Cultura

Martedì 29 aprile alle ore 17.30 a villa Cattolica,  verrà presentato il libro 'Il collezionista di baci' edito da Mondadori-Electa , alla cui realizzazione hanno collaborato Peppuccio Tornatore e Filippo Lo Medico che converseranno tra loro e con il pubblico presente. Abbiamo chiesto al prof. Mimmo Aiello, appassionato e colto cinefilo, e conoscitore oltre che degli autori, delle motivazioni che li hanno spinti a realizzare questa opera, di portare una sua testimonianza, che è in realtà un vero e proprio saggio.

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Appartengo a quella generazione di bagheresi, nati a metà degli anni Cinquanta, che sono cresciuti andando spessissimo al cinematografo e vedendo poca televisione così da diventare, indelebilmente, appassionati di cinema .

A Bagheria, tra il Supercinema (in fondo via Carà), e le due sale accanto alle scuole Cirincione, appunto il cinema Roma e Capitol; poi ,lungo il Corso Umberto, il Vittoria (già Littorio) il nuovo Nazionale , l’Excelsior infine in estate anche l’Arena Imperia (solo il cinema Corso si trovava sul Corso Butera) praticamente i baarioti ad ogni passo che davano nel centro storico si trovavano di fronte a locali cinematografici con tutti i loro telai pieni di manifesti e fotografie…difficilmente si sfuggiva al richiamo dei quadri : così li chiamavamo allora.

Anche prima i locali non mancavano: il cine Aurora, il primo (sul Corso Butera) aveva aperto nei primi anni 10, poi il cinema Parigino detto Lavoro (dal nome dei proprietari, gli ebanisti Lavore) e il Littorio, ai tempi del muto, il cine-teatro Nazionale negli anni Trenta infine il cinema Parrocchiale di mons. Buttitta, in via Perrone detta anche dell’Ecce Homo, accanto alla Chiesa del S. Sepolcro.

altIl fascino del cartellone cinematografico colpiva tutti i passanti anzi i volti giganteschi dei divi del cinema, i mostri e le pistole dei western, i grandiosi costumi dei kolossal americani te li trovavi anche sui muri del paese, almeno fino agli anni ’70…il fotografo e proiezionista Mimmo Pintacuda ricordava persino che il cinema di mons. Buttitta metteva insegne luminose ( nel 1939!) con il titolo del film… forse ricordava male ma il suo ricordo era di un paese che aveva la testa solo al cinema ovviamente parlando del tempo libero.

In fondo il rapporto tra lo spettatore e lo spettacolo cinematografico è un rapporto di fiducia e amore cieco … o quasi…Samuel Goldwin una volta raccontò che non era mai andato al cinema e che dopo averne visto uno solo, decise di vendere la sua catena di lavanderie e dedicarsi completamente all’attività di produttore! E quando i familiari gli chiesero il perché dell’improvvisa decisione il futuro tycoon di Hollywood rispose acutamente che “il cinema è l’unico posto al mondo dove tu paghi la merce prima ancora di averla vista!”

Non solo il manifesto era la fascinosa e ammaliante esca per lo spettatore ma già uno spettacolo di per sé: noi ragazzini immaginavamo trame e avvenimenti suggeriti o evocati dal quadri, riconoscevamo volti familiari oppure i generi preferiti solo ed esclusivamente dal cartellone, passavamo ore a studiare e commentare le immagini affisse per le strade e vicino gli ingressi dei cinematografi. Inoltre, una volta dentro la sala, trovavi anche altro manifesti che troneggiavano lungo le pareti del cinema, altre emozioni, altre attese …

Non avendo la possibilità di acquistare la cartellonistica (allora solo gli esercenti potevano decidere se restituire o rivendere per pochi soldi il materiale illustrativo oppure tenerlo per sé) noi spettatori non abbiamo sviluppato una forte propensione al collezionismo dei quadri ma, per fortuna alcuni esercenti, già ammaliati dal fascino del cinema e irrimediabilmente anime di celluloide, decidono di conservare tutti i manifesti, le foto buste e gli altri materiali illustrativi.
 

altI fratelli Lo Medico hanno conservato per passione lungimirante e perché amavano i film che proiettavano: anche per collezionismo ma soprattutto perché si vuole avere una traccia, un ricordo visivo dell’emozione che il film ti ha lasciato!

