Cultura

La violenza, scoppiata in numerosi paesi siciliani in concomitanza col mutare del regime, venne generalmente affrontata in modo sanguinoso dalle truppe garibaldine o dalla Guardia Nazionale.

In alcuni paesi, tuttavia, Garibaldi inviò il siciliano Giuseppe La Masa che si servì delle guerriglie che aveva raccolto a Gibilrossa e che avevano attuato l’assalto e la conquista di Palermo il 27 maggio.

Leggiamo dal proclama di Misilmeri dell’11 giugno del 1860 del La Masa a quelli che egli chiama “soldati  della patria”: “…io coll’aiuto delle mie vecchie guerriglie, alla cui testa è il prode sacerdote Agostino Rotolo, colle Guide a cavallo ed a piedi del nostro Stato Maggiore…, col mio antico e valoroso compagno, cavaliere Vincenzo Fuxa, ed altri prodi figli della patria, sono lieto di poter compiere in pochi giorni questa sacra missione…”. ( 1 )

Pochi giorni dopo, precisamente il 15 giugno, e sempre da Misilmeri, Giuseppe La Masa scriveva a Garibaldi: “Sento, con mio dispiacere, allarmati tutti i vicini paesi a causa di aversi affidata una sì alta missione a…soggetti dichiarati pessimi dalla opinione pubblica. Mille brutte dicerie contra di essi vanno attorno su quanti adoprano nei paesi dove si recano, abusando del potere loro affidato”. ( 2 )

Dunque i picciotti, il cui contributo era stato determinante nella riuscita della prima fase dell’impresa garibaldina, non godevano di una buona fama.

Il 13 giugno Garibaldi scioglierà quelle squadre e in un giornale dell’epoca, in un articolo del 18 giugno, questo atto sarà commentato nel modo seguente:
“…Scompaiono certi individui armati fino ai denti e vestiti nelle più strane guise…Un ordine del Dittatore ha reso un vero e grande servigio alla tranquillità pubblica. Egli mandò ai propri focolari molti dei volontari delle squadre siciliane e non rattenne se non che uomini scelti e veramente atti alle armi.

Di questa guisa ci liberò da molesti ausiliari, i quali non pare avessero delle idee molto chiare, o per dir meglio molto rette, sulla proprietà altrui. In generale, mi sembra che senza averla studiata mettessero in pratica la teoria di Proudhon, come la più facile e laudabile teoria sociale”. ( 3 )

Non c’è dubbio che i picciotti siciliani avessero partecipato all’impresa garibaldina nella prospettiva di un miglioramento delle loro condizioni di vita. Sicuramente essi erano stati incentivati anche dal soldo che avrebbero percepito.

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Scrive infatti Nandor Eber:Ma è cosa curiosa ad osservare che i patrioti siciliani ricevevano una paga; mentre gli entusiastici italiani del continente venuti per aiutarli non avevano né anco un soldo e non speravano d’aver nulla. Si chiamarono i cacciatori dell’Etna”. ( 4 )

I documenti dell’epoca ci permettono di comprendere come funzionassero le cose. Sono i singoli Comuni, attraverso i loro Comitati rivoluzionari, a fornire il denaro per il pagamento delle squadre da essi reclutate; quel denaro, raccolto in una apposita cassa, viene quindi ogni giorno distribuito al singolo individuo dai capi squadra. Citiamo dall’ordine del giorno n. 2, del 22 maggio 1860, in Gibilrossa: “E d’oggi innanzi dietro appello nominale si darà ad ogni individuo il soldo di tarì tre al giorno”. ( 5 )

Esiste un importante documento costituito dal “Rendiconto presentato dall’Intendente delle Guerriglie Siciliane signor Nicolò Sunseri al signor Generale La Masa per l’amministrazione tenuta sul campo di Gibilrossa e nell’entrata in Palermo”; in esso l’Intendente registra puntualmente le entrate provenienti dai vari comuni ( 676 onze e 4 tarì ) e le uscite ( 699 onze, 21 tarì, 7 grana ) con un bilancio in disavanzo di 23 onze, 17 tarì e 7 grana. Dal quel rendiconto possiamo ricavare anche le entrate e le uscite di cassa riguardanti Bagheria.

