E' morto Nino Gambino: bracciante, baarioto, comunista - di Angelo Gargano

E' morto Nino Gambino: bracciante, baarioto, comunista - di Angelo Gargano

cronaca
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Negli ultimi mesi le sue lunghe braccia e le sue enormi mani, che facevano da contrasto al suo corpo minuto e ossuto, non ruotavano più a fendere e tranciare l'aria come se volesse affrescare le sue idee, né si sovrapponevano o si intorcigliavano per mimare storie e vicende.

Negli ultimi mesi della sua vita lontano da quella terra dell'Accia che di lui era parte viva, si era intristito anche per la sua malattia.

Lui sempre così scoppiettante di vitalità, di storie, di memorie. L'ultima volta, questa primavera, lo incontrammo in Via Mattarella: prendeva il sole osservando perplesso quel mondo che non gli apparteneva; il caos, il rumore assordante di macchine e motori, quella frenesia della gente, incomprensibile per uno come lui.

Abituato ai grandi silenzi della campagne, ai grandi spazi, ai ritmi scanditi dalle stagioni e dalle produzioni agricole, lente a crescere e a maturare.

Ma gli occhietti piccoli, curiosi e vivaci erano quelli di sempre: di chi cattura un pezzo di realtà e la rielabora non in maniera banale, ma con strumenti di indagini scientifiche, che solo la scuola di partito che aveva frequentato e la passione politica di un tempo poteva fornirti.

Era un grande narratore, oggi si direbbe affabulatore.

Un uomo che con le sue storie e i suoi racconti e soprattutto la mimica dei gesti, con l'originalità dei suoi neologismi, derivati da termini italiani "dialettizzati" e talora volutamente storpiati che nella sua bocca diventavano quasi onomatopeiche.

Lui non parlava, ma interpretava quanto diceva, con le tonalità di voce, i gesti, le smorfie del volto, gli ammiccamenti, le pause: quel suo modo di narrare che catturava l'interlocutore.
Era come seguire la recitazione di un attore, ma non perché fingesse o recitasse, semplicemente perché "parlava" con tutto se stesso.

E parlava di storie vere, di uomini veri, di sofferenze vere, quando tornato a Bagheria dopo il servizio militare e la guerra, giovane bracciante senza terra andava nei paesi dell'interno, a vendemmiare dove c'erano le vigne o a mietere dove cresceva il grano, e stava fuori giorni e settimane, e la sera i braccianti si riunivano e prima di cedere sfiniti al sonno avevano ancora il tempo e la forza di raccontare e raccontarsi.

Fu nel dopoguerra tra i fondatori della Camera del Lavoro di Bagheria, assieme ad Agostino Aiello, a Paolo Aiello, a Nino Cirrincione, a Masino Scaduto, a Mimmo e Ignazio Drago, e a tanti tantissimi altri. Quindi via via segretario della Federbraccianti e consigliere comunale del Paritto comunista.

A Bagheria quindi la militanza, la scoperta, lui allora giovanissimo, della Camera del lavoro, della Federterra e del Partito comunista, di cui fu militante e dirigente per decenni; punto di riferimento, lui, un bracciante, negli anni della contestazione studentesca anche per studenti e laureati.
I suoi interventi nelle assemblee di partito erano qualcosa che stava a metà tra l'ideologia marxista, studiata nelle scuole di partito, e applicata agli eventi piccoli e grandi, come si usava un tempo, e la grande commedia popolare di Totò.
Ascoltarlo era un piacere: con quelle braccia che disegnavano nell'aria conflitti di classe, condizioni di vita e di lavoro, scontri sociali e sol dell'avvenire, che mimavano metafore, più eloquenti di un intero discorso come quando allargandole a dismisura simulava il volo dei gabbiani, ma per lui erano "gli avvoltoi, i padroni, i grandi agrari, che si avventavano rapaci sul popolo lavoratore".

La sua faccia ossuta e bruciata dal sole, gli occhi piccoli e vispi, le mani grandi, utili per impugnare "u zappuni" ma anche per ammonire, per indicare una direzione e un percorso.
La scuola di partito aveva innestato su una intelligenza vivace gli strumenti della dialettica e della conoscenza: capitalismo, padroni, proletariato, religioni, chiesa, cultura, consumismo, sfruttamento, ecc...
Concetti seri e pesanti che maneggiava e rileggeva alla luce della esperienza quotidiana e che fecero al tempo, di Nino Gambino, uno dei braccianti più capaci e consapevoli.

I suoi interventi politici raccontavano la sua vita e quella dei suoi compagni: quella della condizione dei braccianti senza terra che avevano conosciuto la durezza del lavoro dei campi nel dopoguerra, e delle lotte contro gli agrari, i padroni di un tempo.

Fu sindacalista e comunista, quando non era facile esserlo: quando piccoli e grandi proprietari, i braccianti li "adduvavano" in piazza, al mercato di uomini in Piazza Madrice, e li sceglievano in base alla loro forza fisica ed alla loro disponibilità ad ubbidire e piegarsi; ed è per questo che gli iscritti al sindacato e al partito e quelli che portavano al lavoro ben nascosto nel taschino dei pantaloni l'orologio, erano malvisti.

Per questo i braccianti che con lui e come lui chiedevano i diritti e il rispetto del contratto nei periodi di scarso lavoro tra novembre e febbraio, erano quelli che restavano in piazza disoccupati per settimane e mesi.

 

Ricordiamo ancora nel 1970 l'ultima grande fiammata di lotte bracciantili per il contratto: in quei giorni la polizia che uccide due braccianti ad Avola ( "due dicembre/ giorno nero// per finire al cimiter//, per finire assassinati/ come servi mal pagati//) come cantò poi Ivan Della Mea.