Prima dell’attuale infinita riproducibilità del prodotto visivo l’unico legame tra il cuore e l’occhio del cinefilo passava attraverso le immagini del cinema di carta.

Filippo e Vincenzo Lo Medico hanno raccolto amorevolmente, dal 1927 al 1984, gran parte del materiale cartellonistico del loro locale fino a quando lo hanno tenuto aperto e in certa misura anche grazie agli scambi tra collezionisti il sig. Filippo Lo Medico ha ancora più arricchito la già vasta galleria di reperti .

Come si sa il collezionista difficilmente si separa dai suoi oggetti del desiderio eppure Filippo Lo Medico ha generosamente donato centinaia di manifesti e foto buste al Comune di Bagheria e che sono state esposte al Museo Guttuso nella splendida location di Villa Cattolica nel giugno del 2004 alla presenza di registi e di studiosi di cinema come Gianni Amelio, Goffredo Fofi, Emiliano Morreale.

Recentemente è stato rifatto l’allestimento della Mostra permanente della Donazione F.lli Lo Medico anche a protezione dell’integrità fisica delle delicata carta dei manifesti.

Eppure il vero spettacolo forse allora era lo straordinario rapporto tra il pubblico e la nuova arte del Novecento:la magica scatola dei sogni e dei desideri che il cinema ha rappresentato per milioni di persone in tutto il mondo e, in più, anche l’occasione per una forma di spettacolo che è individuale e collettiva nello stesso tempo perché si svolge in un sala in penombra con il massimo dell’attenzione e insieme a tante altre persone che vivono le tue stesse emozioni .

altMimmo Buttitta, uno dei fondatori dell’Associazione Amici del Cinema su Grande Schermo, è anche il nipote di Mons. Buttitta e, grazie alla parentela entrava gratis al cinema parrocchiale dello zio (attivo dal 1939 al 1949) e ne ha descritto benissimo l’atmosfera:

Dunque è stato nella via Pirrone che molti di noi hanno conosciuto il cinema. Sebbene alla fine degli anni ’30 in quel cinema parrocchiale si utilizzasse, ancora per qualche anno, un proiettore muto a manovella con commento musicale in disco, non sincronizzato, tuttavia, quella prima volta era stata una folgorazione. Eravamo rimasti affascinati dall’ambiente un po’ misterioso, dalle immagini incorporee fatte di luci e di ombre, che si muovevano grazie a qualcosa di inspiegabilmente magico che non riuscivamo a capire, neanche dopo aver fatto un’esplorazione dietro la parete dello schermo.

Tutto ciò aveva procurato un’emozione vissuta da tutto il corpo, e insieme una grande gioia per l’esistenza di un simile fenomeno. Quel luogo contenitore del tutto: di pianto, di risate, di luci, di buio, di fumo, di respiri ci era apparso come un cappello a cilindro elargitore di emozioni. Un cappello contenente infinite sorprese, soffuse di luce azzurrognola, quasi lunare, misteriosa per un pubblico attento, devoto, religioso.

Un cappello in cui tutto veniva continuamente mescolato e tirato fuori a momento opportuno, facendoci trattenere il respiro. (Mimmo Buttitta, Magia del cinema, in Baci tagliati. Il cinema parrocchiale negli anni ’40.Mostra di manifesti, a cura di Tommaso Di Salvo e Mimmo Buttitta, Bagheria 1996 )

C’è voluto del tempo perché il cinematografo e tutti i devoti della cattedrale del desiderio trovassero un’artista che potesse evocare l’emozione collettiva ,profonda e radicata, che in tutto il mondo i film hanno suscitato e che, in forme diverse, si realizza sempre tra lo spettatore, la sala cinematografica e il film.

Giuseppe Tornatore, che a quel mondo di passione cinematografica appartiene, riesce ,con Nuovo Cinema Paradiso, a rappresentare al meglio il senso vero della straordinarietà del cinema cioè il luogo di nascita e di crescita delle emozioni e dei sentimenti,sia individuali che collettivi come pure della scoperta del mondo con tutti i suoi problemi e con tutte le sue promesse: un luogo che è magico e nello stesso tempo estremamente realistico perché il cinema ragiona con le immagini e conduce i pensieri dello spettatore verso direzioni inedite.