23 maggio. Introitate o versate in questa Cassa nazionale per conto del Comune di Bagheria, per mezzo del sig. Tommaso Mazzarella, qual conduttore d’una squadra di questo Comune, onze centotrenta, tarì ventidue e grana due”.

“24 maggio. Pagate al signor Luigi Puglisi Capo della squadra di Bagheria per num. 147 individui, cioè 144 con fucili, e n. 3 con armi bianche, onze tredici e tarì diciotto. 24 maggio. Pagate alla squadra di Casteldaccia il di cui comando è pure affidato al signor Luigi Bavin Puglisi che comanda una squadra di Bagheria, onze quattro e tarì diciotto per 51 individui”.

“25 maggio. Pagate al signor Puglisi Luigi qual capo d’una squadra di Bagheria e di Casteldaccia composta di n. 141 individui con fucili e num. 59 con armi bianche, onze diciotto e tarì uno. 25 maggio. Erogati e dati per complemento alla squadra di Bagheria per aver acceso ieri sera dei fuochi negli avamposti collocati in varii punti della montagna di Gibilrossa, onze una e tarì sei. 25 maggio. Alla squadra di Bagheria capitanata dal signor Luigi Puglisi pagate per num. 5 vetture compresi i vetturini, onze due”. ( 6 )

Luigi Bavin Pugliesi continuerà a distribuire il soldo giornaliero ai suoi uomini fino all’8 di giugno quando i regi, ormai sconfitti, hanno già cominciato fin dal giorno prima ad imbarcarsi per lasciare Palermo. ( 7 )

Dopo l’ingresso nella Capitale, le squadre agli ordini del Pugliesi presidieranno infatti Porta dei Greci; ora i combattenti non sono più quelli di Gibilrossa, sono aumentati di numero essendo arrivati a 426, sono una forza importante, seconda soltanto ai 570 guerriglieri provenienti da Alcamo e guidati dal barone Sant’Anna ( presidiano il quartiere Papireto ), e di consistenza quasi analoga ai 420 provenienti da Cianciana e Ventimiglia comandati da Luigi La Porta ( di stanza a Porta Maqueda ). ( 8 )

Quegli uomini, al ritorno in sede, saranno accolti, secondo quanto immagina Nicola Previteri, con i dovuti onori dal popolo e dal locale Comitato…I bagheresi, allora, pervasi da furore patriottico, vissero momenti di grande intensità interiore:…i loro cuori accomunavano all’eroe Andrea Coffaro l’uomo del momento, don Luigi Bavin Pugliesi. Ma, a poco meno di un mese, quest’ultimo cadde improvvisamente nell’oblio delle successive generazioni”. ( 9 )

Cos’era successo? Il giovane ( aveva ventotto anni ), ai primi di luglio, era morto. Di morte naturale?

Nell’atto di morte che Nicola Previteri esamina, e che noi riporteremo, la causa non risulta ma egli ha forti dubbi; questi verranno confermati dalla lettura dello storico di parte borbonica Giacinto De Sivo laddove quest’ultimo, discutendo della violenza dilagante, accennerà a quel capo banda di Bagheria morto per mano dei suoi stessi uomini. ( 10 )

Luigi Bavin Pugliesi era il capo banda di Bagheria, egli era morto, egli era stato assassinato dai suoi picciotti.

Scrive Nicola Previteri; “…L’oblio, rigorosamente steso dalla Bagheria post unitaria sull’idealista Luigi Bavin Pugliesi…non fu che il parto di tanta ignominia”. ( 11 )

Di quell’assassinio, rispetto a Nicola Previteri, sappiamo ora molto di più; ne conosciamo il movente, legato a quel soldo che le guerriglie percepivano, le modalità e il nome degli esecutori, almeno di quelli che il tribunale condannò.

