La comunità e la partecipazione

La comunità e la partecipazione

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Cosa non succede a Bagheriopoli? O meglio: quante cose non succedono a Bagheria? Perché si ha l’impressione che sulla città sia calata come una cappa di gas nervino che paralizza tutti in un passivo, già arreso, attendere a capo chino il futuro?

Si potrebbe pensare che, in un città di 50.000 o più abitanti, alle porte di un Capoluogo di Regione di circa 1.000.000 di abitanti, la vita pubblica debba necessariamente fervere, e in positivo.

Non si vede, invece, nessuna effervescenza, nessuna dialettica in atto, né alcun concreto ragionamento pubblico per la città al quale il singolo cittadino, così come i gruppi associati di liberi cittadini (la formula specifica – associazione, partito, circolo etc – qui non ha importanza) possano apportare un contributo, un’idea, una sfida condivisibile. Ci si potrebbe obiettare: ma la politica… i problemi della città non si risolvono con una bacchetta magica… il territorio non è fatto di singole realtà, ma è un sistema globale… e via discorrendo. Anche queste osservazioni, però, non renderebbero più fluida e mobile la situazione che stiamo cercando di descrivere – e che non è facile da descrivere.

Una cosa è chiara: il cortocircuito politica-società qui – come altrove – si è consumato, si sta consumando, lentamente, goccia dopo goccia: non per scatti improvvisi, per eventi catastrofici, ma per progressiva, e unilaterale, disaffezione. Del resto, quale moto di identificazione con le Istituzioni potrebbe provare un cittadino baharioto che una sera qualunque provasse ad assistere, magari dalla Tv, a una seduta del Consiglio Comunale?

In che termini percepirà e capirà che quelle poche decine di persone che ha contribuito liberamente ad eleggere si stanno occupando del bene comune? Si chiederà forse dove siano finiti il Mago Otelma e Alex Drastico? Se dubbioso, gli basterà rifugiarsi nel pensiero ipocritamente consolatorio che la politica è comunque specchio della società che la esprime? Siamo necessariamente così brutti, tutti quanti?

La democrazia ha la struttura di un castello di carta: ci vuole molta accortezza in tutti i partecipanti al gioco per non farla venire meno. Da qualche anno in qua, piccole mosse, una dopo l’altra, hanno allontanato sempre più i partecipanti dal gioco. Si sente– è nel senso comune, la gente in vari modi, magari attraverso metafore trite e stantie, lo esprime – di essere in un momento di cambiamenti epocali: si percepisce una sorta di senso della fine che è molto difficile da rendere con parole esatte, o con argomentazioni non divaganti, non generalizzanti.

Ed è in momenti come questi che bisogna tenere gli occhi ben aperti, e uscire, il più possibile, da quel riflusso nel privato (e nello sciocco edonismo da Centro Commerciale così abilmente propagandato dal potere presente negli ultimi tre decenni): altrimenti, i futuri salvatori della patria – che è possibile coincidano, in gran parte, con coloro che la stanno affondando, o che vi hanno contribuito pesantemente – butteranno via il bambino insieme con l’acqua sporca.

Per questo ci piacerebbe che – magari lungo un Corso Umberto I utopisticamente isola pedonale e salotto cittadino – i baharioti tornassero a passiare e a discutere dei problemi comuni: quelli concreti e riferibili alla città, e anche quelli un po’ più astratti, da Massimi Sistemi, ma che vale la pena comunque di metabolizzare attraverso la chiacchiera diffusa. Non c’è democrazia reale senza luoghi comuni in cui condividerla, e senza cittadini che abbiano la possibilità e la voglia di esprimersi liberamente.

L’abitudine alla delega crea la tendenza a preferire lo starsene a casa davanti la TV: Il tubo catodico per amico, invece che lo scambio reale di opinioni e di esperienze. Gli effetti di tale tendenza, mi pare, cominciano a essere visibili un po’ a tutti, e non solo a livello generale.
Cosa sarebbe preferibile che succedesse rispetto a quanto oggi non sembra succedere? La risposta a questa domanda non può che essere personale. A me piacerebbe, ad esempio, che si verificassero piccole cose e che, da quelle piccole cose, nascesse poco a poco dell’altro. Che la comunità diventasse un po’ più di un agglomerato di ex case abusive condonate.

Mi piacerebbe, da cittadino, che la richiesta lanciata tramite comunicato stampa un paio di settimane fa da Pippo Cipriani, avesse corso: a quando un assemblea cittadina del Partito Democratico, allargata non ai soli iscritti, ma anche agli elettori non iscritti e ai simpatizzanti più o meno riconoscibili? Mi piacerebbe, come piacerebbe a tutti i cittadini che hanno seguito la nascita del PD fin dalle primarie originarie, e che non reputano necessario avere una tessera in tasca per poter dire la propria.

O dobbiamo appiattirci su modelli che si fa fatica a digerire anche negli altri, sostituendo magari la figura del capo carismatico con quella del consesso di probi viri a cui tutto è demandato? E allora, cari amici dei vertici del Partito Democratico cittadino, ritorniamo a fare politica con la gente, o vogliamo fare la fine di Lehman Brothers? La smettiamo con questo immobilismo da prima guerra mondiale (sappiamo tutti che è immobilismo tattico e che, dalle diverse trincee, gruppi contrapposti tentano la conquista solitaria del potere: cioè di un pugno di voti che a Bagheriopoli, se non sbaglio, non supera che di poco i 2.000 voti!)?

Mi piacerebbe, da insegnante, che la Rete scolastica cittadina fosse improvvisamente tarantolata dai misfatti di Maria Stella Gelmini in Tremonti, e anche qui, nel nostro piccolo, ci si desse da fare per comunicare cosa stia in realtà avvenendo nella nostra regione. Chi sta spiegando ai baharioti, e ai siciliani tutti, che nei prossimi dodici mesi – alla faccia del famoso milione di posti di lavoro - migliaia di persone perderanno il loro lavoro, il loro ruolo sociale, la loro ragione di vita, il loro stipendio?

Che aspettiamo a gridare che queste politiche, nel Sud, saranno l’equivalente di una bomba atomica sociale? Chi deve spiegare ai cittadini che bisogna indignarsi per un Governo che metterà i soldi pubblici sottratti a Scuola, Pensioni e Sanità nel paniere di chi ha inneggiato per venti anni al Dio Mercato, bruciando i risparmi di milioni di famiglie normali? Ma chi lo deve fare? Un Presidente della Regione che si è presentato ai suoi elettori come un leghista del sud?

Cari amici baharioti del PD, muoviamoci. Davide disponeva soltanto di una fionda per battere Golia. Ma l’ha usata bene. La nostra fionda è la partecipazione. Gli atteggiamenti di cauto mimetismo non hanno pagato. Si può dire la propria, si può denunciare l’esistente, si può tentare di informare correttamente i cittadini anche non cedendo al demone dei toni di piazza: bastano decisione, idee chiare, e implacabilità nel portarle avanti.

Il politically correct, in uno scenario dominato e deturpato dalla vastasaria, comportamentale e intellettuale, più qualunquista di cui si abbia memoria dall’8 settembre 1943 a questa parte, è regalare perle ai porci. E questo proprio non ce lo possiamo più permettere.