A spingerci a scrivere questa riflessione è stato un giovane, Giovanni Bartolone si chiama, occasionalmente conosciuto nella comunità virtuale di Facebook, il quale un giorno ci manda un messaggio : “ Lei - mi scrive- conosce sicuramente mio nonno”;“è possibile - gli rispondo - ma chi è tuo nonno”?
"Vincenzo Bartolone, detto ‘U cappillanu’ ", replica quasi immediatamente. Certo che lo conosco.
Bastò questo nome per evocare, nell’area dell’encefalo che conserva le memorie remote, e fare riemergere facce di uomini e di donne, vicende che hanno fatto segnato il percorso politico e sociale della nostra comunità, storie di cuori, intelligenze e passioni.
Naturalmente mi venne subito da chiedere :’come sta tuo nonno’ ? chè era da tanto che non lo vedovo, stazionare in piedi dritto come un olmo o seduto sulle panchine del bar Carmelo, in compagnia dell’immancabile sigaretta, come fece sino a quando lo potè.
"Mio nonno - aggiungeva in un successivo messaggio il giovane Giovanni Bartolone - non sta bene, ma la testa è ancora buona, e le sue idee sono quelle di sempre".
'Crede sempre nel progresso degli oppressi e nella giustizia sociale, è contro gli arbitri dei padroni e segue sempre le vicende politiche con la nostalgìa dei tempi passati'
Certo, aggiungiamo noi, oggi gli oppressi non sono più i braccianti e gli operai di ieri, sono l’esercito di estracomunitari sfruttati nelle campagne, sono le legioni di giovani che restano disoccupati, sono i milioni di giovani diplomati e laureati costretti ad emigrare, e i padroni non si chiamano più Agnelli, Valletta o Bonomi, ma hanno nomi inglesi e raffinati da spread a bond a tutta la terminologia che definisce la nuova economia e le moderne crisi.
‘Le idee di mio nonno sono quelle di sempre’: non avevamo dubbi, avendo conosciuto la militanza di Vincenzo Bartolone, ' u cappillanu', il suo coraggio nello stare sempre in prima fila nelle lotte dei braccianti, la sua determinazione, la sua fedeltà al partito e al sindacato.
‘Le idee di mio nonno sono quelle di sempre’:evento rarissimo oggi, in cui i saltimbanchi sono diventati in italia la specie più diffusa nell’universo politico e cambiare casacca è una sorta di sport dove vince chi lo fa più velocemente.
Ci fu un tempo in cui, all’inizio degli anni ’60, un consigliere del Partito comunista, passò alla Democrazia cristiana.
Per anni, per decenni, quello fu un nome segnato, un nome per antonomasia legato al concetto di tradimento, una sorta di personificazione del male.
Un errore certo, ma la politica e l'attaccamento alla fede politica erano fatti anche di questa stoffa.
E’ vero un tempo la politica, l’impegno politico, fu soprattutto fede e passione: certo la politica, per mutuare una espressione rubata al giornalismo sportivo ‘non è mai stata un gioco per signorine’, i fenomeni degenerativi, la difesa di interessi non sempre limpidi c’è sempre stata, voler pensare ad un periodo in cui la politica era una sorta di Eden popolato da eroi senza macchia e senza paura non ha alcun fondamento.
La politica è sempre stata scontro e conflitto di interessi collettivi e purtroppo anche personali.
Ma ci fu un tempo in cui tra i protagonisti e tra i militanti di partiti anche fieramente contrapposti la passione, il credere in una idea o in una ideologia, avere un comportamento di vita coerente con le poprie idee, fu una sorta di status, di habitus mentale, che conferiva dignità e fierezza a chi lo praticava.
E furono in tanti a praticarlo, e lo ripeto, non solo nel partito nel quale ho militato, il partito comunista.
Anche nei partiti avversari c’erano fior di galantuomini che credevano nelle cose che dicevano: voglio ricordarne uno per tutti: Peppino Abbate, amava dire che ogni campagna elettorale gli costava un paio di scarpe nuove, quelle che gli servivano, non aveva neanche la macchina, per tessere il paese e incontrare gli elettori.
