Visita alla villetta di Ignazio Buttitta - di Carlo Puleo

Visita alla villetta di Ignazio Buttitta - di Carlo Puleo

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La prima volta che sono entrato nella villetta di Ignazio, ad Aspra, verso la metà degli anni Sessanta, ho vissuto un’inedita sensazione: le pareti erano coperte da manifesti e da foto del poeta assieme a personaggi illustri del mondo della cultura.


Artisti della penna, del pennello e dello spettacolo
e quadri dagli stili più diversi. Davanti l’ingresso un cartellone, di sicuro regalato da un cantastorie, con riquadri numerati, raffigurava la storia di Salvatore Giuliano.
Dopo avermi mostrato l’ampio salone, che fungeva da studio e da sala da pranzo, mi condusse nella stanza dove dormiva e anche lì le pareti erano coperte da foto e da una grande libreria.
Ignazio cavò fuori un libro e me lo porse.Conosci questo scrittore?” domandò a bruciapelo.
Per mia fortuna aveva scelto  un libro che avevo letto e riletto: “Le parrocchie di Regalpetra” di Leonardo Sciascia, con una bella dedica dell’autore.
Poi mi mostrò delle foto che ritraevano personaggi a me noti: Quasimodo, Evtuscenko, Zavattini e il pittore Treccani.
Alle mie risposte positive lo vidi sorridere. A quel punto capii che avevo superato l’esame e che ero stato promosso sul campo.
In seguito chiamai quella stanza “la trappola” perché Ignazio vi portava gli ospiti sconosciuti allo scopo di sondare il loro livello culturale.
Se gli sventurati non riconoscevano i personaggi delle fotografie e non avevano letto i libri da lui mostrati, venivano etichettati quali ignoranti, senza appello.
Qualche volta ho barato: quando accompagnavo qualche mio amico, lo avvertivo della trappola, così il metodo del poeta faceva cilecca.
Avevo notato che l’abitazione presentava un notevole numero di scale e ne chiesi il motivo.
Ignazio mi parlò dell’architetto che aveva progettato la villetta: Paolo Gagliardo.Bravo architetto, un vero artista. Diceva che per il mio progetto si era ispirato al grande Le Corbusier, ma non ha tenuto conto del gran caldo che c’è ad Aspra, specie nei pomeriggi estivi e il gran freddo di tramontana. Così, d’estate la casa diventa un forno e d’inverno un frigorifero.
La chiamava, con ironia, “’a villa c’à scala” e spesse volte “’a scala c’a villa”, ciò a causa delle tante scale volute dall’architetto, alcune delle quali finte, a solo scopo decorativo.
Veramente interessante è l’ampio terrazzo, a ventaglio, ove si gode la vista del grande golfo di Palermo.
Diceva lui:
“Affacciannusi n’to me terrazzu, si avi Palermu ’nta ’i vrazza.”

Poi Ignazio mi condusse nel pollaio e volle mostrarmi il suo potente gallo.

Era un gallo superbo, di razza tipica siciliana, dal piumaggio rossiccio e dalle migliaia di riflessi. “Quando la mattina canta, io mi sento riconciliare con la vita. Dovresti vederlo quando monta le galline: è un vulcano in eruzione.
E infatti il gallo cominciò a girare attorno a una gallina e come se avesse capito il motivo della nostra visita e i complimenti di Ignazio, saltò sopra la pollastra, beccandola e spennandola.
Questa strillava come se la stessero scannando, poi si quietò e si accasciò a terra. “Hai visto, hai visto, che ti dicevo? E’ straordinario.
Gli occhi di Ignazio brillavano di compiacimento e incitava il gallo a montarne un’altra. Era chiaro che lui si identificava nel gallo, per la grande virilità e libertà, tanto che in seguito gli dedicò una poesia.
U me gaddu, che comincia così:

Ch’era beddu lu me gaddu
chi fu patri e fu maritu
ogni pinna avia un culuri
e brillava u so’ vistitu.