Appunti per una storia di Bagheria nel Risorgimento - 2° parte - di Biagio Napoli

Appunti per una storia di Bagheria nel Risorgimento - 2° parte - di Biagio Napoli

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Il 27 maggio 1860, scesi dal campo di Gibilrossa, i garibaldini (i Mille più i Picciotti) entrano a Palermo vincendo la resistenza dei soldati borbonici.

Lo stesso giorno il vice presidente del Comitato rivoluzionario di Termini Imerese, Don Liborio Arrigo, ne chiederà conferma al presidente del Comitato di Bagheria scrivendogli: “In punto ci giunge la felice notizia dell’entrata a Palermo in questa scorsa notte del G. Garibaldi colle nazionali milizie.- Siccome essa è il desiderio di tutti le spediamo un corriere per avere la certezza.- Si benignerà di pronto riscontro” (1).

Avrà quella certezza per altre vie perchè lo stesso giorno Don Liborio Arrigo scrive a tutti i presidenti dei Comitati del Distretto la seguente comunicazione: “Signore- con sollecitudine le trascrivo il seguente bollettino.- Al Comitato di Termini.-" Si attaccò fuoco alle ore otto. Alle ore 9 entrammo vittoriosi in città alla baionetta.- Noi tutti vivi. Palermo 27 maggio 1860. Così ci scrivono con espresso i nostri rappresentanti presso il G. La Masa ed io mi affretto alla graditissima partecipazione” (2).

L’essere riusciti a penetrare dentro la città non significava tuttavia che essa fosse stata interamente conquistata piena com’era ancora di truppe regie (3).

Un ulteriore passo avanti l’esercito garibaldino lo compirà l’indomani. La mattina del 28, infatti, dopo una notte di scaramucce, dal lato opposto a quello da cui erano entrati Garibaldi e gli uomini di La Masa, cioè da Nord-Ovest, e precisamente da Porta Maqueda, riusciranno a sfondare i guerriglieri di Giovanni Corrao ( 4 ).

I borboni ripiegano, in parte al Castellammare, in parte al Palazzo Reale. Qui andranno anche i militari ch’erano di guardia alle Grandi Prigioni ( Vicaria ) per non restare isolati; l’abbandono del carcere consentirà la fuga, tra prigionieri politici e comuni delinquenti, di circa duemila carcerati . In molti si aggregheranno ai garibaldini e Giuseppe Scordato, a quel tempo ancora in galera, non può che essere tra questi fuggitivi (5).

Mentre a Palermo si combatte , e il colonnello Von Meckel sconta invece l’errore di avere scelto ad un bivio, giorni prima, la strada sbagliata (6), i paesi della provincia si attivano per fornire un ulteriore appoggio a quei combattenti. E’ ancora Termini Imerese, attraverso il vicepresidente Arrigo, a far da forte stimolo. Il 28 maggio quest’ultimo scrive infatti agli altri paesi del distretto: “Signore-...Se cotesto comune non avrà per lo passato mandato un suo contingente in armati e in denaro, o ne ha mandato in picciol numero , procuri in questi supremi momenti di non coprirsi d’una macchia eterna d’infamia non inviando presto in Palermo il contingente succennato; ...Nello stesso tempo procuri subito di percepire delle somme o con particolari contribuzioni o con esazione delle tasse prescritte, e mandi tutto subito per farle da qui pervenire alla cassa militare...” (7).

Ma il 30 maggio verrà stipulata una tregua di 24 ore e, alla scadenza di mezzogiorno del 31, Garibaldi si attende la ripresa delle ostilità da parte dell’esercito borbonico. Bisogna dunque che la popolazione dei vari paesi “accorra tutta in armi per cogliere il nemico comune alle spalle di unita al generale Orsini cogli altri piemontesi che scendono con le artiglierie da Misilmeri per circondare il nemico alle spalle di Palermo...e di unita anche a Scordato che marcia da Bagheria con più di 200 uomini e due cannoni, mentre di dentro la capitale e di fronte sarà attaccata dal generale Garibaldi dai piemontesi e dalle patrie guerriglie” (8).

E’ ancora Liborio Arrigo che scrive, la mattina del 31 maggio, a tutti i presidenti dei comitati. Ma l’Orsini giunge a Palermo il 7 giugno (9); poco male perché quella tregua non sarà mai interrotta e, proprio il 7 i borbonici, la cui capitolazione è avvenuta il giorno prima, si imbarcheranno per lasciare Palermo.

E Giuseppe Scordato?

Come aveva fatto nel ’48, raccoglierà sotto il suo comando lo stesso numero di guerriglieri avendo anche, come nel ’48, due cannoni. Erano gli stessi di allora? Non sappiamo a cosa siano serviti quegli uomini e quei cannoni. A pochissimo se vogliamo credere a Giuseppe La Farina che, in una sua lettera a Cavour del 10 giugno 1860, così scrive: “Garibaldi alle volte trasmoda per troppa umanità...Accordò il perdono e diede comandi militari a Scordato e Miceli, famosi per male opere in pro dei borboni, che fecero una prima comparsa in città accompagnati da bande armate, ma che han dovuto ritrarsi per timore d’essere fatti a pezzi” (10).

Biagio Napoli

Note.

