Cronaca

Un contributo alle indagini che da tempo ruotavano attorno agli arrestati di ieri per le truffe di orologi di gran marca e quadri di  valore pagati con assegni rubati, lo sta dando il pentito bagherese Salvatore Lo Piparo, arrestato nell'operazione Reset lo scorso mese di giugno, ed amico di alcuni degli arrestati, in particolare Cavallaro, Siciliano, Storniolo e Di Stefano, coinvolto anche nelle loro 'imprese' tra il 2009 e il 2011.

Lo riporta la stampa di oggi che sottolinea come la truffa partisse dall'immissione nel traffico illegale di carnet di assegni rubati alle banche o anche a semplici correntisti, che venivano poi commercializati a prezzo modico, 50-100 euro a blocchetto;  solo successivamente con questi assegni veri iniziavano i raggiri e le truffe, ma  le firme che venivano apposte sugli assegni erano di persone assolutamente ignare.

Il Lo Piparo racconta di un raggiro ad un usuraio al quale assieme al Cavallaro avevano chiesto 10.000 euro in prestito, dando in contraccambio assegni ballerini, brasiliani come qualcuno degli imputati li definisce nelle intercettazioni e di una truffa per l'acquisto di materiali edili realizzati con Domenico Siciliano sempre con titoli di credito nei fatti scoperti. 

Il Lo Piparo parla altresi della truffa al gallerista Massimo Riccobono presso cui furono acquistati quadri e litografie per un valore di 100.000 euro, in parte pagati con due titoli per 14.000 euro mai onorati.

Il gruppo aveva al proprio interno anche dei compiti specialistici: il Di Stefano, esperto di telefonia era addetto alla realizzazione, secondo l'accusa, di falsi timbri, tagliandi di assicurazione e abbonamentia SKY, mentre lo Storniolo si sarebbe prestato ad intestarsi schede telefoniche e ad aprire conti correnti a proprio nome per favorire l'associazione.

Secondo gli inquirenti ascenderebbe ad 350.000 euro le somme truffate, che venivano talora suddivise, secondo quanto dichiarato dal Lo Piparo, durante delle cene in locali di lusso.

La cosa che gli investigatori stanno cercando però di approfondire sono gli eventuali rapporti con cosa nostra di alcuni degli arrestati.

Ciro Carrello, napoletano di nascita ma residente a Bagheria da anni, è stato ritrovato la scorsa notte morto nell'infermeria del carcere di Pagliarelli dove era detenuto: secono le prime  ricostruzioni  l'uomo si sarebbe impiccato utilizzando le lenzuola a mò di corda.

All'uomo che da una ventina di giorni collaborava con i magistrati, sarebbero stati fatti pervenire negli ultimi tempi da parte di altri due detenuti legati a cosa nostra  dei bigliettini, in cui pare lo avvisavano e di 'stare sereno e di pensare ai propri familiari'.

Le celle dei due detenuti ora sono state perquisite, e gli agenti hanno sequestrato riscontri  che saranno sottoposti ad un approfondimento investigativo.

Carrello era nipote del pentito Benito Morsicato, ex esponente mafioso di Bagheria. Di recente, di lui aveva parlato il collaboratore di giustizia Salvatore Lo Piparo, già affiliato anch’egli al clan bagherese, che aveva raccontato di una cassaforte con documenti interessanti, tenuta proprio da Carrello. La cassaforte venne poi perquisita, ma al suo interno non c’era nulla.

Fino a ieri sera Ciro Carrello era stato sentito dai pubblici ministeri di Palermo e non aveva mostrato segni di nervosismo che potessero fare presagire intenti suicidi. A breve il detenuto sarebbe stato trasferito in un altro carcere. 

Carrello era finito in manette lo scorso 19 novembre, nel corso dell’operazione “Eden 2″ dei carabinieri del Ros, che aveva mandato dietro le sbarre sedici presunti affiliati a Cosa nostra, di Castelvetrano e Brancaccio: un blitz, volto a fare terra bruciata attorno al super latitante Matteo Messina Denaro.

