheria, se è bene organizzata e guidata, può al più produrre per il cosiddeto chilometro zero (vendita per il mercato rionale o a casa propria). Ma questo non è un motore economico paragonabile all’agrumicoltura come era fino a pochi decenni fa. È politicamente sbagliato puntare sull’agricoltura. Non perché l’agricoltura non sia importante ma perché Bagheria non possiede più le condizioni strutturali di un paese che possa vivere di agricoltura. Non abbiamo i terreni adatti in primo luogo. Manchiamo anche della conoscenza dei mercati internazionali: se andate in un qualsiasi supermercato dell’Europa centro-settentrionale trovate sempre ortaggi e frutta fresca – agrumi inclusi – di tutte le stagioni provenienti da varie parti del globo terrestre. Gli agricoltori di Bagheria saprebbero o potrebbero fare altrettanto a parità di prezzo? Chi volesse fare il sindaco mettendo nella propria bandiera programmatica il rilancio dell’agricoltura farebbe bene a studiare il rapporto tra costi di produzione (per noi altissimi anche usando il lavoro nero) e profitti. E le sempre più sofisticate competenze tecniche indispensabili per produrre qualsiasi cosa in quali scuole si acquisiscono?
Altro mito da sfatare: Bagheria potrebbe vivere di turismo grazie alle Ville. Chi sostiene questa idea non conosce le dinamiche dei flussi turistici che attraversano il mondo. Mi dite perché un giapponese o un tedesco o un milanese dovrebbero risiedere non dico una settimana ma due giorni a Bagheria? Per fare che cosa? Visitare le Ville? Le nostre Ville sono state importantissime nella nostra storia ma non hanno alcun particolare elemento di pregio che possa giustificare per un turista il risiedere a Bagheria piuttosto che a Palermo o Taormina. L’unica eccezione è Villa Palagonia grazie alle quattro pagine che, nel bene e nel male, Goethe le ha dedicato nel Viaggio in Italia. Il turista colto può visitarla in un paio d’ore e concedersi magari un pranzo in una delle nostre ottime trattorie aggiungendo, se ama il turismo gastronomico, una fetta di sfincione e un cannolo. Il turismo di massa, quello che modella l’economia di un paese, è altra cosa. I candidati a sindaco avranno sicuramente visitato almeno una volta Firenze, Venezia, Parigi, eccetera. Basta fare un confronto veloce per capire cosa significa avere il turismo come motore di ricchezza.
E allora? Quale futuro per Bagheria a partire dalla Bagheria quale è oggi? Vi dirò nel prossimo articolo la mia opinione di anziano bagherese non-candidato.
Franco Lo Piparo
Professore Emerito Filosofia del Linguaggio Unipa