Ma ci piace ricordare anche l'avv. Aurelio D'Amico, i medici Pietro Belvedere, Masino Di Leonardo e Pietro Lo Cascio, e perchè no? anche l'avv. Gino Galioto, da noi comunisti fieramente avversato e che, ricco di famiglia, dopo una vita di fare politica in prima fila e in ruoli di grande potere e responsabilità, morì povero.
E per la nostra parte ci viene da pensare ai tanti che sono ancora con noi, da Vincenzo Bartolone a Ciccio Gambino ad Antonio Martorana a Ciccio Di Bella a Nicola Stallone, forse i decani dell’esercito di un tempo sino a Peppino Saitta, Agostino Cangelosi, Nicola Gagliano, Rosario Mamone, Mimiddu Canzoneri, Balduccio Pagano e poi le famiglie, i Gambino, i Valenti, i Martorana, gli Scardina.
Sino a quelli, e sono i più, che ci hanno lasciato: Ciccio Chiello, Peppino Speciale, Peppino Tornatore, Nino Gambino, Pietro Finocchio, Nino Cirrincione, Silvestre Scardina, Gino Lo Giudice, Peppino Russo, Saverio Di Cristina, Mimiddu Giammarresi, Agostino Aiello, Pietro Finocchio e potrei continuare a scrivere intere pagine di nomi e cognomi, di facce e di storie.
E quelle centinaia di cui non stiamo ricordando il nome, e non solo per semplice dimenticanza, ma anche per problemi di spazio, ci perdoneranno.
Perché ci un tempo in cui si era orgogliosi , le domeniche d’estate, quando si sudava sotto il solleone e dopo avere rinunciato ad andartene a mare con la famiglia, potere affermare prima di andare a pranzo: “Oggi abbiamo venduto duecento copie de L’Unità’”, dieci in più della scorsa settimana; oppure durante le campagne elettorali affiggere notte dopo notte centinaia di manifesti, e tratturare a piedi il paese intero, giorno dopo giorno, e fare decine e decine di assemblee, di riunioni, di discussioni per portare avanti non una singola candidatura ma l’affermazione di un partito.
'E’ giusto - dicono oggi i furbetti in malafede, annidati anche dentro il Partito democratico - pagare quelli che fanno politica perchè mettono a disposizione il loro tempo e la loro professionalità, e fanno, poveretti, tante rinunce'; perchè di passione ovviamente non si parla più.
Un tempo si faceva molto, ma molto di più di quello che fanno adesso consiglieri e deputati, innanzitutto perché ci si credeva ed il 50% del modesto gettone di presenza veniva versato al partito, e chi andava ad occupare ruoli in organismi gestionali ( pensiamo ai comitati di gestione delle unità sanitarie locali) firmava una delega perché le somme che gli spettavano venivano incanalate al partito.
E ci viene da ridere oggi quando anche dal partito che dovrebbe rappresentare la sinistra, il Partito Democratico, vengono inviti alla cautela quando si parla di tagliare gli sprechi e i costi della politica: "Stiamo attenti - hanno la faccia tosta e la sfrontatezza di dire i compagni di oggi -perché se aboliamo prebende e rimborsi ai politici, la politica la potranno fare solo i ricchi’.
Dovrebbero vergognarsi di dire una cosa che è una mistificazione oltre che un falso storico: tanti anni fa senza che ci fossero rimborsi e stipendi da nababbi, braccianti, coltivatori, artigiani, operai, potevano diventare, come diventarono, consiglieri comunali e regionali e deputati nazionali.
Oggi, neanche a pagarlo a peso d’oro trovereste nelle assemblee elettive, ed a qualsiasi livello, un lavoratore della terra, un artigiano o un operaio.
Ma tant'è: i tempi cambiano, le teste cambiano, la politica cambia.
Rimangono quelli come Vincenzo Bartolone, 'u cappillanu', ancorati non ad una fede irrazionale, ma a semplicemente a princìpi che, se seguiti ancora oggi, renderebbero il nostro paese diverso e migliore.
Angelo Gargano
Le foto sono tratte dall'archivio storico di Pietro Pagano