Qual è il segreto di Nuovo Cinema Paradiso?

altSarebbe bastata la bella storia di Salvatore Di Vita e di Elena, della campanella censoria di padre Adelfio, l’amicizia/paternità affettuosa e severa di Alfredo, la magia del cinema regalato alla piazza , il fertile grembo del pubblico in sala, il mesto tramonto di un certo modo di vivere lo spettacolo cinematografico?

Forse sì ma la storia dei baci tagliati dal monsignore e poi rimessi a posto voleva un finale degno dell’epica e così è stato: l’ultima sequenza di Nuovo Cinema Paradiso se avesse avuto Aristotele tra il pubblico si sarebbe meritato il giusto appellativo di scena catartica perché nello scorrere dei vecchi fotogrammi restituiti alla visione di Totò, maturo ma non ancora felice , riscopre che anche nella vita, così come nei film, qualche pezzo può sempre mancare ma l’arte li recupera e li rende vivi e vitali e non solo per l’attimo ma per sempre.

Bisogna essere grati al nostro monsignore per la sua felix culpa censoria, senza la sua singolare voglia di tagliare i baci Tornatore non avrebbe potuto regalare al mondo una dei momenti più belli , e più visti, della storia del cinema. Monsignor Buttitta non ha certo letto il famoso libro che il sociologo Morin scrive nel 1957 sulla sociologia del divismo ma ha fatto di meglio cioè lo ha anticipato; infatti l’illustre studioso francese dice:

La star non è solo formatrice, ma anche informatrice; non solo incita, ma inizia:Svela le parti da accarezzare, le tecniche del bacio e dell’abbraccio, e incarna il mito dell’amore miracoloso e onnipotente, invitando a riprodurre il mistero sacro delle carezza e degli abbracci dell’amore fatale, sublime e trascendente. La funzione iniziatrice della star si compie così, dal bacio sognato al bacio vero, dal nuovo sogno nato in quel bacio fino all’esperienza definitiva, in un amore che prospera alle uscite della metropolitana, nei balli del sabato sera, sull’erba, nell’intimità di una stanza.(…)

Un effetto diretto è la maggiore erotizzazione del viso umano: è la diva del cinema che ha esaltato dove già esisteva , ed introdotto dove non c’era, il bacio sulla bocca. Il bacio non è solamente la tecnica-chiave del love- making, né il surrogato cinematografico di un rapporto vietato dalla censura,:è anche il simbolo trionfante del ruolo rappresentato dal viso e dall’anima nell’amore del XX secolo.

altIl bacio va di paro passo con l’erotismo del volto, entrambi sconosciuti nel periodo arcaico, ed ancora ignorati presso certe civiltà. Il bacio non è solo la scoperta di una nuova voluttà tattile, ma anche il mezzo per rianimare dei miti inconsci che identificano l’anima col respiro che esce dalla bocca: simbolizza pure una specie di comunicazione o simbiosi di tipo spirituale.

Il bacio, dunque, non è solo l’elemento piccante dei film occidentali, ma è anche l’espressione profonda di un tipo di amore che erotizza l’anima e rende mistico il corpo. ( Edgar Morin , I divi, 1957-Garzanti 1977,pp.138-140 )
Dunque , dal punto di vista del caro padre Buttitta, togliere i baci era più che doveroso: era persino necessario!

La resurrezione emozionale , come venne definita da qualcuno, della sequenza della pizza con i baci tagliati colpì subito , alla prima visione del film, Filippo Lo Medico, che vinto dall’emozione e dalla nostalgia buona, corre a casa e comincia a selezionare fra i mille e mille manifesti e fotografie tutti quelli che raffigurano baci e scene d’amore.

Ci vorrebbe la penna di uno scrittore molto bravo per riuscire a descrivere cosa sia passato nel cuore e nei ricordi di Filippo Lo Medico ma sicuramente sarà stata l’anima di celluloide e l’affetto per Peppuccio che lo avranno guidato e sostenuto nella tenacia di riuscire a mettere a disposizione del gentile pubblico una parte delle sua vita: almeno quella parte che ha passato dentro un cinema ( il suo cinema) a guardare film e così vivere le mille vite che tutti sogniamo di vivere e che sappiamo che non potremo mai vivere perché ognuno ha la propria ma ci piace egualmente imparare a condividere, grazie all’arte, le vite degli altri.

