Vulcano figlio di Giove e Nuovo cinema Paradiso

Vulcano figlio di Giove e Nuovo cinema Paradiso

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Una delle parti più divertenti di Nuovo cinema Paradiso di Peppuccio Tornatore è quella in cui un ragazzo in bicicletta fa la spola da un paese a quello vicino, e da una sala cinematografica all’altra, dove si proietta lo stesso film di cui però si ha una sola copia.

Il ragazzo ha il compito di portare da un cinema all’altro la pizza del tempo del film non ancora proiettato in modo da scambiarle.

L’opera di Tornatore è del 1988; al 1951 risale invece Due soldi di speranza di Renato Castellani in cui c’è già una scena analoga e della quale dovrebbe essere una citazione quella contenuta in Nuovo cinema Paradiso (Mereghetti- Dizionario dei film 2006 ). Se Tornatore conosceva sicuramente il film di Castellani, chi del Mereghetti ha scritto la scheda su Nuovo cinema Paradiso sicuramente non conosce la storia, tutta locale, che a me, a Mimmo Aiello, e al suo prezioso registratore, ha recentemente raccontato Isidoro Mancino proiezionista in pensione in inverno, ancora in attività in estate, all’Arena Paradiso di Porticello.
( Isidoro Mancino )

Facevamo Vulcano figlio di Giove, era un polpettone ma questi film, all’epoca, andavano alla grande, perciò stavamo facendo Vulcano figlio di Giove. I gestori decisero di farlo contemporaneamente al Capitol a Bagheria e a Ficarazzi, all’Arena, ca si l’avevanu affittatu puru. Appattamu l’orariu. Alle otto di sera, quando arrivava Franco Mineo, ca era puru proiezionista, per sostituirmi, dovevo andarmene a Ficarazzi col primo tempo. A fine primo tempo c’era l’attualità, le presentazioni e il cinegiornale, venti ventidue minuti, u tempu giustu giustu di iri e vieniri, portare il secondo tempo e riportarsi il primo. Chistu l’aveva a fari un picciottu con la bicicletta, Giacuminu si chiamava, il cognome non me lo ricordo, muriu mischinu.

Era il primo giorno che si faceva questa cosa. Finisce il primo tempo, finisce l’attualità, passa ancora altro tempo e un’arriva propria nuddru. A sala era china china china, i cristiani eranu puru assittati ‘ntierra, cuminciaru a friscari e a vuciari, c’era chi gridava comu finiu e chi diceva ridateci i soldi e chi diceva quando cominciate. Uno dei gestori, il signor Garajo, pensò che Giacomino avesse forato e che fosse fermo per strada. Si decise di fare in macchina la strada e vedere.
‘Nni misimu ‘ncapu, Garajo e io, Garajo guidava e io andavo guardando cu sà lo vedevo o scuru.
All’uscita di Ficarazzi il cimitero c’è, ah, ah, ah, ah, Giacuminu arrivannu ddrocu si scantò e si fermò cu tutta a bicicletta e a pillicula ca si scantava dei morti. U truvamu vicinu o cimiteru, tuttu chi trimava, i spirdi ci sunnu i spirdi ci sunnu, chistu diceva e tremava per la paura.

Per quella sera comu finiu finiu, al Capitol ca era cinema chiusu, era estate e ci potevano essere venti persone si bollarono i biglietti, all’Arena andai a fare il secondo tempo e la gente si calmò ca già volevano rompere le sedie. All’indomani si fici u stessu travagghiu però, al posto di Giacomino, venne un altro. Nel film di Peppuccio non era Vulcano figlio di Giove ma Catene e un fu u fattu del cimitero ma quello della prostituta perché il ragazzo si era fermato a fare l’amore, però a virità è chiddra chi vi cuntavu io.