Continua la saga di Bagheria dei Misfatti - di Biagio Napoli

Continua la saga di Bagheria dei Misfatti - di Biagio Napoli

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Bagheria dei misfatti: 1829.

Il marchese Pietro Ugo delle Favare, Luogotenente del re, il 3 dicembre del 1829, invia al comandante della reale Gendarmeria la seguente lettera:


Signore
Da un rapporto del Direttore generale di polizia sono stato informato che la sera del 17 dello scorso mese avvenne in Bagheria un assassinio in persona di Don Litterio Inguaggiato e che dalle indagini praticatesi s’ebbe luogo a rilevare che quattro furono gli individui che assalirono l’Inguaggiato due dei quali muniti d’arme da fuoco e che dalla conformità delle persone, dalle vestimenta, dalle arme e dal numero degli aggressori conforme a quello di un furto precedentemente avvenuto con violenza, e di parecchi altri colla stessa qualità ben si rilevò l’unità di una comitiva che infesta quella contrada. (...)Io incarico lei di spedire in Bagheria una brigata di gendarmi onde dare rinforzo a quel giudice per lo arresto dei quattro malfattori.

C’era dunque a quella data, a Bagheria, una banda di malfattori dedita al furto e all’assassinio. A questa conclusione era giunto il giudice che si occupò del caso Inguaggiato aiutato, nelle sue indagini, soltanto da un soldato della Compagnia d’Armi. Sappiamo dal rapporto del Direttore di polizia al luogotenente del re come fossero andate le cose.

Il 17 novembre del 1829, alle ore due, tornando insieme ad un compagno d’armi dalla zona dell’ex feudo Porcara dov’erano stati per ragioni di giustizia ( un furto ), quel giudice venne informato di un tentato furto, avvenuto in paese, in una abitazione vicina alla Casina del Principe di Palagonia. Recatisi presso quella abitazione, vi trovarono il proprietario e un suo familiare; l’Inguaggiato era ferito e di quella ferita sarebbe morto. Il ferito e il suo familiare (tale Antonio Minardi ) raccontano che due sconosciuti ( ma altri due erano fuori di guardia ) avevano cercato di penetrare in casa col pretesto della consegna di una lettera; alle loro grida erano poi scappati non senza averlo però colpito. Il giudice si era immediatamente interessato a quella finta lettera studiandone per bene la carta e il marchio che essa portava. Solo una drogheria la vendeva, peraltro fuori mano, proprio all’uscita del paese, verso la campagna, probabilmente frequentata da gente sospetta, il padrone si chiamava Filippo Rotolo.

Bisognava recarvisi e chiedere chi avesse comprato quella carta il giorno precedente il fattaccio. Ma, ecco la sorpresa, quella carta era stata acquistata anche da un ragazzo, figlio di una certa Costanza Incandela, che aveva una bettola e un forno, anche questi, come la drogheria del Rotolo, al di fuori dell’abitato. “E quantunque nulla vi fosse a sospettare della Incandela, non presentando però la sua condizione bisogno di carta da scrivere”, era proprio quegli acquirenti che bisognava interrogare , per primi sicuramente, e non altri.

La donna, il marito e il ragazzo furono sentiti separatamente, “non tennero da principio linguaggio conforme”, si contraddirono; ma, alfine,” imbarazzati e convinti confermarono tutti e tre, che un certo Onofrio Lo Verso (...), uomo che di recente aveva espiato la sua condanna per imputazione di furto, ed altri tre individui riconosciuti per Misilmeresi si trattennero forzosamente il giorno 17 e con minaccie di vita in casa dell’Incandela sino alle ore 24, mandarono il ragazzo a comprare la carta, la piegarono a guisa di lettera, la segnarono, e andarono via all’ora una nel momento che assalirono in propria casa l’Inguaggiato”.

I quattro erano, secondo il giudice, responsabili del furto della Porcara, di altri furti perpetrati nel territorio di Bagheria, della morte di Don Litterio Inguaggiato. D’un altro di essi, di Misilmeri, si conosceva pure il nome: Salvatore Collura. Bisognava solo braccarli e arrestarli.
Il luogotenente del re, nella stessa data in cui invia la sua lettera al comandante della gendarmeria, cioè il 3 dicembre, invierà una lettera di risposta al duca di Lumia, Direttore generale di polizia:

Signore
A riscontro al di lei rapporto del 23 dello scorso mese relativo all’assassinio avvenuto in Bagheria la sera del 17 dello scorso mese in persona di don Litterio Inguaggiato, le manifesto che ho incaricato questo comandante della gendarmeria a spedire colà una brigata di gendarmi onde dare manforte a quel giudice per lo arresto dei malfattori. Debbo intanto farle riflettere che questa brigata di gendarmi potia servire piuttosto ad impedire gli ulteriori eccessi del suo comune e ad ispirare una certa sicurezza a quegli abitanti, che ad arrestare la comitiva armata, la quale dandosi in campagna potrà essere più facilmente perseguitata e colta dalla Compagnia d’arme del Distretto, a cui peraltro si appartiene questa incombenza; del resto il Governo lascia alla di lei prudenza, l’accorgimento di impartire le provvidenze opportune a questo oggetto, ed intanto farà conoscere al Procuratore quanto finora si è rilevato per le sue incombenze.

Bagheria, diventata comune autonomo da pochissimi anni ( 1826 ), era dunque infestata da una “comitiva armata” composta da quattro persone, tre dei quali provenienti da Misilmeri.

Un giudice, e un compagno d’armi, non erano certo sufficienti alla bisogna. Bravi, e lo abbiamo visto, a condurre le loro indagini e a scoprire i malfattori, altre forze si richiedevano per la loro cattura. Funzionava così la giustizia al tempo dei Borboni?

Il Direttore di polizia scriveva al luogotenente del re; questo scriveva e ordinava al comandante della Gendarmeria di inviare una brigata di gendarmi e ne dava comunicazione a quel Direttore.

Al contempo però gli faceva notare quali fossero i limiti dei gendarmi, buoni a dare sicurezza agli abitanti e come deterrente per i malfattori, ma inadatti alla loro ricerca e cattura. Forse che il Direttore di polizia non lo sapeva? Alla Compagnia d’armi doveva rivolgersi; peraltro “il governo lascia alla di lei prudenza l’accorgimento di impartire le provvidenze opportune a questo oggetto”. Come a dire: sbrigatela da solo. Di Don Litterio Inguaggiato sappiamo che era un ricco proprietario e possedeva terreni in contrada Agro, Cutò, e a Santa Flavia. Non sappiamo se i malfattori che l’assalirono e uccisero vennero assicurati alla giustizia.

Riferimenti archivistici: Ministero e Real Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale, Polizia, busta 126, 17 dicembre 1829.

Biagio Napoli

Biagio Napoli, marzo 2016.