Quello svelato dal giovane sarebbe stato un vero e proprio “gruppo di fuoco”, specializzato in colpi al servizio della mafia. Il gruppo avrebbe fatto capo a Girolamo Bellomo, 37 anni, detto Luca, figlio di Filippo e Rosalia Messina Denaro, nonché cognato di Francesco Guttadauro, ritenuto il capomafia del mandamento di Castelvetrano. Prima di finire in manette, nel 2013, la guida del gruppo sarebbe stata dello stesso Guttadauro.

Da qualche settimana,  sui giornali erano venute fuori rivelazioni che facevano riferimento ad un vero e proprio gruppo di fuoco che metteva segno rapine  per finanziare Cosa nostra. Fra i nomi che erano saltati fuori c’era quello di Ruggero Battaglia, cheavrebbe organizzato rapine per conto di tutti i mandamenti mafiosi di Palermo. Erano però venuti fuori  i nomi di altri cinque complici, fino ad ora non toccati dalle indagini. L’ultima volta in cui il detenuto aveva parlato ai pm risale a ieri sera e non avrebbe mostrato segni di nervosismo o che lasciassero presagire suoi propositi suicidi.

altNei confronti di Carrello, l’accusa era di rapina aggravata dall’avere favorito Cosa nostra: fra gli episodi criminali che gli venivano contestati e dei quali stava parlando con il pm Carlo Marzella, molte rapine eseguite dalla banda. Fra queste, anche un colpo, consumato ai danni del deposito di una ditta di spedizioni di Campobello di Mazara riconducibile a una società recentemente sequestrata all’imprenditore Cesare Lupo, arrestato con l’accusa di essere un prestanome dei fratelli Graviano.

Una rapina, che sarebbe stata messa a segno da un commando di otto persone, proprio per compensare le perdite economiche dovute alla confisca della società. I ladri indossavano pettorine della polizia e si sarebbero mossi a bordo di due auto e di un furgone, finiti incendiati immediatamente dopo il colpo. Una volta giunti nel deposito, legarono e immobilizzarono i dipendenti, affermando di cercare un carico di droga. Portarono via 600 colli di merce oltre a 17 mila euro in contanti.

 

 

 

 

 Ciro Carrello

 

I carabinieri della compagnia di Bagheria e della sezione di Polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Palermo hanno smascherato una mega truffa e arrestato cinque persone fra il capoluogo, Ficarazzi e Santa Flavia. In cella, su richiesta del procuratore aggiunto Salvatore De Luca e del sostituto Claudio De Lazzaro, sono finiti Paolino Cavallaro, Domenico Siciliano, Attilio Di Stefano, Salvatore Storniolo ed Antonino Ribaudo. L'ordinanza di custodia cautelare è firmata dal giudice per le indagini preliminari Lorenzo Matassa. Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, ricettazione di assegni e falso.

I cinque sono ritenuti responsabili, a vario titolo e in concorso, di una pluralità di reati tra cui ricettazione di assegni, truffa e falso, tramite la negoziazione di assegni di provenienza illecita. Fra questi, numerosi titoli del Banco di Sicilia provenienti dallo smarrimento di 5.000 stampe denunciato da Gianstefano Passalacqua il 27 ottobre 2005 presso la Stazione Carabinieri di Santa Croce Camerina ed assegni cosiddetti “ballerini” (o “brasileiri” come vengono ironicamente definiti dagli indagati nel corso di una conversazione intercettata), ovvero tratti su conti correnti aperti da prestanome e privi dei necessari fondi a copertura della relativa emissione.

Gli arresti arrivano al culmine di anni di indagini con perquisizioni, sequestri, interrogatori, intercettazioni telefoniche ed ambientali, integrati con le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia. Tutto inizia nel 2012 quando addirittura la banda cercò di simulare la vendita di una villetta ad Altavilla Milicia, la cui proprietaria risultava una persona deceduta, mentre gli assegni per il pagamento facevano parte di un  blocco emesso dal Banco di Sicilia e smarrito nel Ragusano. La gran parte degli assegni era nella disponibilità di Ribaudo. Ci sarebbero pure dei collegamenti con la mafia emersi in un capitolo investigativo tutto da esplorare.