Prima o dopo Tornatore e la sequenza dei baci tagliati, con il racconto della storia della sua realizzazione nel contesto di Nuovo Cinema Paradiso e le locandine con i baci amorevolmente conservati da Filippo Lo Medico si dovevano incontrare e quale migliore occasione che festeggiare i 25 anni dall’Oscar di Nuovo Cinema Paradiso con il bel volume di Giuseppe Tornatore Il collezionista di baci .

altIl volume edito da Mondadori-Electa è anche editorialmente ben realizzato da Dario Tagliabue, ricco di immagini nitide e riprodotte fedelmente e con eleganza tratte dalla Collezione LoMedico , che è appunto altra cosa dalla Donazione F.lli Lo Medico esposta al Museo Guttuso

La cronologia dei manifesti riprodotti inizia con Il Figlio dello sceicco, di G.Fitzmaurice, del 1926 , con il mitico Rodolfo Valentino e si conclude con : Ritorno a Could Mountain, di Anthony Minghella,del 2003 e Cinderella Man, di Ron Howard del 2005. Significativamente anche le due protagoniste femminili dei film che chiudono la rassegna delle immagini segnano l’abissale diversità tra le storie d’amore e la personalità femminile delle due attrici, Nicole Kidman e Renèe Zellweger, donne forti, tenaci e indipendenti come appunto sono le donne del XXI secolo rispetto alle donne/attrici degli anni Venti.

 

L’importante introduzione di Tornatore contiene un affettuoso ritratto della Bagheria della sua adolescenza che ci racconta la storia di un paese della Sicilia dove la passione del cinema ha accompagnato la vita di alcune persone, non poche in effetti, e di come è stata vissuta in modi diversi.
Peppuccio Tornatore ci rivela le piccole storie di quella Bagheria nella quale si è formato e dei tanti personaggi che ha incontrato e di come ognuno di loro ha contribuito a creare quell’eccezionale mito collettivo che è diventato Nuovo Cinema Paradiso .

Il regista inoltre spiega anche con molti gustosi dettagli la complessa realizzazione della sequenza finale e ci fa capire quanto sia piena di difficoltà e di rinunzie artistiche la vita dell’autore di cinema. Svela apersino il mistero della pizza con gli spezzoni di pellicola che vediamo apparire donata, quasi in eredità, a Totò, ormai affermato regista, dalla moglie di Alfredo: verità o finzione artistica ?

Immagino che anche Giuseppe Tornatore selezionando le duecento immagini che troviamo nel volume avrà potuto condividere la stessa gioia che ha avuto Filippo Lo Medico nel raccogliere e conservare i frammenti delle emozioni della nostra vita di spettatori.

Come appassionato di cinema, auspico che ( magari non fra 25 anni) la collezione Lo Medico, così come altri beni culturali afferenti alla storia del cinema a Bagheria, possa essere anche degnamente ospitata e valorizzata in una istituzione culturale bagherese che abbia a cuore il Cinema in generale e la sua vicenda baariota in particolare.

Mimmo Aiello, docente Liceo classico 'Francesco Scaduto'

 

nelle foto interne , il proiettore Zeiss Jkon del Cinema parrocchiale del S.Sepolcro

foto in basso Filippo Lo Medico
 

 

Ma davvero esistevano quelle “sette”?

Anche Cesare Lombroso cita il rituale di associazione dei Fratuzzi di Bagheria descrivendolo con una variante importantissima rispetto a come riportato in precedenza e rispetto ad altre associazioni come quella, ad esempio, degli Stoppaglieri della vicina Monreale.

Scrive dunque il Lombroso: “ Originali erano i riti di ammissione. Al candidato si pungeva un dito; col sangue che usciva dalla ferita si spruzzava l’immagine di un santo, quindi l’immagine si abbruciava e le ceneri venivano sparse al vento. Superata questa prima prova, il neofita era condotto in una grande sala, dov’era appeso un Cristo, gli si dava in mano una pistola, ed egli doveva, senza tremare, spararvi un colpo contro, per dimostrare che, dopo di aver tirato al Signore, non avrebbe difficoltà ad ammazzare il padre od il fratello, quando la società lo volesse. Dopo di che il candidato veniva creato fratuzzo”. ( 1 )

