Bagheria come un’infanzia (11) - di Biagio Napoli

Bagheria come un’infanzia (11) - di Biagio Napoli

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1- Via Lanza. Il manifesto stette incollato per anni sul muro di quella casa all'inizio della via Lanza dove un certo Biancorosso ( ma lo chiamavano u biancu e russu ) teneva il suo grande negozio di frutta e verdura.

Non ricordo quel film in quale locale si proiettasse, ma, certo, fu l'unico manifesto che quel cinema, proprio là, affisse. Il gestore non riuscì forse a mettersi d'accordo con quello della frutta e verdura? O appesero lì quel manifesto solo perché si trattava di un film di grande richiamo e perciò valeva la pena farne pubblicità, almeno una volta, anche in quella zona così popolosa? Ricordo che mi piacque tanto ma, in mente, ho solo una scena di quel film che vidi da ragazzino e che, da allora, non ho più rivisto: il ballo di Friedrich March, l'ebbro Filippo il barbaro. Recitava la parte del padre di Alessandro il grande, del giovane e biondo e bello Richard Burton, armato di spada in quel manifesto ( dove ha i capelli neri ) mentre la brandisce, guidando eserciti alla conquista. La via Lanza, da un lato, e la via San Cosimo, dall'altro, interrompevano ( e interrompono ) trasversalmente la via Ignazio Lanza di Trabia, a strata i Lannari. Da lì ha inizio quella, brevissima, che porta alla torre di O Corte a Dio, attraversando, a sua volta, la via Sacerdote Angelo Andrea Sammarco.

2- Fidanzamenti.
Era in via Sammarco che abitava una delle sorelle di mia madre, la zia Peppina, Gagliardo in Maggiore, moglie di Mustazzu Tisu. Lo chiamavano così perché i baffi li aveva davvero, li portava alla Menjou, ecco perché quel tisu, ma anche perché era scaltro e tirava per la casa e per la famiglia. La zia Peppina ebbe quattro figli, due maschi e due femmine, e queste erano gemelle. Quando si fidanzarono ancora si usava tenere la festa in casa. Si invitavano i parenti stretti, si offrivano dolci secchi, si beveva lo spumante. Sopratutto si ballava. Durante i fidanzamenti delle mie cugine, sia dell'una che dell'altra, si ballò con una canzone di Natalino Otto che aveva per tema una grande festa nella casa di una certa donna Clara che, quel giorno, sposava una figlia, di nome Clara anche lei. E ballarono anche con la canzone da due soldi cantata da Katyna Ranieri. Almeno queste sono le canzoni che io ricordo. I ragazzini giocavamo ad inseguirci fra le coppie che ballavano. Per i dolci secchi non ci andavo pazzo.
3.
U re
ri Sarausa
l'havi longa
tisa e pilusa.
Chi cos'è?
madrice antica

