Carissimo Carlo, sono fortemente rammaricato di non potere intervenire alla presentazione del libro di Enzo Mignosi 'Il Signore sia con i boss' organizzata dalla tua associazione culturale. Un impegno inderogabile, purtroppo, mi impedisce di essere tra voi.
Come giornalista e come modesto cultore della nostra storia patria, sono stato e sono molto interessato all'argomento che è al centro del vostro dibattito; e già il fatto che un giovane collega abbia dedicato ad esso tanto impegno mi fa ben sperare per l'avvenire della nostra Sicilia.
Il rapporto tra Chiesa e società in Sicilia è stato sempre molto travagliato anche a causa del singolare privilegio concesso ai re di Sicilia di rappresentare nell'Isola il Papa ( legazia apostolica).
Per secoli la Chiesa, in Sicilia, è stata fortemente condizionata dal potere politico il quale usava nei suoi confronti la concessione di privilegi materiali che hanno portato, nei secoli, alla costituzione di un immenso patrimonio ecclesiastico.
Queste ricchezze che la Chiesa non era in grado di gestire direttamente sono, a mio parere, all'origine di quel perverso rapporto fra certi strati del clero e le cosche mafiose.
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Enzo Mignosi, giustamente, mette in evidenza i rapporti scandalosi fra clero e criminali, credo, però sia utile ricordare che ci sono sempre stati in Sicilia dei 'preti di frontiera' che come Don Pino Puglisi e altri suoi coraggiosi confratelli che operano nelle realtà più difficili di Palermo, hanno sfidato dal pulpito la mafia.
Ed io, laico convinto, ho il dovere di rendere, in questa occasione, testimonianza per un episodio che finora è rimasto relegato nella mia memoria familiare.
A cavallo fra Ottocento e Novecento Bagheria, come è noto, era uno dei centri del palermitano più funestati dalla violenza mafiosa.
Si stava passando dalla monocultura vitinicola a quella più ricca del limone. La ricchezza ha sempre attirato la mafia.
Lettere di scrocco ( si chiamava così allora il pizzo) danneggiamenti alle culture, era un esercizio abituale di quei delinquenti il taglio delle vigne e lo scorticamneto degli alberi di limone, sequestri di persona e assassini erano fatti quotidiani.
In quegli anni arrivano alla Chiesa del Miseremini ( la popolare 'Armi Santi') tre giovani sacerdoti animati da entusiasmo pastorale.
La Chiesa è in mano alla potente Congregazione del Miseremini nelle cui file erano presenti temibili mafiosi.
Primo obiettivo dei giovani sacerdoti quello di mettere ordine all'interno della Chiesa e di denunciare dal pulpito le violenze e gli assassini. Insomma erano dei preti pericolosi. E per questo bisognava farli tacere.
E così, nel classico stile mafioso, i boss armano la mano di uno sprovveduto sacrestano di nome Cola, anche lui in rotta con quei preti zelanti.
Allora nella Chiesa delle Anime Sante, frequentata soprattutto da poveri bracciati che nel giorno di festa curavano qualche piccolo appezzamento di terra, la domenica, l'ultima messa veniva celebrata all'una dopo mezzogiorno. A quell'ora le porte della Matrice erano già sbarrate.
Cola aveva svolto il suo servizio regolarmente e senza dare alcun segno di inquietudine. Quando i sacerdoti si ritirarono nella sacrestia per deporre i paramenti il sacrestano si appostò dietro una colonna e attese che i tre uscissero.
Erano arrivati al centro dell'altare maggiore (alla sacrestia si accedeva da una porticina aperta dietro l'altare appunto) lo sciagurato cominciò a sparare all'impazzata.
Convinto di averli massacrati Colà salì di corsa le anguste scale del campanile, si affacciò evide su un vicino terrazzo la donna che amava ( di nome Caterina) che, a quanto sembra, era stata la causa di un severo richiamo dei preti nei suoi confronti; la salutò con un grido disperato e si precipitò nel vuoto.
La Chiesa restò chiusa per molto tempo, l'attentato fu attribuito al gesto di un folle e tutto ritornò alla normalità.
I giovani preti si salvarono con la fuga. Ma non tornarono più sul pulpito a sfidare la mafia.
Uno se ne andò a insegnare latinoe greco nelle scuole italiane all'estero (Tunisi, Alessandria d'Egitto, Il Cairo), un altro dovette errare per anni per le parrocchie di altri paesi prima di diventare parroco della Matrice di Casteldaccia, suo paese d'origine, il terzo rimase a Bagheria ma si trasferì alla Matrice dove concluse negli anni '40 la sua missione pastorale.
Il parroco di Casteldaccia, nel secondo dopoguerra non solo fu uno dei pochissimi preti a schierarsi con i braccianti in lotta ma fece di più: andava alla Camera del Lavoro e zappava personalmente un suo piccolo appezzamento di terra.
Uno scandalo per l'allora cardinale di Palermo Ernesto Ruffini che proprio in quel tempo chiedeva al governo di Mario Scelba di dichiarare fuorilegge i comunisti.
Fu immediatamente rimosso. Contro l'ingiusto provvedimento lottò senza sosta e alla fine non sapendo a che santo votarsi pensò, nella sua disperazione, di rivolgersi al sottoscritto per far conoscere al Papa l'ingiustizia subita.!!!
Penso sia giusto consegnare alla memoria dei bagheresi i nomi di questi preti coraggiosi. Padre Paolo Lombardo era il prete contadino e battagliero di Cssteldaccia, Francesco Speciale, il professore, padre Furìa il cappellano rimasto a Bagheria.
Complimenti a Enzo Mignosi per il suo libro coraggioso, auguri a tutti voi per la vostra battaglia.
La mafia sarà sconfitta definitivamente quando dall'animo di ogni siciliano sarà estirpato il seme della cultura mafiosa.
GIUSEPPE SPECIALE 1919-1996
Laureato in filosofia, allievo del prof. Ferretti, sin da studente maturò la sua fede antifascista e la sua scelta politica. Dopo la guerra avviatosi alla carriera giornalistica, si iscrisse al partito comunista già nel 1944; fu direttore della redazione siciliana de L'Unità e redattore de La voce della Sicilia.
Fu consigliere comunale del Partito comunista a Bagheria dal 1952 sino al 1989, con una pausa dal 1973 al 1979. Eletto deputato al parlamento nazionale nel 1958, fu riconfermato nel 1963 e nel 1968.
Strenuo oppositore della mafia, è rimasto nella storia parlamentare il suo discorso alla Camera dei deputati dopo la strage dei carabinieri a Ciaculli nel 1963, fu tra i protagonisti della nascita della Galleria d'arte Moderna e contemporanea di Villa Cattolica a Bagheria intitolata a Renato Guttuso, oltre che autore di una miriade di articoli e di saggi coma 'La storia dei Florio' e 'Appunti per una storia di Bagheria'
nella foto Giuseppe Speciale tra Carlo Levi e Danilo Dolci