Dal 19 al 21 di ottobre 2009 si terrà presso la villa Cattolica di Bagheria un convegno sull’opera di Antonio Pizzuto patrocinato dal Comune di Bagheria, dal Museo di villa Cattolica e organizzato con la collaborazione della Presidenza e della Cattedra di Letteratura italiana contemporanea della Facoltà di Lettere.
A cinquant’anni dalla più fortunata pubblicazione della Signorina Rosina (avvenuta nel 1959) per i tipi dell’editore Lerici che produsse sorpresa nella critica e una prima stagione di riconoscimenti dovuti a pochi ma acuti interpreti della letteratura italiana contemporanea, è intento degli organizzatori proporre un bilancio sullo stato degli studi alla luce degli apporti della filologia e degli ultimi studi.
Si intende così aggiornare il dibattito critico chiamando a raccolta critici di più generazioni con l’obiettivo di avvicinare all’autore un più vasto pubblico di lettori e di allargarne il consenso. Si intende cioè superare la dimensione elitaria della fruizione dell’opera pizzutiana affidandosi ad una nuova mediazione della critica che renda leggibile uno degli innovatori più affascinanti della letteratura del Novecento.
Oggi il compito è reso più facile dal lavoro condotto dalla Fondazione dedicata allo scrittore e dagli apporti dati da appassionati studiosi che pubblicandone l’opera lo hanno fatto conoscere meglio.
Argomento non secondario del convegno sarà la messa a fuoco del rapporto con le Teorie fenomeniste di Cosmo Guastella, che Pizzuto considerò sempre il suo Maestro, La coincidente pubblicazione quest’anno della ristampa anastatica di Le ragioni del fenomenismo, offrirà l’occasione per meglio valutare l’apporto che Guastella diede all’elaborazione della poetica pizzutiana.
Parteciperanno al Convegno i seguenti studiosi: Gillo Dorfles , Walter Pedullà, Angelo Guglielmi, Madeleine Santschi, Gualberto Alvino, Salvatore Ferilta, Angelo Rossi, Giuseppe Bentivegna, Denis Ferraris, Felicita Audisio, Rosalba Galvagno Salvo Zarcone, Benedetta Panieri, Salvo Butera, Giuseppe di Giacomo, Antonio Pane, Domenico Tubiolo.
Programma Convegno
Locandina
Come gli ineffabili brividi elettrici desti nell'assaggiata dal miele, onde a buon conto imeneio, consimili questi effusi in morbidi tocchi a mia contemplazione governandoli tanta poesia, quanta primigenia e tua propria virtù creatrice.
Antonio Pizzuto
Inediti e scritti rari - La Taverna di Auerbach - Anno II -1988, n. 2-3-4
di Pizzuto
1. La rinunzia alla unità narrativa, all’unità di azione, alle quali si sostituisce un libero lirismo.
2. La rinunzia allo psicologismo e quindi, a uno studio dei personaggi.
3. La rinunzia alla presentazione di un ambiente, di un mondo determinato e di conseguenza, la rinunzia a un colore fondamentale e dominante.
4. La rinunzia a ogni tesi particolare.
5. La rinunzia a considerare la realtà da un punto di vista meramente sensibile.
6. La rinunzia a fare letteratura erotica.
7. La rinunzia a limitare la narrazione nel tempo e nello spazio
8. La rinunzia a seguire una o altra formula determinata.
9. Proposito: Il proposito di realizzare una nuova espressione artistica in sostituzione del Romanzo. Per rendere più agevole la comprensione di queste nuove idee, esemplarmente, questo lavoro si presenta nella forma relativamente libera di una Sinfonia musicale, coi suoi quattro tempi discontinui tra loro, ma legati insieme dalla sintesi della inspirazione. Questa, si svolge anche fino a stati puramente fantastici, lirici e mitici, originali; i quali, non servono soltanto come mezzi espressivi, ma sono essi stessi espressione ultima e diretta della sensibilità di un artista.
Si riporta l'intervista di Mauro De Mauro ad A. Pizzuto
[ L’ORA, A. LXVII, n. 266, 11-12 XI 1967, p. 10 ]
Ritorna nella sua città l’autore della “Signorina Rosina”. C’è chi lo considera uno dei massimi scrittori italiani
Il soprendente Pizzuto
Palermitano dei Quattro Canti
Da Questore a raffinato musicologo – I suoi libri e il suo linguaggio
Quel giorno che uscì l’Ora – Fu così che conobbe Joyce
Quasi un inconsapevole nòstos, un ritorno alla maniera di Ulisse - o alla Joyce, col quale ha più d’un tratto in comune – ha ricondotto in questi giorni a Palermo Antonio Pizzuto. Lo scrittore Antonio Pizzuto. L’ex Questore oggi in pensione, Antonio Pizzuto, palermitano dei Quattro Canti di città. Si tiene in questi giorni a Palermo il Convegno nazionale di linguistica promosso dal Centro Studi Filologici Siciliani, ed Antonio Pizzuto vi partecipa, gli ha dato anzi un apporto vitale con un intervento discusso e criticato e dove c’è critica, discussione, confronto di idee c’è vita. Lunedì è in programma un appuntamento fra Palermo e l’ultima opera del nostro Felice Chilanti – “Il colpevole” – e sarà Antonio Pizzuto a presentare il libro ai palermitani.