4-A chiazza.
Non ho avuto molto a che fare con piazza Madrice, se non in occasione di matrimoni o funerali, o attraversandola per andare ai Lannari o al Supercinema. Una volta sola, da ragazzino, ho giocato sui gradini della chiesa e sulle ringhiere ch'erano ai lati. Quella piazza è un topos storico, letterario, cinematografico. E' soltanto dopo tutto questo che diventa una piazza reale. Salvatore Branciforti tracciò stratuni e stratunieddru e, dove si incontravano, ci volle la chiesa. Roba di metà settecento o giù di lì. Bagheria fu allora un cantiere da immaginare. Sicuro ci lavorò una folla di gente. Costruita la chiesa, restavano da levare i fichidindia che infestavano quel davanti con le loro pale, riempire i fossi cu pjezzi ri balatuna rutti, apparaggiari, fare il manto della piazza con lo sterro bagnato e schiacciato. Nel 1926 vi ammassarono gli uomini presi nella grande retata ordinata dal prefetto Mori prima di avviarli, in fila, con i ferri e scortati, attraverso il corso alla stazione ferroviaria, per portarli in prigione. Natra fuddra ri gienti. Questa cosa la raccontò sempre Giuseppe Speciale, storico, politico, e giornalista; raccontò quello che ricordava, perché aveva sette anni e quella notte, per il trambusto che c'era, si svegliò e s'affacciò al balcone di casa sua prospiciente la piazza. Un cordone di carabinieri circondava gli arrestati e impediva che i parenti ( le mogli, i genitori, i fratelli e le sorelle, i figli, zii e cugini ) si avvicinassero ad essi; ci furono grida, ci furono pianti. C'erano ottocento carabinieri, reparti della milizia, agenti di pubblica sicurezza e gli arrestati erano più di trecento; e quanti erano i familiari degli arrestati? E i curiosi? In quella piazza, quella notte, sicuro c'era un intero paese. Negli anni '70, ma dovette essere proprio all'inizio di quegli anni, un pomeriggio, una manifestazione di neofascisti, pare che fossero abbastanza numerosi, venne assaltata da un gruppo, altrettanto numeroso, che a quelli era contrario. Non fu una cosa lunga; il tempo perché qualcuno le desse e qualcuno le prendesse. Poi se ne scapparono tutti quanti. Si racconta che uno bravo a darle fosse stato E. M. , allora studente di medicina, che faceva pesca subacquea, con un padre che l'aveva lasciato bambino, assassinato nel 1949 da un gruppo di malfattori insieme al suo appuntato, lui maresciallo dei carabinieri, recatisi a cercarli dopo un furto. Sacrificarono la vita in via Truden; ora hanno una piazza dedicata. E. M. era un ragazzo bello e forte. Morì, ragazzo, durante una immersione. Una donna, già straziata da moglie, fu straziata come madre. Nel 1945, in quella piazza vi muore Pietro Lanza. Almeno così scrive Filippo Lo Medico in un racconto con quell'uomo protagonista. Chi era costui? Era un sottoproletario irriverente della stessa stoffa dello Schiera palermitano , poeta di strada e antifascista Peppe, e forse, come Pietro, senza saperlo, che per strada morì sotto le bombe che gli alleati il 9 maggio del 1943 sganciarono su Palermo. Quando aprì il cinema Littorio, nel 1928, Pietro fece l'uomo sandwich per i proprietari con i manifesti dei film in cartellone. Durante gli anni a seguire fu banditore per il macellaio di via Pintacuda ch'era di lato a quel cinema e d'estate, la notte per anni, a guardia dei cumuli di melloni rossi si sdraiò accanto ad essi. Faceva questa vita e beveva; era un ubriacone e morì che aveva solo 56 anni. Secondo Filippo Lo Medico morì in un giorno pieno di sole ; mentre moriva, e pare che quel momento lo avesse proprio aspettato per goderselo, una guardia municipale lo toccò tre volte con un piede e tre volte gli disse d'alzarsi; fu allora che Pietro se ne uscì dicendogli che non gli stava facendo sentire nessun piacere. E morì. Anche Ferdinando Scianna , in Quelli di Bagheria, riconoscendone la paternità a Filippo Lo Medico, racconta quella storia. Ma, al posto della guardia municipale, ci mette un maresciallo ( di che? ) che non si limita a toccare col piede il morente e si fa portare dal bar vicino una brocca d'acqua per gettargliela in faccia. A un ubriacone? E' per questo che viene fuori la faccenda del morire che può anche piacere se solo si venisse lasciati in pace. Ferdinando Scianna scrive che “un giorno di mezzo agosto, con sole che spacca, verso le due del pomeriggio, Pietro, ubriaco, attraversa piazza Madrice e stramazza”, in ciò concordando, sia per il sole sia per la piazza, con Filippo Lo Medico che, una volta, mi disse che pensava a Charlot scrivendo di Pietro Lanza, a quell'omino quand'era perseguitato da un poliziotto. Pensava a Charlot e quel finale se lo inventava? Ci stava comunque che pensasse al cinema uno che ha vissuto di pane e cinema. Giuseppe Tornatore, nel suo film Baaria, lascia stare i marescialli e ci rimette la guardia municipale che non chiede brocche d'acqua, usa i piedi per fare alzare da terra il poveretto, lo fa morire non in piazza Madrice ma nel Corso, e non in pieno sole bensì al tramonto, durante il passìo della domenica. La piazza il regista la utilizza per altre scene del suo film. Per esempio per il comizio di Michele Placido quando, dopo ogni frase, chiede di bere e, all'ennesima richiesta di acqua, viene preceduto dal coro della gente sotto il palco, quella che riempie la piazza. E anche per la recita che Ignazio Buttitta fa di Parru cu tia. Nel dicembre 2003 Quelli di Bagheria, diventato film, viene proiettato una sera su uno schermo collocato sul sagrato della Madrice. Su un altro schermo la gente ripresa mentre guarda. Ferdinando Scianna, che di quella gente osserva le emozioni che quelle sue fotografie suscitano, scrive che in piazza ci furono almeno tremila persone.
5-Era la casa di don Gesualdo.
Gaetano aveva sposato Rosaria figlia dello zio Giovanni che aveva sposato zia Teresa sorella di mio padre. Così Gaetano diventò nipote di mio padre e mio cugino anche se, quando io ero bambino, lui aveva figli già grandi e la vera differenza, se eravamo parenti, era che Gaetano aveva tanti soldi da aver potuto comprare Villaverde, una villa del Settecento. Abitava però, con Rosaria e i tre figli, una casa di corso Butera, solo due strade sotto il Palazzo, ma in cui si entra da via P. e che appartenne, due secoli fa, alla famiglia di quel notaio-sindaco ammazzato, non si seppe mai perché, una calda sera di luglio del 1849, a colpi di fucile sparati da fuori dentro lo studio pieno di gente per un atto. Spesso si andava da loro. In estate a Villaverde dov'erano per la villeggiatura. Ma quando si festeggiava San Giuseppe, in agosto, almeno per un giorno, quello della corsa, tornavano in paese, aprivano la casa di via P. e invitavano i parenti. Dal balcone o dalla terrazza si sentiva il fragore degli zoccoli sull'asfalto e si vedeva la folla che nei marciapiedi transennati si accalcava, l'arrivo dei cavalli che partivano a gara dalla punta Aguglia.

Biagio Napoli

Dicembre 2016.