Il mio vecchio amico Angelo Gargano mi sollecita a intervenire nella discussione sul passato, presente e futuro di Bagheria a cui hanno finora partecipato Antonino Morreale, Maurizio Padovano, Piero La Tona e lo stesso Gargano.
Col passare degli anni ti accorgi che gli amici sono tra le poche vere ricchezze che alla fine ti ritrovi, questo per dire che non potevo essere insensibile all’invito di Angelo che ringrazio.
Ringrazio Angelo anche per questo sito Bagherianews che, oltre che utile, tecnicamente non ha nulla da invidiare a siti simili geograficamente meno periferici. Il fatto che ci sia vale molto di più dei singoli discorsi che vi facciamo su Bagheria e altro. È un grande specchio interattivo in cui ciascuno può prendere la parola e apprendere il punto di vista degli altri. Lo vedo come la continuazione elettronica e il perfezionamento dei circoli culturali dei primi decenni del secondo dopoguerra.
Debbo confessare – ed è la confessione di una colpa – che la prima notizia di Bagherianews l’ho avuta da Tullio De Mauro. «Mi sai dire nulla di questo sito bagherese. È ben fatto». Ho balbettato perché non ne sapevo nulla, non avevo neanche capito chi ne fosse il responsabile. L’episodio non fa onore a me ma è sicuramente un titolo di merito oggettivo per Bagherianews: se se ne è accorto autonomamente De Mauro, beh! la sostanza allora ci deve essere. E effettivamente c’è.
Passo a raccontarvi a grandi linee l’idea, non entusiasmante, che mi sono fatta di Bagheria.
Partiamo da un dato di fatto, incontrovertibile. La Sicilia (ma la considerazione vale per tutto il meridione) mai è stata così priva di futuro come da qualche decennio. Una collettività senza futuro è una collettività attaccata dal peggiore dei cancri possibili, quello che colpisce l’anima e non ti consente di dare un senso alle tue azioni quotidiane e, se sei vecchio, di leggere la tua vita passata come qualcosa che sia stata utile agli altri.
Bagheria, città siciliana per eccellenza, vive senza futuro.
Ne volete una prova? Sono poche le famiglie con un livello culturale medio-alto che non abbiano almeno un/a figlio/a che non studi o lavori in una città italiana del centro-nord o fuori d’Italia. Fate una passeggiata per il centro di Milano o andate a visitare la Bocconi o la Cattolica e costaterete con quale facilità ci si imbatte in meridionali o negli amici e compagni dei nostri figli. Se poi avete modo di parlare con loro costaterete che nessuno ha molta voglia di tornare, salvo che per le vacanze. È questo il senso dell’essere senza futuro. Se le cellule più giovani ti abbandonano, nel tuo corpo rimangono solo quelle vecchie e il tuo destino è implacabilmente già scritto.
Se giovani milanesi, romani, torinesi venissero a lavorare e studiare qui, saremmo all’interno di un fecondo scambio fisiologico di risorse intellettuali. Ma il flusso è solo in una direzione, dal Meridione verso il Nord Europa. Le nostre modeste unversità, il nostro ancor più modesto apparato economico non attraggono nessuna intelligenza esterna.
Provate a immaginare come sarà la classe dirigente meridionale dopo altri due decenni di smottamento massiccio di giovani intelligenze irreversibilmente fuoriuscite dal Sud. Quelli che rimarranno, anche se hanno avuto ai nastri di partenza ottimi livelli intellettuali, inevitabilmente nella migliore delle ipotesi vivranno nella frustrazione e insoddisfazione. La classe dirigente che ne verrà fuori non può che essere molto molto modesta.
Mettiamoci il cuore in pace, se questo trend continuerà i prossimi presidenti della Regione e i prossimi sindaci ci faranno rimpiangere gli attuali, cioè quelli che ci fanno vivere nella sporcizia urbana quotidiana, tra gli incendi estivi dei pochi boschi che rimangono che tutti sappiamo essere dolosi, tra gli sperperi degli enti utili solo per far vivere bene un po’ di amici raccomandati, non vi sarà difficile continuare da soli la lista. Diremo in coro (già lo facciamo per il passato tutt’altro che glorioso): almeno il sindaco F. o S. o il Presidente C. facevano questo o quello!