Sono queste, causali validissime per giustificare il ritorno fra noi di un fantastico personaggio dei nostri tempi, pure c’è da giurare che a fianco di esse abbia agito un’altra molla per sospingere il settantacinquenne questore-letterato lungo la rotta Roma-Palermo alla ricerca dei luoghi, dei volti amici o soltanto noti, dei colori e anche degli odori che fra Quattro Canti e la Cattedrale amò, vide, assaporò il Pizzuto bambino, poi adolescente, poi il giovane e colto funzionario statale. I luoghi, i volti, le musicali pennellate che egli ha fermato nel tempo e nelle pagine dei primi romanzi, “La signorina Rosina” e “Si riparano bambole”, e che danno al suo ritorno, al suo nòstos il nome più calzante e sincero: nostalgia.
Per valutarne appieno il potenziale è indispensabile conoscere l’uomo. Una scheda anagrafica ci dice laconica che Antonio Pizzuto nacque a Palermo il 14 maggio del 1893. Suo nonno materno era Ugo Antonio Amico. A sua madre, poetessa, Carducci dedicò una lirica. A Palermo studiò, si laureò in legge e qualche anno più tardi in filosofia. Entrato nella Pubblica Sicurezza leggeva Proust in francese, traduceva per suo diletto Kant dal tedesco. Ai vertici della carriera presiedette la Commissione Internazionale di Polizia Criminale e intanto annotava scriveva analizzava e scriveva, studiava musica e scriveva per sé. Col 1° di gennaio del 1950 diventò pensionato statale, e scrittore per gli altri.
Da una scheda letteraria si può stralciare: “Pizzuto… uno scapigliato sublimato alla complicità con Ulisses e alla colleganza col Nouveau roman” Contini diceva “perfetto, rotondo, catafratto in una maturità che è magistero”: “… è certo che le nutrici di Pizzuto sono state il greco Platone, il latino Tacito: portati tuttavia all’iperbole, cioè oltre la frontiera riconosciuta all’indoeuropeo…” Questa scheda è firmata da Gianfranco Contini.
Ritmo incalzante
“E’ uno dei massimi scrittori italiani, per ora” dice di lui Lucio Piccolo. Ne è entusiasta, esprime questo entusiasmo e la sua ammirazione anche attraverso un gesticolare personalissimo che si intona al ritmo incalzante del parlare. E’ venuto da Capo d’Orlando a Palermo per rinnovare fisicamente una antica intensa conoscenza di Pizzuto, prima di ieri soltanto epistolare, “E’ un autore difficile, ma la difficoltà di intenderlo è ampiamente compensata dalla sostanza incisiva delle sue descrizioni. Catania ha avuto Verga, Capuana, Palermo è la prima volta che trovi un grande scrittore che la rappresenti nel periodo intermedio fra i primi del ‘900 ed oggi”.
Il barone poeta Lucio Piccolo ha conosciuto Antonio Pizzuto in casa del genero, in via dei Re Normanni. Vi è ritornato poche ore più tardi, in compagnia di Jò Lanza Mazzarino. Verrà ancora da Capo d’Orlando, lunedì, per la presentazione del libro di Chilanti. Un tale tributo di ammirazione tintinnante come buona moneta spicciola nostrana, casalinga, e per questo più convincente dei riconoscimenti della critica ufficiale, predispone all’incontro con Antonio Pizzuto che avviene di lì a poco nell’Aula Magna della Facoltà di Magistero dove si raccolgono i congressisti della linguistica.
Lo scrittore entra accompagnato da una nipote, appoggia ad un bastone il corpo scosso da un leggero tremito. Nello sguardo che ti pianta addosso mentre parli con lui fa capolino il Questore ed anche il vezzo di temporeggiare nel rispondere, prendendo a pretesto una incipiente sordità, dà l’impressione di un cedimento al deviazionismo professionale della mente. Compitissimo, affronta la conversazione restando in piedi, nonostante il ripetuto invito perché si sieda nella poltrona di prima fila riservatagli. Sfoggia una non comune padronanza del lessico e mostra di compiacersene. Bisogna interpellarlo col titolo di Professore, o di Maestro, o con quello burocratico di Commendatore? L’italianissimo Signore elimina l’imbarazzo della scelta.
- Signor Pizzuto, durante la carriera nella polizia, cioè prima di dare alle stampe Signorina Rosina, ha scritto altre cose? “Mi ascolti io sono un outsider della letteratura. Ho scritto, sempre, tutta la vita, ma con disposizioni testamentarie ho precisato che gli scritti che precedono la Signorina Rosina siano distrutti”.
- Perché no distrugge lei stesso in vita, ciò che vuole sia distrutto?