1-Rapidi cenni e documenti storici della rivoluzione del 1860 riguardanti la città di Termini estratti dagli atti di quel comitato distrettuale dei signori A.B. e M.G., Palermo 1861, p. 70.
2-Ivi, p. 71.
3-“In un’ora metà della città era occupata; ma a mezzogiorno il forte Castellammare comincia il bombardamento. Le bombe erano dirette su punti determinati della città, ma in realtà cadevano un po’ dappertutto e quasi ogni cinque minuti, scoppiando con immenso fragore. Nello stesso tempo tiravano i cannoni del piano del palazzo reale e delle due fregate ancorate nella rada e si combatteva tra volontari e soldati su tutta la linea”. G. Paolucci, Da Francesco Riso a Garibaldi. Memorie e documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860, Archivio storico siciliano, anno XXIX, 1904, p. 179.
4-G. Paolucci, op. cit., p. 182.” Da più testimonianze e da numerosi documenti risulta che le squadre agli ordini di Giovanni Corrao ( le stesse che erano state agli ordini di Rosolino Pilo fino al 21 maggio ) erano ad occidente di Palermo assieme a quelle di Pietro Tondù e a quelle di Paolo salomone” e che “si può essere certi che tali squadre agirono assieme a quelle di Luigi La Porta “ che “operò nei pressi di porta Maqueda”. G. Pandolfo, Una rivoluzione tradita. I Siciliani e Garibaldi. Da Marsala a Bronte, Ila Palma, Palermo 1986, vol. II, p. 99 e p. 102.
5-Dal ricordo di uno studente chierico, presente alla Gancia durante i fatti del 4 aprile, e per essi arrestato e condotto alle Grandi Prigioni per 40 giorni, sappiamo che, a quella data, Giuseppe Scordato si trovava sicuramente in prigione. Scrive dunque quel testimone: “Mi successe in uno di quei giorni, mentre si accudiva alla pulitezza, di vedere ben custodito e solo, in una di quelle cellette, Vincenzo Scordato da Bagheria, colui che, come sapete, al 1848 con Salvatore Miceli da Monreale era stato si può dire il Cola Di Rienzo o il Masaniello siciliano, senza però che avesse incontrato la miseranda fine di quei due eroi popolani”. Il Vincenzo vale naturalmente per Giuseppe, essendo solo un inganno della memoria. V. Mirabella Corrao, La verità della storia nei suoi particolari con applicazione ai fatti del 4 aprile 1860, Archivio Storico Siciliano, nuova serie, anno XXXIII, Palermo 1909, p. 282.
6-Nell’avvicinamento a Palermo, dopo la sconfitta subita al Parco, cioè “prima del tramonto dell’infausto giorno 24 i garibaldini erano di nuovo in marcia presso una trazzera...che conduceva a Marineo. Alla biforcazione Garibaldi fece l’alt e si separò da Vincenzo Orsini, che proseguì verso Corleone con le artiglierie, i carriaggi, i malati e una piccola scorta. Il grosso della colonna...deviò sulla trazzera per Marineo”. G. Pandolfo, op. cit., p. 75. Dunque “l’artiglieria garibaldina era stata inviata alla volta di Corleone, dov’era giunta alle ore 10 del 25. Assalita due giorni dopo ( 27 ) da un forte corpo di cavalleria e fanteria, aveva dovuto battere in ritirata...”. G. Paolucci, Giovanni Corrao e il suo battaglione alla battaglia di Milazzo, Palermo 1900, p. 7. Il nemico che l’aveva attaccata era guidato dallo svizzero Von Mechel che, giunto a quel bivio, e presa la strada per Corleone, aveva creduto d’esser dietro al grosso dell’esercito garibaldino. Una illustre rivisitazione letteraria dà il giusto peso a quell’episodio: ”Orsini non si aspettava che una colonna di circa cinquemila uomini, il meglio dell’esercito borbonico in Sicilia, si mettesse all’inseguimento della sua piccola squadra; ma questo fatto assurdo si stava verificando, e dunque non bisognava dare all’avversario il tempo di riflettere, era necessario costringerlo all’inseguimento, trattenerlo. Garibaldi intanto avrebbe raggiunto La Masa, con gli uomini che La Masa teneva pronti sui monti sarebbe sceso ad investire Palermo. Una grande beffa”. L. Sciascia, Il silenzio, in Il fuoco nel mare, Adelphi , Milano 2010, pp. 80-89. Il colonnello Vincenzo Giordano Orsini si fece inseguire fino a Giuliana e poi fino a Sambuca. Qui si spargerà la voce che Garibaldi era entrato a Palermo e sia Orsini che Von Meckel torneranno verso Palermo; la corsa del secondo non gli consentirà comunque di arrivare in tempo.
7-Rapidi cenni e documenti...,op.cit., pp. 72-73.
8-Ivi, pp.80-81.
9-All’Orsini, quand’era arrivato a Misilmeri, si fece incontro, mandatogli in aiuto da Garibaldi, Giovanni Corrao con 150 uomini scelti della sua s quadra. L’artiglieria entrò in Palermo da porta Maqueda alle ore 7. Corrao “ritiratosi al suo posto di Piazza Bologni, dove aveva il quartier generale, i suoi 150 uomini furono tosto rimunerati con mezza piastra ( L. 2.50 ) per ciascuno”. G. Paolucci, Giovanni Corrao... , op. cit., p.8.
10-Epistolario di G. La Farina raccolto e pubblicato da Ausonio Franchi, Milano 1869, tomo II, pp. 325-326.
Marzo 2016 Biagio Napoli