Salve. Questa è la seconda volta che scrivo un articolo per questa testata giornalistica. Sono un ragazzo che per 25 anni ha vissuto a Bagheria. Dentro di me ho le radici bagheresi, palermitane, siciliane.
Ho un Diploma Accademico di I livello conseguito presso il Conservatorio di Palermo e, da due anni, mi sono trasferito in centro Italia per studiare musicoterapia.
A L’Aquila c’è un buon corso, all’interno del suo Conservatorio. Io ho frequentato anche il corso quadriennale di Assisi.
In alcune nazioni, la figura del music-therapist, è considerata come una delle poche professioni utilizzanti la musica che può arrivare a guadagnare 135000 $ annui (faccio copia/incolla di un link che porta ad un articolo che ne parla: http://www.forbes.com/pictures/eeel45eehjf/music-therapist-2/ ).
Purtroppo, molto probabilmente, non tornerò a vivere definitivamente a Bagheria. Secondo il mio modestissimo parere, si è riusciti a peggiorare le cose a tal punto da volerci troppi anni per recuperare, almeno in parte, la situazione. Sempre secondo il mio modestissimo parere, però, si può anche essere utili per dare una mano vivendo a distanza.
Qualcuno potrebbe dire che non ho il coraggio di tornare per lottare. Io preferisco pensare che non voglio rinunciare alla qualità della mia unica vita per rinunciare al mio benessere o per lottare contro i mulini a vento.
Per fare un esempio: ritengo che non si risolve la situazione portando la spazzatura davanti al comune per ricordargli che sta vicino le nostre case. Lo sanno benissimo, se lo ricordano tutti i giorni. Ma nella politica italiana ci sono altre priorità.
Ritengo, inoltre, che le manifestazioni servono a sensibilizzare i cittadini sui problemi che ci riguardano. Ma la storia ci insegna che i cittadini sensibilizzati non fanno altro che soffrire ancor di più per qualcosa che non riescono a risolvere.
In casi più estremi la sensibilizzazione non avviene, e non si fa altro che gridare il proprio disgusto. La voce esce potente dalla propria gola, ed inesorabilmente rientra dentro le proprie orecchie. Esattamente come colui che urla contro una vallata desertica, producendo un eco che sente soltanto lui.
Forse, una delle poche maniere che può portare a qualcosa, è quella dei più coraggiosi, che vanno alla radice dei problemi, la politica, e lottano, in maniera reale per fare qualcosa per cambiarla.
Loro si espongono, andando contro quel triste concetto di neutralità che porta soltanto a far finta di non essere di parte, a non far capire come funzionano esattamente le cose. La vera neutralità credo che si realizzi con i dati, precisi, e senza aggettivi.
Esempio. Se, all’interno di una testata giornalistica, si parla di cifre economiche, e si vogliono esporre soltanto dei dati, non si possono usare espressioni come “grosse cifre”, “situazione irrimediabile”. Si espone la cifra, e basta.
Essere neutrali, a mio parere, dovrebbe far parte della professione giornalistica, e di alcune cariche politiche. L’uomo non nasce per essere neutrale, ma lo impara. La professione dell’opinionista, o del critico, credo che sia di fondamentale importanza.
Ma se non si espongono le proprie opinioni, che dovrebbero essere complementari all’esposizione dei dati oggettivi, si rischia di far confondere enormemente le idee. C’è gente che ha difficoltà a mangiare, non si può essere soltanto neutrali. Però la gente ha bisogno di farsi un’idea personale, non possono essere esposti soltanto dati oggettivi.
Tornando al discorso iniziale. Io credo che si può fare molto, sia in loco che a distanza. Poco fa accennavo ad “una delle poche maniere”.
A distanza si può fare molto, dando anche il buon esempio ed esponendo le proprie opinioni, arrivando a dare, all’interno di un’epoca mediatica, delle idee. Quest’ultima operazione credo che sia stata, insieme alle rivolte, la cosa che ha prodotto i cambiamenti maggiori all’interno di tutta la storia dell’umanità. Ancora siamo in tempo per provare ad iniziare un lento cammino che potrebbe portare ad una crescita, senza, necessariamente, arrivare ad una rivolta.
Faccio un esempio di un possibile contributo, che riguarda la mia professione. Un musicoterapeuta italiano, Alfredo Raglio, è riuscito a far partire un Master di I livello all’interno della facoltà di medicina dell’Università degli Studi di Pavia. Essendo uno dei pochi in Italia che fa ricerca scientifica in musicoterapia e che vive dignitosamente grazie al suo mestiere, credo che “non gli farebbe fare nessuno questa cosa”.
Chi sta all’interno delle Università sa benissimo quanto è difficile far partire un Master ideato da lui, specialmente se riguarda una professione sanitaria che nel proprio paese non è ancora riconosciuta. Lui ci è riuscito. Come affermavo prima bisogna andare alla radice dei problemi, e come direbbe il nostro Giovanni Falcone “Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell'esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell'amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il proprio dovere”.
Il suo unico errore, e mi espongo notevolmente nel dire questo, è stato nel comportarsi da eroe. Gli eroi hanno dato molto, a volte hanno cambiato le cose, ma lo hanno fatto in tempi diversi dalla nostra epoca.
Gli “eroi dei nostri tempi”, come ama dire qualcuno, non credo che abbiano molte speranze di riuscire nella loro impresa. Per il semplice fatto che siamo in una situazione tale che, chi si muove da solo, non ha proprio dove andare. Ma questo non significa che non ci sia niente da fare, e non deve portare al totale scoraggiamento. I metodi ci sono, ma molti preferiscono non esporli.
Preferiscono esporre la maniera per diventare ricchi senza sacrifici, come, per esempio, finanziare chi va in televisione senza saper fare qualcosa in particolare, soltanto per alleviare le giornate di chi segue determinate trasmissioni al fine di non dover fare alcuno sforzo per comprendere cosa accade in TV o su internet. Sta diventando l’epoca del non sacrificio, sta tornando ed essere l’epoca dei potenti che mantengono il proprio popolo ignorante.
La nostra nazione sta diventando la vignetta di Altan, quella del politico che usa l’ombrello col cittadino. Soltanto che stanno riuscendo, con arte, a realizzare un’evoluzione di questa tecnica: il cittadino non si sta più accorgendo dell’esistenza di quell’ombrello.
Spero di non essere stato troppo noioso. Mi farebbe piacere continuare a scrivere all’interno di questo sito, anche perché ho parlato di idee, di metodi, ma non ho fatto quasi nessun cenno su cosa si potrebbe fare. Vorrei concludere con un’ultima citazione, di Papa Francesco: “Non fatevi rubare la speranza”.
Giampiero Carollo