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Appendice 

PROVINCIA DI PALERMO COMUNE DI Bagaria Registro degli atti di morte Numero d’ordine 120

L’anno milleottocentosessanta il dì quattro del mese di Luglio alle ore sedici Avanti Noi Pietro Scaduto Presidente ed Uffiziale dello Stato Civile del Comune di Bagharia Distretto di Palermo Provincia di Palermo sono comparsi Giuseppe Gagliano di anni ventisei di professione Becchino domiciliato in Bagaria e Giuseppe Scardina di anni quarantasei di professione Massaro domiciliato ivi i quali han dichiarato che nel giorno tre del mese di sopra anno corrente alle ore quattro è morto nella propria casa in questa D Luigi Bavin Pugliese di anni ventotto nato in Palermo di professione Maggiore della Truppa Nazionale domiciliato in Palermo figlio del fu D Girolamo di professione-----
domiciliato----- e di----- domiciliata----

Per esecuzione della legge ci siamo trasferiti insieme coi detti testimoni presso la persona defunta, e ne abbiamo riconosciuto la sua effettiva morte. Abbiamo indi formato il presente atto, che abbiamo iscritto sopra i due registri e datane lettura ai dichiaranti si è nel giorno mese, ed anno come sopra, segnato da Noi. Solamente

Note
1-Giuseppe La Masa, Alcuni fatti e documenti della Rivoluzione dell’Italia meridionale del 1860 riguardanti i siciliani e La Masa, Tip. Scolastica-Sebastiano Franco E Figli, Torino 1861, p. 178 books.google.com/…/Alcuni_fatti_e_documenti_della_Rivoluzio.htm…

2-Ivi, p. 179

3-Movimento del 24 giugno 1860 in La spedizione garibaldina di Sicilia e di Napoli: nei proclami, nelle corrispondenze, nei diari e nelle illustrazioni del tempo, a cura di Mario Menghini, Società Tipografico- Editrice Nazionale, Torino 1907, p. 119 Archive.org/…/laspedizionegari00menguoft/la spedizionegari00mengu…

4-La rivoluzione siciliana raccontata da un testimone oculare, Stabilimento Tipografico delle Belle Arti, Napoli 1860, p. 16b books.google…/La_rivoluzione_siciliana_raccontata_da_u.htm…

5-Giuseppe La Masa, op. cit., p. 87
6-Ivi, pp.245-261

7-Nicola Previteri, Verso l’Unità, Gli ultimi sindaci borbonici di Bagheria, Assessorato ai Beni Culturali del Comune di Bagheria, Bagheria 2001, p. 286

8-Altre squadre particolarmente numerose furono quelle guidate dal sacerdote Agostino Rotolo ( 412 combattenti provenienti da Lercara di stanza a Porta Termini ) e dal marchese Ferdinando Firmaturi (403 uomini provenienti da Corleone di stanza all’Università e al Quartier Generale ). Negli stessi luoghi presidiati dal Firmaturi, c’erano anche altri 30 uomini provenienti da Bagheria e Santa Flavia e comandati da Francesco Gandolfo. Ricaviamo queste notizie dall’importante saggio di Pietro Merenda dal titolo
Contingente delle squadre siciliane d’insorti nei combattimenti di Palermo del 27, 28, 29 e 30 maggio 1860, pubblicato nel 1931 in Rassegna Storica del Risorgimento anno XVIII ( Supplemento al fascicolo 1° XVIII Congresso Sociale di Palermo ), pp.180-201, www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=16947.
Secondo il Merenda i siciliani che parteciparono all’impresa garibaldina divenendo decisivi per la sua riuscita furono ben 6602; questo totale corrisponde alla somma dei 5700 picciotti di 72 squadre, 780 uomini comandati dal bagherese Vincenzo Fuxa, 122 uomini dello Stato Maggiore e delle Guide.