La variazione cui facciamo riferimento è evidentemente quell’atto sacrilego costituito dal colpo di pistola contro la divinità, una blasfemia che rimanda ad una particolare ferocia del malfattore bagherese. Ma questo è il Lombroso; peraltro qualcuno mette in dubbio che durante quegli anni davvero esistessero sette strutturate con riti di iniziazione, segni di riconoscimento tra gli adepti, addirittura statuti. ( 2 )

Scrive Henner Hess: Molti autori riferiscono l’esistenza di varie associazioni a delinquere nel decennio 1870-80. …Per tutte si indicano riti di iniziazione… .Inoltre si menzionano spesso parole d’ordine sotto forma di dialoghi particolari… .Si può tentare di seguire la storia dei riti di iniziazione e delle parole d’ordine finchè affiorano come segno di riconoscimento dell’associazione segreta mafia. Nell’esame delle fonti si dovrebbe risalire non solo alla camorra, ma anche alle sette segrete dei massoni del regno di Napoli, ( anzi, alle dicerie relative a questi fenomeni). … E’ senz’altro possibile che nelle carceri vi fossero congiure con riti simili a quelli napoletani, o brutte copie di quelli massoni a carattere politico- rivoluzionario”. ( 3 )

Ne deriva, secondo Hess, che Salvatore D’Amico, il nostro pentito, “che era stato in carcere per anni” ( 4 ), abbia potuto denunciare l’esistenza di “sette” mafiose e delle loro relative cerimonie, rifacendosi alla sua esperienza carceraria . E il D’Amico, come sappiamo, è testimone assente dei processi a Stoppaglieri ed a Fratuzzi da lui denunciati.
Scrive Amelia Crisantino: “D’Amico non depone in aula, perché già ucciso; la sua figura è molto sfuggente e le dichiarazioni a lui attribuite appaiono costruite ad arte” . ( 5 )
Dalla polizia? Dopo l’Unità d’Italia l’ipotesi di una congiura antigovernativa accomunava in questa sia oppositori politici che criminali; La Destra al potere elaborava la teoria dell’esistenza d’una associazione segreta che avvolgeva come una rete malefica il circondario palermitano. Ma, paradossalmente, gli anni in cui più intensa diviene la ricerca di tale rete, con la sua scoperta e i primi grandi processi a suo carico e alla mafia, sono invece quelli dell’insediamento al potere della Sinistra storica ( 1876 ).

altQuestore di Palermo e delegati dei paesi del circondario si impegneranno al massimo in ottemperanza alla decisione, tutta politica, di trovare quella segreta e ramificata associazione di malfattori. Tra i delegati il più solerte fu, naturalmente, Emilio Bernabò.

Scrive Amelia Crisantino: “La personalità e i problemi del delegato Bernabò influenzano pesantemente il suo lavoro. E’ uno dei tanti funzionari di basso livello che vivono il trasferimento dal nord come una deportazione…e prima di arrivare a Monreale, gli ultimi due anni della vita di Bernabò sono un turbinio di trasferimenti che hanno gravi ripercussioni su una economia familiare già molto fragile. …E’ delegato di terza classe, ha moglie e due figli. …Il delegato Bernabò si dà molto
da fare, per senso del dovere e per bisogno, visto che in genere alle azioni più importanti segue una gratifica in denaro o una promozione col relativo aumento di stipendio”. ( 6 )

Ben grama doveva trascorrere la vita dei delegati se gli stessi problemi di Emilio Bernabò li ebbe Antonino Cutrera, anch’egli delegato di terza classe e, come già sappiamo per le numerose citazioni, tra i primi scrittori, con Giuseppe Alongi, di cose di mafia. I due autori, per i loro libri, prenderanno a piene mani dal materiale prodotto dal delegato Bernabò e dal questore; sono questi, col pentito Salvatore D’Amico, a “creare” la setta degli stoppaglieri e la rete di quegli oscuri legami che stringono in una sola grande associazione i tronconi ( tra cui i fratuzzi di Bagheria ) presenti nei paesi della provincia.

Il Cutrera e l’Alongi prenderanno per buono quanto prodotto dalla polizia ma incorreranno nelle feroci critiche di Henner Hess .( 7 )
A non credere all’esistenza delle associazioni di malfattori sono, ovviamente, sia i notabili di Monreale che quelli di Bagheria. Durante la primavera del ’78 si terrà alla Assise di Palermo il primo processo contro gli stoppaglieri.

