Un racconto di Natale: Ricordo di O. D.

Un racconto di Natale: Ricordo di O. D.

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Il fatto è che le cose scompaiono, finiscono, o, se proprio va male, qualcuno le museizza. E questo capita proprio alle cose, le cose che nascono dal lavoro delle mani, dalla fatica, dal sudore.

Ancora negli anni della mia infanzia, all'inizio dei Settanta, non era insolito imbattersi in un verduraio ambulante che, dall'alto del suo carretto scrostato, incantava i clienti con un gergo desueto e misterioso.
Di carretti veri però, degni di Alfio e Turiddu, già allora se ne vedevano soltanto in occasione delle sfilate in onore del santo patrono, come ora si vedono, in foto a colori traslucide, adornare le pareti di brutte pizzerie. Se ne parlava ancora, però, come di un mondo per sempre perduto. I carrettieri, figure di confine tra l'iniziativa imprenditoriale privata e il malaffare, la prepotenza, l'affarismo spicciolo e senza scrupoli.
I pochi che ancora conservavano il mestiere di costruire carretti, già quaranta anni fa erano dei sopravvissuti, depositari di un'arte senza presente. Mi sarebbe piaciuto vederli all'opera. Un giorno, per caso, scoprii che, poco distante da casa, c'era un artigiano che lavorava i finimenti in cuoio e i paramenti dei cavalli da carretto. Ricordo interi pomeriggi d'estate spesi a guardarlo lavorare.
Quelli che invece i carretti li facevano, e quelli che li dipingevano con gli stessi colori della frutta matura, non li vidi mai. Con gli anni me ne dimenticai. Cambiava il modo di vendere frutta e ortaggi, e i già rari carretti avevano ceduto il passo a motoapi che, memori del recente passato, avevano sul cassone posteriore le stesse decorazioni a colori sgargianti e paladini di Francia.


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Certamente fu più di dieci anni dopo. Già studente universitario, mi piaceva, nel tragitto dalla Stazione Centrale fino al Viale delle Scienze, ingannare la strada immaginando il percorso in città delle facce di sconosciuti che ogni giorno vedevo, per dodici minuti, sul treno. Era una specie di gioco. Fissavo nella memoria due o tre facce particolarmente simpatiche, e poi immaginavo dei percorsi degni di loro.
Una mattina, al bar della stazione, guardai, forse con più curiosità del solito, un uomo anziano che avevo visto molte volte sul treno e che mi aveva incuriosito perché aveva sempre dei libri sottobraccio.
Un amico mi disse che quel vecchio era Ducato, un pittore di carretti.
Mancavano due ore all'inizio della prima lezione e così, invece di limitarmi a immaginare il percorso altrui, decisi, per la prima e l'ultima volta, di seguire uno sconosciuto. Discretamente. Da lontano. Tanto immaginavo dove stesse andando.
Si fermò davanti alla vetrina buia di Pustorino, a guardare le Regimental, e poi, ritornando di poco sui suoi passi, entrò nella libreria Dante, quella ai Quattro Canti di via Maqueda. Entrai anch'io. Fingevo di guardare le ultime novità sul bancone, sfogliandole senza impegno, ma in realtà tenevo d'occhio lui e i libri che stava acquistando.
E' più forte di me, ed è l'unica forma di voyerismo che mi concedo. Quando vedo qualcuno, giovane o vecchio che sia, uomo o donna, con dei libri sottobraccio dirigersi in fretta verso un posto dove potrà leggere in pace, a stento reprimo l'impulso di seguirlo, di attaccare discorso, di saperne di più. E' un tale piacere leggere ! E io quel giorno tornai a casa pensando al pittore di carretti, con le iridi celesti allargate dalle spesse lenti da miope, felice di leggere i suoi nuovi libri e di immaginare, forse, improbabili duelli tra vecchie armature e camice rosse.

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L'unica volta che ebbi modo di parlargli fu un paio d'anni dopo il pedinamento librario. Passeggiavo nel corso Umberto con un amico che lo conosceva e ci fermammo a salutarlo. Parlava volentieri e con una certa garbata ironia. Parlammo anche di libri, ovviamente. Ci disse che ormai leggere molto lo stancava più del normale. Colpa dell'età. Per fortuna, però, c'erano le videocassette. Da quando le aveva scoperte aveva messo su una discreta videoteca e la sera, invece di affaticarsi gli occhi su un buon libro, si metteva a letto presto, concedendosi il lusso di uno o due vecchi films prima di prendere sonno. Era bello riappropriarsi di scene e volti che la memoria, dopo decenni, aveva fatto fuori. (foto presa dalla rete, fonte : cesko975.splinder.com/archive/2006-10)

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Lo rividi ancora due o tre volte, ma, da solo, non seppi andare oltre un timido saluto. Non portava più libri sottobraccio. Non dipingeva più. E forse anche lui, come me, provava fastidio e imbarazzo nel vedere sfilare carretti coloratissimi ormai soltanto sotto le insegne di un San Giuseppe qualunque.


Maurizio Padovano