9-Nicola Previteri, op. cit. ,p.286

10-Giacinto De Sivo, Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861, vol. 2°, Trieste 1868, p. 234
 

E' una delle dimore settecentesche purtroppo tra le meno note del nostro territorio, ma certamente dall'architettura più singolare; ed è meritoria l'iniziativa patrocinata dal Centro Studi Itinera che viene incontro al desiderio di tantissima gente che non è mai entrata a palazzo San Marco, occasione della quale in tanti certamente approfitteranno.

Dimora estiva dei Principi di Mirto, proprietari a Palermo dell'omonimo Palazzo, il Castello fu edificato nel 1673 attorno a una torre d'artiglieria cinquecentesca. È circondato da un magnifico giardino tipicamente siciliano, dove alle essenze mediterranee si mescolano piante esotiche, succulente, cactacee. Durante il secondo conflitto mondiale vi soggiornò come ospite lo scrittore Tomasi di Lampedusa che dei padroni di casa era cugino.

Perfettamente conservate, si possono ammirare la cappella di corte, l'antica cucina, le scuderie con le antiche carrozze di famiglia.

Per l'occasione giovedì 25 aprile saranno effettuati due turni di visita (con inizio alle ore 10:00 e alle ore 12:00) dalla durata di circa un'ora, ai giardini, alle scuderie, alle cucine e alla cappella di corte.

Per informazioni su prenotazioni e costi inviare una e-mail all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o chiamare il 347 0020723.

Il Castello San Marco si trova in via San Marco n. 90 a Santa Flavia (Palermo).         

Il 22 maggio, a Parco (Altofonte n.d.r.) , Giuseppe Cesare Abba incontra un frate con il quale ha un dialogo che gli lascia “un non so che di turbamento”. ( 1)

Scrive: “Mi son fatto un amico. Ha ventisette anni, ne mostra quaranta: è monaco e si chiama padre Carmelo. …Vorrebbe essere uno di noi, per lanciarsi nell’avventura col suo gran cuore, ma qualcosa lo trattiene dal farlo. …

-Verrei, se sapessi che farete qualche cosa di grande davvero: ma ho parlato con molti dei vostri, e non mi hanno saputo dir altro che volete unire l’Italia.
-Certo; per farne un grande e solo popolo.
-Un solo territorio! In quanto al popolo, solo o diviso, se soffre, soffre; ed io non so che vogliate farlo felice.
-Felice! Il popolo avrà libertà e scuole.
-E nient’altro!-interruppe il frate: -perché la libertà non è pane, e la scuola nemmeno. Queste cose basteranno forse per voi Piemontesi: per noi qui no.
-Dunque che ci vorrebbe per voi?
-Una guerra non contro i Borboni ma degli oppressi contro gli oppressori grandi e piccoli che non sono soltanto a Corte, ma in ogni città, in ogni villa.
-Allora anche contro di voi frati, che avete conventi e terre dovunque sono case e campagne!
-Anche contro di noi; anzi prima che contro d’ogni altro! Ma col vangelo in mano e colla croce. Allora verrei. Così è troppo poco”. ( 2 )

Padre Carmelo è un bell’esempio di rivoluzionario e lo scrittore soldato pare comprenderne le motivazioni. Ma è così?
Passeranno i giorni, ci saranno i fatti di Bronte, non vi parteciperà, G.C. Abba li racconterà per sentito dire e non certo dalla parte dei senza terra.

Dimentica infatti la lezione del religioso e scrive: “ A Bronte divisione di beni, incendi, vendette, orgie da oscurare il sole, e per giunta viva a Garibaldi. …Cose da cavarsi gli occhi per l’orrore! Case incendiate coi padroni dentro; gente sgozzata per le vie; nei seminari i giovanetti trucidati a piè del vecchio Rettore; uno dell’orda è là che lacera coi denti il seno di una fanciulla uccisa. …E i rei sono giudicati da un consiglio di guerra. Sei vanno a morte, fucilati nel dorso con l’avvocato Lombardi, un vecchio di sessant’anni capo della tregenda infame. Tra gli esecutori della sentenza v’erano dei giovani dolci e gentili, medici, artisti in camicia rossa. Che dolore! Bixio assisteva con gli occhi pieni di lacrime”. ( 3 )

Vengono così raccontati fatti raccapriccianti mai accaduti ( con errori: sei fucilati invece di cinque,  avvocato Lombardi invece che Lombardo ) e, soprattutto, passa la versione garibaldina degli avvenimenti che oppone la “tregenda infame” e il suo capo ( ma lo era davvero? ) a un incredibile Bixio piangente e a camicie rosse “dolci e gentili” fucilatori loro malgrado.