Scrive Amelia Crisantino: “Il 3 e il 4 maggio sfilano i notabili: Antonino Leto, già sindaco, Giuseppe Inghilleri, Andrea Di Bella, già sindaco, Angelo Sangiorgio, Vincenzo Vaglica, il conte Ranchibile ( garantirà personalmente per Pietro Gorgone, che è stato fattore presso suo fratello il principe ), il parroco Salvatore Mirto; tutti quanti a giurare che gli imputati sono bravissime persone”. (8 )

Anche a Bagheria, così come a Monreale per gli stoppaglieri, a disconoscere l’esistenza dei fratuzzi ritroviamo ricchi borghesi rappresentanti del potere politico, nobili e, ancora, sacerdoti.

Scrive Antonino Morreale: “L’esistenza stessa della setta mafiosa è messa in forse: non ci crede Alessandro Pittalà, non ci crede il principe Lanza che dall’alto del suo rango decreta che “quelli di Bagheria non sono neanche capaci di capire il significato di setta, l’ex sindaco Castronovo, il fratello sacerdote Francesco e il sindaco Mancuso dichiarano che sono tutte “favole”. ( 9 )

Alessandro Pittalà è futuro sindaco, Angelo Castronovo fa parte dei 108 denunziati ( soltanto 31 di essi verranno processati ), padre Francesco Castronovo, suo gemello, illustre pedagogo e artefice dell’istruzione a Bagheria, evidentemente ha a cuore soprattutto gli interessi della famiglia, Giacomo Mancuso è sindaco
facente funzione e medico condotto, dopo decenni, ancora in carica.

Nonostante loro, e gli avvocati della difesa, “il 22 aprile 1879 il tribunale di Palermo accertato che si trattava di vera associazione a delinquere in numero superiore a cinque avente per scopo di “padroneggiare il paese e trarre lucri nei pubblici e privati negozi” condannò 29 persone in base all’articolo 4326 del codice penale per “associazione di malfattori”. ( 10 )
L’importanza della condanna dei fratuzzi, che era condanna della mafia e non di singoli delitti, venne tuttavia ridimensionata dall’esito, l’anno successivo, del secondo processo agli stoppaglieri la cui assoluzione metteva in crisi il teorema secondo cui la mafia, nata a Monreale, da qui si era diffusa nei paesi vicini rimanendovi strettamente collegata.

Cos’era avvenuto? Alla Assise di Palermo dodici stoppaglieri erano stati riconosciuti colpevoli e condannati ( 16 maggio 1878 ); un vizio di forma nella costituzione della giuria aveva però portato la Cassazione ad annullare quella sentenza; il processo bisognava rifarlo e, per legittima suspicione, lo si ricelebrò a Catanzaro. Qui gli avvocati della difesa che, e per causam, non credevano all’esistenza della setta, non solo attaccarono pesantemente Salvatore D’Amico sulle cui “false” dichiarazioni si era fondato il processo, ma sostennero anche, con la Sinistra ormai al governo, che le accuse agli stoppaglieri avevano il fine di accreditare le leggi straordinarie di pubblica sicurezza proposte dalla Destra.

altE, infine, l’arringa dell’avvocato Marinuzzi non termina con una perorazione sicilianista? E’ convinta la giuria calabrese, è convinto il presidente del tribunale che , nativo di Palermo, se ammette l’esistenza della setta, “reca offesa al proprio paese”. ( 11 )

E’ la prova generale per quell’altra orgia di sicilianismo che, all’inizio del Novecento, con la formazione, addirittura, di un “Comitato pro Sicilia” capeggiato da uomini di cultura come il Pitrè, porterà all’assoluzione degli imputati in un altro grande processo alla mafia, quello agli assassini del commendatore Emanuele Notarbartolo.