Il colpaccio la banda l'ha messo a segno ai danni di un gallerista palermitano da cui Cavallaro e Siciliano avrebbero acquistato, in più occasioni, 75 quadri di pittori siciliani - alcuni di interesse nazionale come una litografia di Renato Guttuso - per un valore di oltre centomila euro. Tutti pagati con assegni fasulli. Erano appassionati d'arte, ma anche di orologi di lusso. Un Rolex Daytona in oro rosa sarebbe stato comprato con un assegno di carta straccia.

In tale quadro, il SICILIANO è risultato un vero e proprio mago dell’inganno, “arruolato” dagli iniziali promotori dell’organizzazione per le sue potenzialità e doti di creatività. Emblematico, in termini di creatività e capacità di improvvisazione è un episodio dai risvolti tragicomici, documentato da una telefonata intercettata, nella quale, al fine di accreditarsi quale importante commerciante di orologi, il SICILIANO si accorda con un complice che dovrà fingersi, in un successivo contatto telefonico che avverrà alla presenza della vittima di turno, un fornitore cinese (simulandone l’accento) incaricato di consegnarli i cronografi da “piazzare”.

Gli associati si sono rivelati anche particolarmente attrezzati sotto il profilo tecnologico. Nelle diverse perquisizioni eseguite, è stato possibile rinvenire e sequestrare una notevole mole di documentazione cartacea attestante l’esistenza di una vivace attività di falsificazione. Venivano, ad esempio, approntati dal DI STEFANO Attilio files relativi a timbri postali contraffatti con cui realizzare false attestazioni di pagamento delle bollette per la fornitura di servizi relativi alle utenze domestiche che venivano anche offerti dai sodali al pubblico, nonché falsi contratti per l’attivazione di servizi televisivi (pay tv), telefonici, ecc.., in capo ad inconsapevoli soggetti.

L’ammontare complessivo dei proventi originati dalle varie attività criminose è stimabile, allo stato attuale dell’indagine, complessivamente in circa € 350.000,00 quasi certamente suscettibili di ulteriore incremento nel corso di più approfondite analisi, tenuto conto che è stato possibile documentare l’attività di riciclaggio svolta dallo STORNIOLO Salvatore e tendente a sostituire le utilità provenienti dai vari delitti ovvero a porre in essere operazioni tali da ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita.

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A. RIBAUDO;               A. DI STEFANO;           D. SICILIANO;            P. CAVALLARO;            S. STORNIOLO

 

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Una lettera anonima arrivata in Procura nei giorni scorsi ha confermato le rivelazioni del pentito Vito Galatolo, secondo cui sarebbe già arrivato in Sicilia l'esplosivo per il progettato attentato delle famiglie mafiose siciliane contro Nino Di Matteo, p.m. della trattativa stato-mafia, attentato pare sollecitato direttamente da Matteo Messina Denaro.

Lo scrive nella cronaca il Giornale di Sicilia di oggi, in un articolo a firma di Riccardo Arena

Galatolo ha parlato della colletta fatta dalle famiglie mafiose per comprare l'esplosivo in Calabria e sostiene di aver visto i fusti con l'esplosivo: in questa settimane si è cercato in abitazioni di città o di campagna nella disponibilità di soggetti  che avrebbero potuto ospitare e nascondere un carico cosi rischioso.

Era stato arrestato anche Vincenzo Graziano,  un mafioso che, secondo Galatolo, avrebbe dovuto sapere molto su quell'esplosivo; però quel carico  ancora non si trova e questo aumenta la tensione e la paura che ci sia sempre  qualcuno pronto ad usarlo.

Si era cominciato a cercare in città , proprio nel quartiere dell'Acquasanta, poi nella zona di Monreale, e nei giorni scorsi si era anche parlato di aree interne e di montagna, ma la lettera anonima arrivata pochi giorni fa in Procura, sembra avere aperto altri orizzonti.

Nella lettera si farebbero tre nomi  di persone che sarebbero a conoscenza del percorso fatto dalla grande quantità di esplosivo, e l'area in cui sarebbe custodito, e cioè la zona di Porticello, in vicinanza peraltro della località Valdina, dove Nino Di Matteo trascorre le sue vacanze estive.

E proprio la zona della casa estiva di Nino Di Matteo  sarebbe stata una delle opzioni dei luoghi possibili scelti dai mafiosi per compiere l'attentato.

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