Frate Carmelo è figura reale e letteraria. Don Paolo Vitale, sacerdote, è figura letteraria. Compare nel racconto lungo di Leonardo Sciascia "Il quarantotto".

Costruendo il personaggio Sciascia teneva presente la figura del frate incontrato dall’Abba?

Vale la pena leggerne la sua descrizione.

Scrive dunque Leonardo Sciascia: “ Io andavo a scuola dal prete… conservo di don Paolo un buon ricordo…abitava due camerette nude, piccole come celle di convento, a lato della sua parrocchia, la più povera e fuori mano che ci fosse nel paese; appunto a lui l’avevano data in punizione della spregiudicatezza e libertà che mostrava, inviso ai superiori e ai colleghi, in fama di liberale… . Ma liberale veramente non era: l’amore alla libertà gli nasceva dalla sofferenza del popolo, la libertà del popolo era il pane, lottare per poter leggere dei libri e aprire delle scuole gli pareva cosa assurda … .E mi parlava della rivoluzione vera, quella che stavano facendo gli pareva un modo di sostituire l’organista senza cambiare né strumento né musica: e a tirare il mantice dell’organo restavano i poveri”. ( 4 )

Con il padre Carmelo dell’Abba siamo nel 1860 mentre con il sacerdote di Sciascia ci troviamo durante la rivoluzione siciliana del 1848.

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Dalla parte dei poveri ancora nel 1860 è il nobile Enrico Pirajno di Mandralisca, personaggio reale e letterario che Vincenzo Consolo fa protagonista del romanzo "Il sorriso dell’ignoto marinaio".

Ma il Pirajno è fatto d’altra pasta; laddove i due religiosi agiscono per spirito  evangelico l’altro, uomo di scienza, è per spirito illuminista che agisce. Mentre per i primi ai poveri sono  sufficienti terra e pane, all’altro queste cose non bastano.

Sconvolto dai fatti di Alcara li Fusi cui era stato in parte spettatore, sente l’obbligo di scrivere una memoria e una lettera -preambolo, da  inviare al Procuratore Generale della Gran Corte di Messina, Giovanni Interdonato, che dovrà giudicare gli  imputati scansati alla fucilazione.

Espresse in quella lettera ci sono le ragioni di quella memoria e il  proposito di mutar vita giacchè di essa quell’atroce esperienza ne ha rivelato tutta l’inutilità.

Quelle ragioni: “Questa memoria non suoni invito istigativo a far pendere i piatti della bilancia della Giustizia sacra da una parte o dall’altra, ma sia intesa quale mezzo conoscitivo indipendente, obiettivo e franco, di fatti commessi da taluni che hanno la disgrazia di non possedere ( oltre a tutto il resto ) il mezzo del narrare, a voce o con la penna, com’io che scrivo, o voi, Interdonato, o gli accusatori o contro parte o giudici d’essi imputati abbiamo il privilegio. E cos’è stata la storia sin qui, egregio amico? Una scrittura continua di privilegiati”. ( 5 )

Perchè, al fondo di quella incapacità di narrare dei diseredati, c’è anche un modo di intendere le parole, le stesse parole, in modo differente rispetto ai cosidetti liberali.

