Nicola Giammanco, condannato in piazza, assolto in tribunale

Nicola Giammanco, condannato in piazza, assolto in tribunale

cronaca
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Deva fare riflettere la notizia pubblicata dai giornali di ieri della assoluzione dell'ing. Nicola Giammanco, dirigente dell'Ufficio Tecnico di Bagheria sino ai primi degli anni 90, dal reato di "concorso esterno in associazione mafiosa", nel cosiddetto processo "coop rosse".

 
La prima riflesssione è ovvia e banale: ha avuto più spazio e più risonanza, a suo tempo, la notizia dell'indagine e dell'accusa che non quella dell'assoluzione di ieri.
Deve fare riflettere perchè troppo spesso siamo portati a dare giudizi ed emettere sentenze, in piazza, in tv, sui mezzi di informazione magari deformando o manipolando le notizie e la realtà, senza aspettare i giudici e i tribunali, partendo dall'assunto implicito che il pubblico ministero abbia sempre e comunque ragione.

L'Italia è un paese in cui i grandi fatti di cronaca nera, dal delitto di Cogne alla strage di Erba e via via massacrando, vanno a "Porta a Porta"; mentre i processi politici e di mafia si fanno ad "Anno zero".
Dove i "giustizieri" di turno, Vespa e Santoro, abilmente spalleggiati da avvocati e avvocaticchi, da criminologi ed esperti, da professori di mafia e di antimafia , con il pretesto di fare informazione, deformano, orientano, convincono di una tesi o di un'altra.
Non sappiamo cosa succeda negli altri paesi, ma quello che capita di vedere in certe trasmissioni è la negazione del diritto, e soprattutto del diritto per gli imputati di qualunque reato, di essere giudicati da giudici non prevenuti e di non essere messi alla gogna da una opinione pubblica che è legittimo abbia opinioni politiche, ma che non può trasferire queste opinioni sul terreno giudiziario - competenza esclusiva di altri poteri autonomi.

Poi, quando arrivano i processi, i giudici e i tribunali veri, questi assolvono e condannano.
Ieri hanno assolto Nicola Giammanco, l'altro ieri Totò Buttitta, l'altro ieri ancora Carlo Guttadauro; hanno invece condannato Michele Aiello, Antonio Borzacchelli, Totò Cuffaro.
Però nella nostra testa è rimasto qualcosa di diverso, e non perchè conosciamo gli atti processuali, che poi sono quelli su cui i giudici poggiano le sentenze, ma perchè da un libro, da una ricostruzione giornalistica, da una inchiesta tv, la nostra sentenza l'avevamo già pronunciata; per cui siamo abituati a considerare una sentenza buona ed esemplare, se collima con le nostre idee, non buona o addirittura inquietante se invece contrasta con le nostre idee politiche (o sarebbe più giusto dire dei nostri pregiudizi politici).

Non sarebbe male se, per primi, gli operatori dell'informazione, rispettassero la dignità e i diritti delle persone, anche e soprattutto di quelli coinvolti in fatti di giustizia. Sappiamo, però, di parlare al vento.