Aprile 2014 Biagio Napoli

 

NOTE
1-Cesare Lombroso, L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza ed alle disciplinecarcerarie, quinta edizione, Fratelli Bocca Editori, Torino 1896, vol. 1, p. 641; https:// archive.org/stream/luomodelinquent00lombgoog#page/n697/model/2 up

2-La cosca dell’Uditore è la prima associazione di cui si hanno notizie ricavate da una relazione del questore del 28 febbraio 1876 ( Salvatore Lupo, Storia della mafia, dalle origini ai nostri giorni, Donzelli Editore, Roma 2004, p. 70 ). Sia il rito di affiliazione che il modo di riconoscersi tra affiliati sono analoghi a quelli
degli stoppaglieri di Monreale.

Un articolo del Giornale di Sicilia del 21 agosto 1877 del redattore giudiziario del giornale riporta lo statuto, il rito di iniziazione e il modo di riconoscersi degli stoppaglieri . L’articolo viene integralmente citato da Giuseppe Montalbano nel suo Mafia politica storia, Scuola Tipografica “Boccone del Povero”, Palermo nov. 1982, pp. 58-65.

Scrive Antonino Cutrera: “Quanto ai segni di rico- noscimento troviamo che essi sono quasi identici in tutte le associazioni, tranne qualche lieve variante.
Per esempio tanto gli stoppaglieri quanto i fratuzzi, forse per la vicinanza delle rispettive sedi, e per la contemporaneità in cui esistettero, tenevano unico mezzo e consisteva nel seguente breve dialogo:
-Ahi, ca mi doli lu scagghiuni!
-Avi assai ca vi doli lu scagghiuni?
-Da festa ra ‘Nunziata.
-Cu c’era?

-Tizio, Caio, Sempronio chi mi hannu ricivutu da fratuzzu. ( La mafia e i mafiosi, origini e manifestazioni, Alberto Reber, Palermo 1900, p. 123; archive.org>…> America Libraries

3-Henner Hess, Mafia, prefazione di Leonardo Sciascia, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 138-140

4-Ivi, p. 140
5-Amelia Crisantino, Della segreta e operosa associazione, una setta all’origine della mafia, Sellerio
Editore Palermo,2000, p. 16
6-Ivi, pp. 144-145

7-Sulla vicenda umana di Antonino Cutrera si veda Mario Genco, il delegato, Sellerio Editore Palermo, 1991; quanto a Giuseppe Alongi, scrive il Genco ( pp. 15-16 ), fu invece “funzionario di polizia destinato a brillante carriera di questore e, anche lui, ad un posto fisso nelle bibliografie degli scrittori di mafia.
Dell’Alongi è infatti La maffia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni, Studio sulle classi pericolose della Sicilia, Fratelli Bocca Editori, Torino 1887, archive.org>eBook and texts>American Libraries, ripubblicato nel 1977 da Sellerio con introduzione di Henner Hess.

A pagina 141 troviamo la formula del giuramento degli affiliati alla setta della Fratellanza di Favara : “Giuro sul mio onore di essere fedele alla Fratellanza come la Fratellanza è fedele con me; come si brucia questa santa e queste poche gocce del mio sangue, così verserò tutto il mio sangue per la Fratellanza; e come non potrà tornare questa cenere nel proprio stato e questo sangue un’altra volta nel proprio stato, così non posso rilasciare la Fratellanza”.
Una rivalutazione dell’opera dei due autori dell’ottocento si ha in Salvatore Lupo, il tenebroso sodalizio, XL edizioni, Roma 2011

8-Amelia Crisantino, op. cit., pp. 225-226
9-Antonino Morreale, La vite e il Leone, Storia della Bagaria, Sec. XII-XIX, Editrice Ciranna, Roma-Palermo
1998, p. 416
10-Ivi, pp. 416-417
11-Amelia Crisantino, op. cit., p. 256

Aprile 2014 Biagio Napoli

 

 

 

Quando si intraprende un percorso terapeutico l'obiettivo è quello di alleviare i sintomi e il disagio del paziente.

Si chiede cioè di stare meglio. Tuttavia la diminuzione del disagio e il superamento dei sintomi è solo il livello superficiale di un lavoro che permetterà al paziente di guardare le cose in modo nuovo.

Cosa significa cambiare prospettiva sul mondo ? Essenzialmente modificare le proprie convinzione e i propri pensieri. Alle volte i nostri pensieri sono così radicati da risultare quasi impossibile riuscire a  metterli in discussione.