Scrive pertanto il Pirajno:E dunque noi diciamo Rivoluzione, diciamo Libertà, Egualità, Democrazia…E gli altri, che mai hanno raggiunto i dritti più sacri e elementari, la terra e il pane, la salute e l’amore, la pace, la gioia e l’istruzione, questi dico, e sono la più parte, perché devono intendere quelle parole a modo nostro?” ( 6 )

Ad Alcara Li Fusi, e dovunque si verificarono rivolte sanguinose, i diseredati si mossero per la terra e per il pane perché questo era per loro la libertà ma, ed ecco l’illuminista, anche l’istruzione è un diritto  elementare; con essa tutti potranno riempire le parole con le stesse cose.

Ancora il Pirajno : “Dopo i fatti di Alcara ho detto addio alla mia pazza idea dello studio sopra la generale malacologia terrestre e fluviatile di Sicilia: ho dato fuoco a carte, a preziosi libri e rari, fatto saltare il microscopio, schiacciato gli esemplari di ogni famiglia e genere…Al diavolo, al diavolo!” ( 7 )

Dopo quei fatti ha abbandonato la pratica di una scienza astratta e non rivolta all’uomo; dopo quei fatti scriverà che “l’unica azione degna che mi accinga a fare è quella di lasciare la mia casa, i miei beni e destinarli a scuola, insegnamento pei figli dei popolani di questa mia città di Cefalù. Si che, com’io spero, la loro storia, la storia, la scriveran da sé. …I libri e la ricolta d’antichità saranno una pubblica biblioteca e un museo…”. ( 8 )

C’è , nel descrivere quella sorta di conversione di Enrico Pirajno di Mandralisca, una profonda riflessione sul ruolo dell’intellettuale ma anche l’espressione dell’utopia della liberazione dai bisogni, materiali e intellettuali, progressiva quella e progressivi i bisogni, in una società il cui scopo è quello di migliorare le condizioni di vita di chi la compone.

Note

1-Giuseppe Cesare Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille, p. 30
www.liberliber.it/a/abba/ da quarto al volturno/pdf/ da qua_p.pdf
2-Ibidem
3-ivi, p. 62
4-Leonardo Sciascia, Il quarantotto, in Gli zii di Sicilia, Einaudi, Torino 1975, pp. 132-133
5-Vincenzo Consolo, Il sorriso dell’ignoto marinaio, Mondadori, Milano 1997, p. 118
6-Ivi, p. 120
7-Ivi, p. 121
8-Ivi, p. 123


Marzo 2013 Biagio Napoli


 

Gentile Direttore, leggo con dispiacere il suo articolo che reca il titolo “Meno male che il F.A.I. c’è…”.

Lei conosce bene le mie attitudini e l’equilibrio personale che cerco di portare in politica, tuttavia oggi non riesco a rimanere silente rispetto alle considerazioni che Lei riporta nell’articolo di cui sopra.

Lei è avvezzo alle cose della politica. Conosce norme, regolamenti e consuetudini. Sa bene qual è il ruolo che svolge il consiglio provinciale (e di converso il consigliere provinciale), quello che svolge la giunta provinciale e quello che svolgono tutti gli altri organismi istituzionali. E proprio in considerazione delle sue conoscenze, l’articolo di cui sopra ci sembra pretestuoso, oltreché ingeneroso.

È giusto spiegare ai cittadini che il consigliere provinciale (si chiami esso Di Salvo, Lo Meo, Gargano o Balistreri) ha il compito di proporre progettualità, di indirizzare l’amministrazione, di votare, coerentemente alle iniziative intraprese, gli atti di amministrativi conseguenti: Piano Triennale delle Opere Pubbliche, Bilancio etc… .

Questo è quello che i consiglieri, che nel tempo hanno rappresentato Bagheria in seno alla Provincia Regionale di Palermo, hanno fatto.

Di contro la Giunta Provinciale, il Presidente, gli Assessori, hanno il dovere di trasformare gli atti di indirizzo del Consiglio Provinciale in progetti e piani esecutivi. E questo è quello che hanno fatto le amministrazioni provinciali che si sono succedute nel tempo.

Poi, se mancano le risorse economiche, se non si riescono a spendere quelle che ci sono, se non si erogano i finanziamenti comunitari, non può di certo essere colpa di consigli e giunte (comunali e provinciali).