Come si diceva una volta, che fare? Francamente non lo so. Nelle ultime elezioni provinciali per la prima volta non sono andato a votare, cerco di darmi una risposta realistica ma non riesco a trovarla. Quel poco di ottimismo della volontà che ancora mi resta mi porta a stendere un elenco minimo di cose da fare con urgenza.
Primo. Finiamola con questo bagherocentrismo, retoricamente stucchevole e politicamente sterile sia quando descriviamo Bagheria come l’ombelico del mondo sia quando la viviamo come uno dei gironi dell’Inferno dantesco. I problemi di Bagheria sono i problemi siciliani e meridionali. I bagheresi avremo pure una nostra specificità ma, rispetto alle questioni cruciali, essa è inessenziale. Oppure, se volete, occupiamoci di Bagheria con l’intento però di sapervi leggere difetti e virtù dell’intera Sicilia. Il libro della Maraini non fu all’altezza del compito. Vedremo se il film di Tornatore saprà riempire questo vuoto conoscitivo. Ne parleremo a visione fatta.
Secondo. Il futuro non saremo noi in quanto bagheresi a darlo a Bagheria. Non ci sono salvezze municipalistiche nella storia. Potremo dare un futuro alle giovani generazioni (ma i lettori avranno capito che non sono molto ottimista) se riusciamo a superare la questione meridionale che, oggi, è molto più grave e complessa di quella che si legge nei libri di storia.
Terzo. Per noi siciliani le condizioni primarie e irrinunciabili per cominciare a percepire un barlume di futuro sono: 1) convincerci coi fatti e non a parole che liberarsi dalla mafia è conveniente in termini di benessere individuale e collettivo; 2) dimezzare in dieci anni le spese per il mantenimento degli apparati regionali: lo sapete che i nostri deputati regionali, pur lavorando pochissimo e malissimo, hanno stipendi superiori a quello dei parlamentari europei? e lo sapete quanto guadagnano i dirigenti degli enti che hanno fatto dell’immondizia il nostro normale arredo urbano e che allietano, per insipienza di controllo, le nostre estati con frequenti giochi di fuoco boschivi?; 3) investire le risorse risparmiate in scuole e opere pubbliche; 4) punire severamente chi consegna un’opera pubblica che dopo tre anni non funziona.
I lettori possono continuare da soli l’elenco. È un modo per non piangerci sempre addosso e praticare il sano esercizio di indicare obiettivi chiari e facilmente verificabili.
Concludo con una riflessione veloce sul punto 4). Quando, tra il ’95 e il ’97, fui assessore al comune di Bagheria posi inutilmente una domanda così semplice da sembrare cretina: perché mai i collaudi delle opere pubbliche sono sempre positivi nonostante, dopo qualche anno, si ricorra sempre alla manutenzione straordinaria? Per un banale calcolo statistico, almeno una volta su cento un collaudo dovrebbe dare esito negativo. Mi sono data una risposta, semplice e stupida quanto la domanda: non sarebbe meglio risparmiare i soldi degli inutili collaudi (i soldi sono veramente tanti e la loro reale destinazione è spesso oscura) e fare firmare al direttore dei lavori e al titolare dell’impresa una dichiarazione sotto la propria responsabilità di avere effettuato i lavori secondo capitolato e norme contrattuali? Sarebbe una riforma, non solo a costo zero, ma farebbe anche risparmiare molte risorse da usare per asilinido, arredo urbano, assistenza, eccetera. Ma per fare questo ci vuole una legge regionale. Come vedete, Bagheria non è un’isola, ammesso che ci siano nel mondo isole culturali e politiche.
L'autore dell'articolo, Franco Lo Piparo, è ordinario di Filosofia del Linguaggio presso la Facolta di Lettere dell'Università di Palermo.
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