Dopo aver dato l’opportunità di rivisitare personaggi come il barone Fefé e don Fabrizio Principe di Salina, la rassegna cinematografica “Brividi…di Sicilia a mezzanotte” vede protagonista assoluta, nel suo terzo appuntamento,
la figura tragicomica di un siciliano costretto ad emigrare al nord negli anni immediatamente successivi al ’68.
Protagonista assoluta non già nella sola condizione “fisica” dell’emigrante che dalle profonde terre meridionali di Sicilia, Calabria, raggiunge ad ondate sempre più copiose fin dai primi anni ’50 i grandi centri industrializzati del nord (Torino, Milano ed i rispettivi hinterland), bensì in quella ben più difficile da individuare, quella“interiore”, sotterranea, più squisitamente mentale, capace (ricordiamo che siamo all’inizio degli anni ’70) di poter dare l’illusione di sentirsi coinvolti dall’evoluzione dei fatti politici e sociali che attraversa in quel periodo storico il nostro paese.
E’ ancora freschissima l’eco dei morti di piazza Fontana (’69) e del procurato deragliamento del direttissimo Palermo-Torino (il treno del Sole) a Gioia Tauro (’70), e lo stesso anno dell’uscita nelle sale del film (1972) si sarebbe consumata la morte sotto il traliccio di Segrate di Giangiacomo Feltrinelli e l’omicidio Calabrese. Siamo già con più di un piede dentro gli anni di piombo. Ed è in questo contesto che Lina Wertmuller, ex collaboratrice di Garinei e Giovannini, feconda sceneggiatrice cine-televisiva (ha collaborato con Federico Fellini in “La dolce vita” e “Otto e mezzo” – così come con la RAI Radio Televisione Italiana per “Il giornalino di Gianburrasca”) - ed all’occasione - artefice non schizzinosa di film di mercato, con “Mimì metallurgico ferito nell’onore”, traccia con inedita freschezza, la storia di Carmelo Mardocheo detto appunto Mimì, uomo del profondo sud combattuto tra tradizione e progresso, mafia e comunismo.
Con questo film, la Wertmuller porta davvero qualcosa di nuovo nel pur variegato panorama della commedia italiana di quegli anni, mancando ancora uno sguardo autenticamente “femminile” sul maschio meridionale e sulla sua mentalità. La molla psicologica che sottende all’intero film e che diviene fulcro di una potenziale ed irrefrenabile comicità, risiede nell’apparente cambiamento di Carmelo detto Mimì, da uomo del sud vagamente mafioso ad “evoluto” operaio del nord, e nel cortocircuito provocato dallo scarto tra l’operaio emancipato e trozkista che vorrebbe pur diventare e l’uomo d’onore, tutto passione e possessività che in realtà è. Almeno a rigor di logica non si può certo essere trozkista e complice della mafia, allo stesso modo in cui non si può essere emancipati e possessivi. Invece la Wertmuller costringe il suo personaggio “metallurgico” a vivere in un assurdo limbo, gioca sia con la rozzezza che con lo stupore di Carmelo detto Mimì e spinge a fondo il pedale delle contraddizioni arrivando a miscelare gli opposti in una fusione rocambolesca.
Così il personaggio di Carmelo detto Mimì (un ispirato Giancarlo Giannini che vince in questa occasione il David di Donatello per la migliore interpretazione), viene fuori esagitato, frastornato da se stesso, sempre sopra le righe; è – insomma - un personaggio che non sa più bene chi è, che viene travolto dal progresso industriale e dei costumi, che non capisce il mondo del nord di cui pur vorrebbe far parte. Mimì è istintivamente spinto ad allontanare per sempre il giro dei parenti mafiosi che vorrebbero riportarlo alle “regole” ma continua ad essere omertoso e – dunque – in qualche modo connivente.
A Carmelo detto Mimì piacerebbe di slancio - ad esempio - essere un trozkista così come la sua amante meneghina (interpretata da una bravissima Mariangela Melato), che sembra ai suoi occhi una dea con la pelle bianchissima, i grandi occhi truccati come una diva del cinema muto ed i variopinti maglioni patchwork caratteristici del ‘68 così tanto diversi dalle vesti nere delle donne del sud. Ma torna ogni volta a sbattere il grugno contro la faccia dei parenti mafiosi riconoscibili per i tre nei sulla guancia, ripresi in primi piani deformanti che ricordano un po’ lo stile grottesco di “Sedotta e abbandonata” di Pietro Germi. Ad interpretare tutti i mafiosi di famiglia, è sempre lo stesso attore, il grande ed indimenticabile Turi Ferro – un po’ come Paolo Stoppa (altrettanto grande ed indimenticabile interprete) che impersonava tutti i cattivi in “Siamo uomini o caporali?” al fianco di Totò.
Di accento “felliniano” invece l’uso del grandangolo che raggiunge il massimo dell’effetto comico-grottesco nel primo piano deformante del fondo schiena della moglie partenopea del brigadiere durante la spassosissima scena dell’adulterio tra Mimì ed Amalia appunto; laddove – alternato alla sequenza degli occhi inespressivi e sbarrati di una bambola (presente nella stanza della scena) e quelli inorriditi ed increduli del protagonista, dà la cifra della autentica bravura della Wertmuller.
Insomma, la metamorfosi del siculo Carmelo detto Mimì si dimostrerà impossibile per definizione e la donna che pur ama resterà alla fine irraggiungibile nel senso che lui non potrà mai diventare un uomo emancipato mentre sia il tema politico - cioè la lotta di classe che il tentativo illusorio di superare una atavica condizione mentale, rivisitati alla luce di una rilettura storica dei primi anni ’70 - proprio sulla scia di questa impossibilità diventano grottescamente tragicomici.
Terzo appuntamento della rassegna cinematografica “Brividi…di Sicilia a mezzanotte”. Proiezione della versione restaurata del film di -Lina Wertmuller "Mimì metallurgico ferito nell'onore". Corte Intima di Palazzo Aragona - Cutò in via Consolare a Bagheria, ore 22,30, sabato 30 agosto 2008.