“Mi scusi, non sento. Diceva?”
- Niente, roba di poco conto. Piuttosto soddisfi la curiosità dei suoi lettori: lei scrive di getto, o dopo laboriosi ripensamenti? Cioè la sintassi ed lessico spietati rigorosi della sua prosa sono spontanei o elaborati?
“ La mattina la dedico alla prima stesura, di getto. Il pomeriggio e la sera rielaboro il materiale, lavoro di lima”
* Oltre a Rosina e Si riparano bambole, quali altri suoi lavori sono radicati nella realtà della sua vita vissuta?
* “Quasi tutti. Il Triciclo per esempio, è il racconto autobiografico di un caso che mi è accorso”.
* Come mai ha deciso, improvvisamente, di partecipare a questo convegno?
* “Da dieci anni sto zitto; adesso che hanno interrotto il mio lavoro invitandomi a parlare, voglio parlare”.
* Ci dirà, per esempio, perché la musica la ha aiutata a scrivere?, come asserisce Contini?
* Ma certo! Dirò che considero la prosa poliritmicità, non monotonia”.
Racconto autobiografico
Più tardi, durante la prima parte – applauditissimo – del suo intervento, Pizzuto si richiamerà ad autori di musica, solfeggerà, accennerà canticchiando motivi e ritmi a sostegno della sua tesi. Reciterà anche una sua lassa (lassa, francese lasse, forma semplicissima di strofe composta di una serie di versi legati dalla assonanza o dalla rima, dalla Enciclopedia Treccani) per dimostrare quanto il ritmo incida sulla prosa. Un Delegato di Polizia, poi commissario di Pubblica Sicurezza, poi Questore; precursore dell’Interpol; coetaneo di Gadda e di Lampedusa e di Montale, impone sostanziali diversità fra racconto e narrazione (“Il racconto congela il fatto, è sempre astrazione; la narrazione è concreta, ricrea attraverso la identificazione dell’essenza narrativa la fluidità profonda dei fatti”).
Fascinoso contrasto
Che cosa dire in più? E’ fascinoso contrasto incarnato dal palermitano Pizzuto – romanzierequestorelinguista – offre spunti senza fine alla esegesi, alla critica, alla cronaca. Vale la pena dare Antonio Pizzuto in pasto alla cronaca per avvicinarlo, anzi per avvicinare i lettori, al mondo spicciolo palermitano che egli ha descritto in chiave aristocratica. Vale la pena – o meglio, è l’unica cosa da farsi – dar la parola a lui:
“L’intervista, se permette, me la faccio io. Verterà su tre punti che ritengo, debbano far piacere al Suo giornale.
Primo punto: io sono forse l’unico che possa ricordare di aver assistito alla nascita del giornale L’ORA. Ero bambino, abitavo ai Quattro Canti nel palazzo dove c’è ora l’Upim. Una sera, ero sul balcone, improvvisamente la strada fu piena delle voci di una frotta di ragazzi che strillavano L’Ora, L’Ora… Tutti fummo sorpresi, incuriositi, poi divenne un fatto abituale.
Secondo punto. Nel 1922, o forse all’inizio del 1923, l’Ora fu il primo anzi lo unico giornale italiano che tradusse e pubblicò l’Ulisse di Joyce. Non tutto, beninteso, la parte finale, il monologo di Bloom. Fu un grande avvenimento letterario. Dopo la pubblicazione della prima puntata feci acquistare dalla Biblioteca Nazionale l’opera di Joyce… Eh, sì: L’ORA aveva una terza pagina di primo ordine…
Terzo punto. Nell’estate del 1936 – lei sa che ero nella polizia, parlavo alcune lingue, per questo mi telefonò il Direttore della Polizia , Bocchini, preannunciandomi che sarei stato trasferito al Ministero. Dissi di no, avevo papà ammalato – morì un anno più tardi – ma che fare? Seguivo in quell’epoca su un gustoso feuilleton pubblicato da L’ORA le vicende di un Cristiano D’Izel. Quando mi giunse il telegramma del Ministero partii. E son rimasto da allora con la curiosità di sapere come sia finita la vicenda di Cristiano D’Izel…”.
Vorrebbe che l’intervista finisse lì, ma lo incalzo. Parliamo del Convegno.
“L’essenza linguistica della narrazione sta nel lessico e nella sintassi”, dice. Poi si tuffa nella difesa di quattro sue creazioni, quattro termini che lui ha inventato – li definisce “quattro miei hapax” – che sono lamprà, giuliettistaggio, bressico, zélida dal verbo zélidare. Lamprà è preso in prestito da Tucidide, Sélene lamprà, una sposina in velo bianco si può chinare sul letto solo come Selene lamprà : giuliettistaggio è l’insieme che proviene da una camera contigua che ospita due
sposini in luna di miele: e la paglia che avvolge il fiasco di vino schiocca al tatto, zélida, appunto…
Mauro De Mauro
da Franco Ciminato, coordinatore del Convegno