Provo ad inserirmi anch’io nel dibattito sul possibile futuro di Bagheria, ospitato da Bagherianews ed alimentato da interlocutori di spessore, molti dei quali apprezzo e stimo per conoscenza diretta. Mi inserisco da ‘outsider qualificato’,
Cervello in fuga? Nonostante la qualifica dirigenziale preferisco definirmi emigrato, ed accomunarmi a tutti gli altri bagheresi – impiegati, artigiani, piccoli imprenditori, artisti, etc. - che hanno scelto di lasciare il proprio paese per vedere riconosciuto il valore sociale ed economico della propria professionalità, ma soprattutto per migliorare la propria qualità di vita.
E’ possibile che – come sostiene il prof. Lo Piparo – con la mia scelta abbia contribuito a creare un vuoto generazionale nella potenziale classe dirigente bagherese, e quindi ad alimentare un circolo vizioso per cui Bagheria stessa – come tante altre realtà meridionali – risulti condannata ad un marginalismo sociale, culturale ed economico sempre più marcato.
E come qualsiasi manuale di pronto soccorso insegna, in presenza di un fenomeno emorragico la prima priorità è quella di arrestare il deflusso.
Se Bagheria vuole evitare una ‘sindrome da marginalismo cronico’ o un ‘decesso per dissanguamento intellettuale’ è necessario porsi come duplice – gigantesco - obiettivo quello di offrire agli adolescenti di Bagheria una migliore qualità di vita e più rosee opportunità professionali. Dargli qualche motivo in più per decidere di restare e fare la loro parte.
Migliore qualità di vita è una locuzione generica, che a Bagheria può essere identificata – a mio avviso – con il ‘coraggio della normalità’, ovvero con il recupero del decoro urbano e di una minima efficacia ed efficienza nella gestione dei servizi di base.
Questo è l’unico metro di giudizio su cui la classe politico-amministrativa può e deve – realisticamente - essere chiamata a misurarsi nell’arco dei prossimi 2-3 anni; qualsiasi obiettivo di più ampio respiro sarebbe poco credibile e probabilmente addirittura controproducente. Non dedico altre parole a ciò che risulta evidente a chiunque viva giorno per giorno a Bagheria e – saltuariamente - anche a me.
La creazione di opportunità professionali è legata invece – secondo me - all’identificazione di 2-3 potenziali ‘nicchie di specializzazione’ attorno alle quali iniziare a costruire un futuro economico per Bagheria.
Non mi riferisco in questo senso alla declinazione ‘in salsa bagherese’ delle direttive di sviluppo di provenienza europea, nazionale o regionale: su quel percorso – pur ammettendo che esistano soluzioni realistiche alla ‘questione meridionale’ - dobbiamo solo cercare di stare al passo con le altre municipalità per non perdere ulteriore terreno (un ‘cambio di passo’ rispetto al contesto generale sarebbe ancora una volta pura utopia….).
Ciò a cui mi riferisco invece è l’opportunità di identificare alcuni – pochissimi - ambiti imprenditoriali su cui pianificare e creare ‘eccellenza’, e quindi anche opportunità professionali per i giovani Bagheresi. Creare i presupposti perché tali iniziative imprenditoriali si sviluppino e moltiplichino.
Incentivarle opportunamente, con programmi di lungo periodo che vincolino i beneficiari ad un impegno prolungato nel tempo. In altri termini, ricreare in scala il modello del ‘distretto’ che rappresenta l’asse portante del sistema imprenditoriale italiano.
Rispetto a questo secondo sforzo strategico e programmatico, Bagheria dovrebbe fare un attento esame di coscienza e chiedersi se al suo interno esistono le professionalità all’altezza del compito, al di là dell’orgoglio civico (se in Italia ci sono 60.000.000 allenatori della nazionale a Bagheria ci sono 60.000 potenziali sindaci!), delle rivendicazioni cromosomico-culturali (‘chi non è nato qui non può capire’) e degli ‘orticelli personali’.
Anche a prescindere dalla disponibilità di tali professionalità, il fatto che – a quanto mi risulta - i Bagheresi non abbiano mai saputo smentire l’affermazione vangelica ‘nemo propheta in patria’ mi induce a pensare che non ci siano i presupposti perché Bagheria possa avviare dall’interno tale processo di ‘riposizionamento imprenditoriale’.
A mio avviso invece, bisognerebbe avere in primo luogo l’umiltà e la lungimiranza di avviare una vera e propria ‘campagna acquisti di idee di sviluppo’ su scala (minimo) nazionale: il punto di partenza sono sempre le persone e le loro idee.
Il discorso potrebbe continuare, ed affrontare argomenti quali ‘come’ avviare un tale processo di ‘riposizionamento professionale’, ‘chi’ debba farlo, quale possa essere il ruolo degli esponenti della ‘Cultura Bagherese’, quale quello del sistema educativo nel suo complesso (C’è più bisogno di scienziati politici e letterati o di artigiani ed operatori turistici? I ragionieri e commercialisti di Bagheria cosa contabilizzano esattamente?), quali reazioni susciterebbe un processo del genere nella folta schiera di emigrati Bagheresi (o almeno in una parte di essi).
Mi fermo qui per ragioni di spazio ed opportunità, rimandando ad eventuali future occasioni di confronto. Chiudo invece parafrasando Falcone per dire che “chi ha paura di sognare una Bagheria diversa muore ogni giorno in quella attuale”: per chi ha deciso – diversamente da me – di trascorrervi il resto della propria vita, penso questo rappresenti una necessità morale, intellettuale e civica.
Carlo Carollo, 35 anni, vive a Roma.
Laureato in economia è consulente direzionale della Kinsey & Company
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