Questi organismi non hanno potere legislativo (non le facciamo noi le leggi che ingessano i bilanci, che non danno tempi certi per la risoluzione dei problemi), non hanno potere coercitivo nei confronti delle inadempienze altrui.

Questo Lei, caro Direttore, lo sa bene, anzi benissimo.

Ci spieghi allora il perché di un articolo che tende a buttare la croce addosso a chi amministra, senza distinzione alcuna, che tende a negare quel minimo riconoscimento a coloro che, a fronte d’immense difficoltà e pastoie burocratiche, cercano di rendere un servizio alla propria comunità.

Su Villa Sancataldo, poi, la storia è ben più articolata di quella che racconta lei.

La Provincia di Palermo la comprò dai Gesuiti per le palesi difficoltà che quest’ultimi avevano ad affrontare gli esosi costi di gestione, nonché l’elevato costo di un intervento di restauro necessario già nel 1999.

Per un breve periodo, tra il 2003 ed il 2004, fu affidata al comune di Bagheria che ne fece uso scriteriato, procurando danni non indifferenti ai manufatti lapidei (vasi, obelischi, pinnacoli), al seguito del quale fu revocata unilateralmente da parte della Provincia la convenzione.

Oggi c’è un progetto cantierabile (già dal 2010), ammesso a finanziamento nel PIST di Bagheria. Se ancora non sono stati erogati i finanziamenti, se i lavori non sono cominciati, mi chiedo, qual è la colpa dei consiglieri provinciali o degli assessori?

Sull’adeguamento dello svincolo di Bagheria poi, mi sarei aspettato che lei avesse esercitato un diritto di critica documentato: avrebbe potuto chiedermi, come fatto in altre circostanze e per altri argomenti, le “pezze d’appoggio” del processo amministrativo che si è sviluppato, cercando e trovando responsabili e responsabilità.

Certo, posso capire la fretta del popolo, posso comprendere l’esigenza dei bagheresi di avere una città più vivibile, ma spesso i frutti del lavoro che si svolge oggi li raccoglierà qualcun altro domani. Sta nelle cose.

Non me ne voglia, Direttore, ma è marchiano il suo tentativo di essere il “tenore solista” all’interno del coro che grida e strepita contro la mala politica.

Certo la politica ha le proprie colpe, sicuramente per troppo tempo è stata sorda alle istanze del popolo, ma non in questo caso, no per quel che mi riguarda.

Un plauso certo va fatto al FAI (ed alla Prof.ssa Giuseppina Greco in particolare) ed ai tanti giovani che hanno partecipato con entusiasmo, la cui volontà di aprire Villa Sancataldo ha trovato sicuro sostegno nella nostra determinazione a far si che ciò fosse possibile, sobbarcandoci personalmente l’onere di superare limiti e difficoltà altrimenti, per la burocrazia, insormontabili.

P.S.
Caro Direttore
Qualora lo ritenesse utile potrei fornirle gli atti ed i provvedimenti che nel tempo, con modestia, ho contribuito a produrre, siano essi relativi a Villa Sancataldo o allo svincolo di Bagheria.

Bartolo Di Salvo

 

Il fatto che io sia avvezzo, come dice Bartolo Di Salvo, alle cose della politica ( voglio comunque far notare che non ricopro più alcun ruolo istituzionale dal gennaio del 1993 e che non ho più tessera di partito dal 2003) non vuol dire che (mi) ci si debba rassegnare alle inadempienze e alle promesse mai mantenute dei politici.

Io ho fatto semplicemente osservare che da dieci anni, dai consiglieri  provinciali, dagli assessori comunali e dai sindaci ( o aspiranti) di turno vengono sbandierate soluzioni a breve- medio periodo per la riapertura al pubblico del parco di villa San Cataldo e per l'adeguamento dello svincolo autostradale.

I risultati di questi impegni , o di queste promesse, sono sotto gli occhi di tutti.

Angelo Gargano


 

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