Spesso i pazienti mi chiedono in cosa consisterà il percorso terapeutico, specie all'inizio. La risposta è: cominceremo a  vedere le cose in modo nuovo. La capacità di mettere in discussione i propri convincimenti è pertanto fondamentale ma al contempo risulta una operazione dalle difficoltà non indifferenti per i pazienti.

Per un paziente che soffre di disturbi d'ansia e attacchi di panico queto può comportare, ad esempio,  il dover cambiare il proprio concetto di pericolo, mentre nel paziente depresso si dovranno mettere in discussione i pensieri legati al tema del senso di vuoto e della perdita.

Informo i pazienti che pur in assenza di una legge che preveda la psicoterapia convenzionata, lo studio si sta attivando per mettere a disposizione di pazienti che ne abbiano diritto ( nelle condizioni economiche uguali a quelle di esenzione E01, E02), di fruire della psicoterapia a condizioni particolarmente vantaggiose.

Descriverò i dettagli prossimamente.

Dott. Francesco Greco

http://www.consulenzapsicologicaonline.blogspot.it

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Il dr. Francesco Greco, psicologo e psicoterapeuta, è specialista in Psicoterapia cognitivo - comportamentale. Svolge attività clinica per i disturbi d'ansia, depressione, disturbi dello sviluppo, consulenza di coppia e familiare a Bagheria (PA).

 

Nell'aula Cinema del Liceo classico Scaduto l'artista bagherese Mr. Richichi ha incontrato i ragazzi del laboratorio "un videogiornale per il web", guidati dalla dott.ssa Marta Gentilucci e dal prof. Domenico Aiello, cercando di spiegare cosa è l'arte e di fargli comprendere più a fondo la natura del suo lavoro.

Alle domande dei giovani intervistatori che chiedevano di puntualizzare la sua idea di arte e il suo rapporto con il denaro, ha risposto che è «l'arte è una rappresentazione dell'esperienza umana» ed è questo che egli fa raccontandosi a suo modo e trasformando la sua esperienza umana in esperienza artistica.

«Il mio lavoro - ha affermato l'artista vuole far riflettere sul rapporto tra l'uomo e il denaro in termini esistenziali». L'ossessione per il denaro conduce a una indubbia infelicità, se si pensa che la maggior parte delle persone, ad esempio, sceglie il proprio lavoro non perchè quel lavoro rispecchia il proprio essere, ma in base alle possibilità di guadagno. Lo scollamento tra quello che si fa e quello che si è realmente, non può che provocare infelicità, in quanto «essere felici - ha detto - significa essere sè stessi». Per questo, «cambiare rapporto col denaro vuol dire cambiare la propria vita».

Il denaro è al centro di molte sue opere, ma nonostante ciò il suo obiettivo non è certo il guadagno: dichiara di voler essere libero dal sistema, libero di autofinanziarsi e indipendente dal mercato dell'arte e da qualsiasi committenza. Catalizzare l'attenzione sul denaro decontestualizzandolo, dissociandolo dunque dal significato comune che ha, ovvero quello economico  equivale a una riflessione sulla precariet di ogni legame inscindibile tra significato e significante (il che sposta l'arte di Mr Richichi su un piano  come ha tenuto a precisare “ "filosofico") e sulla «follia dell'ossessione per il denaro dell'uomo contemporaneo».

Ciò che aveva maggiormente lasciato perplessi i ragazzi era un'affermazione letta in un'intervista in cui Richichi affermava di poter "risollevare" l'Italia dalla crisi grazie alle sue performance artistiche. Alla domanda di Francesca Polizzi sul come potesse effettivamente avvenire ciò, l'artista ha risposto intanto di non aver mai usato un termine forte come "risollevare" e ha poi definito la crisi una crisi "psicologica": «Il nostro paese non ha problemi di natura strutturale» anzi «ha un potenziale economico molto forte» ma «i soldi sono bloccati nelle banche» e «si ha paura di investirli»; «il fatto che io butti il denaro  un atto che ha un'influenza inconscia: se noi ci liberiamo da quell'attaccamento al denaro e lo lasciamo scorrere allora possiamo far ripartire l'economia». «La crisi va superata prima mentalmente».

Una delle affermazioni sicuramente più interessanti dell'artista è stata quella relativa al legame tra arte e caos: «Il mio lavoro è caos» - ha affermato - «Ho messo da parte la razionalità e mi sono sincronizzato col disordine degli eventià».
 

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