Fu quella di allora una grande epopea, di cui è rimasta forse solo qualche immagine tremolante di una pellicola super 8, e in tanti allora dal segretario della Camera del Lavoro Agostino Aiello, a Nino Gambino, a Silvestre Scardina, a Michelangelo Sciortino, a Nino Buttitta, a Michelangelo Di Cristina, ai La Camera, ai Valenti, ai Castronovo, ai Gambino, ai Martorana, assieme a migliaia di altri braccianti che rappresentavano a Bagheria la vera aristocrazia della classe operaia, strapparono il nuovo contratto e fermarono assieme al movimento di operai e studenti la "strategia della tensione".

Però quello di allora fu anche il canto del cigno del movimento dei braccianti.

Si strappò, è vero, grazie al sacrificio della vita dei braccianti di Avola, un contratto che fu però difficile fare rispettare nelle campagne.
In quegli anni la crisi degli agrumi si cominciò a manifestare in tutta la sua gravità, i prezzi crollarono, e le pratiche del "ritiro", introdotte dalla Comunità europea negli anni successivi innescarono fenomeni di degenerazione all'interno delle aziende di commercializzazione.
Fu il tristemente famoso "scafazzo", quando l'agrumicoltura del bagherese sino allora vanto di una terra splendida e generosa, la Conca d'oro, perse la sua innocenza.

Nei confronti del movimento studentesco di allora nutrì, interpretando un'opinione largamente diffusa tra i braccianti, sempre un sentimento duplice: da un canto di orgoglio per il fatto che gli studenti, anch'essi in larga parte figli di contadini, operai e braccianti scendessero in piazza con i lavoratori, dall'altro una sana diffidenza che dietro questo movimento studentesco potesse celarsi solo una moda passeggera.

In parte ci azzeccava e in parte si sbagliava.

Per questo non mancava talvolta di ironizzare sugli "studentelli che con la loro agendina sotto il braccio se ne vanno a passeggiare alla Caravella con le ragazze" con i "quatrini" dei papà.
Il tutto mimato e recitato con una istrionesca capacità di politico consumato.

Se ne è andato anche lui, uomo d'altri tempi, che il modernismo e gli aspetti deteriori del progresso aveva sempre guardato con sospetto, perché intuiva che dietro c'era e c'è a manovrarlo la "longa manus" del potere politico ed economico.
Per questo negli anni della maturità e cessato l'imopegno politico e sindacale attivo, di fatto viveva in campagna: andava via al mattino con il buio e con il buio tornava la sera, su quel suo trabiccolo a due ruote, che a guardarlo non capivi come potesse portare sino all'Accia lui con il "panaro" legato sul piccolo sedile posteriore, con dentro "u zappuni", una bottiglia d'acqua, un "pistulunieddu" e forse un po' di cacio o una scatola di "tonnina", un frutto, il coltello. Una sorta di kit di sopravvivenza.

E quando mi succedeva di incrociarlo non potevo fare a meno di pensare per qualche minuto a quest'uomo, che forse non possedette mai un'auto, che in televisione guardava la sera, mentre già dormiva sulla sedia, solo qualche scampolo di telegiornale, e che dalla modernità non si era mai lasciato catturare.

Per la moglie, i figli, e tutti i familiari in questo momento di dolore resta una consolazione.

E' stato uno dei figli migliori di questa terra: per quello che ha detto, per quello che ha fatto, ma soprattutto per quello che ci ha insegnato.

 

ABBIAMO  RICEVUTO  ALCUNI  MESSAGGI  DI CORDOGLIO CHE  PUBBLICHIAMO

 

Buongiorno, da nipote di Nino Gambino volevo porgevi i ringraziamenti per le belle parole, da parte di tutti noi nipoti, dei figli, della moglie.... Caterina Pagano

 

Quando muoiono i più vecchi muore più vita" diceva Elias Canetti. Nino è stato, per chi l'ha conosciuto, e al di là delle differenze di vedute, un monumento all'autodeterminazione e alla volontà di consapevolezza. Ci vorrebbe un'intera generazione di uomini concretamente intellegenti come Nino per tirare fuori il paese dalle secche in cui si è incagliato. Comunque la pensi ora, pace all'anima sua e gloria alla sua memoria. Maurizio Padovano

 

Grazie a tutti quelli ke hanno onorato Nino Gambino.... ciao nonno....  PATRIZIA

 

Sono la nuora di Nino ed ho avuto l'onore e il piacere di entrare a far parte della sua famiglia e per dieci anni trovare in lui un interlocutore intelligente e acuto, valido insegnante di vita ,memoria storica ed esempio di laboriosità onestà e rettitudine .... vivrà sempre in tutti noi!!

 

IL MODO DI FARE POLITICA DI MIO PADRE E' STATO IMPRONTATO ONESTAMENTE E NELL INTERESSE DEI LAVORATORI ,QUANDO SUBITO DOPO LA GUERRA SI DOVEVA RICOSTRUIRE UNA GRANDE NAZIONE COME L ITALIA, QUANDO POLITICA ERA PASSIONE ,NON TEATRINO, QUANDO I PARTITI NON SI COSTRUIVANO SUL PREDELLINO,QUANDO TRA AVVERSARI CI SI RISPETTAVA,NON COME ADESSO ..LUI ERA L'ESEMPIO DI UNA POLITICA VERA PER IL BENE DI TUTTI A PRESCINDERE DELLE IDEOLOGIE...GRAZIE A TUTTI VOI PER AVERLO RICORDATO E ONORATO... FABIO GAMBINO