Chi ascolta Aylan ? - di Impronta Unica

Chi ascolta Aylan ? - di Impronta Unica

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Stiamo vivendo un periodo molto doloroso. Gli attentati in Francia, la devastante guerra in Siria ed Iraq ed in altre parti del Mondo, con la conseguente migrazione, anzi esodo, di intere popolazioni verso luoghi più sicuri. Immagini terribili. Immagini di morte, alle quali non sappiamo dare un senso, perché è una morte inaccettabile.

 

La storia è piena di follia, follia umana, che si manifesta in nome di un dio che non esiste. Il terrore.
Chi può dimenticare Aylan, piccolo profugo di Kobane, trovato morto in una spiaggia turca?
Molte decine di Aylan continuano a morire nel mare dell’indifferenza. Aylan e i suoi “fratellini” volevano e vogliono essere semplicemente ascoltati. Ma nessuno ormai ascolta più.

Oramai tutto si base sulla difesa ferrea dei nostri principi, della nostra religione, della nostra ideologia. Non abbiamo più il buon senso di trovare un punto d’incontro, di saper fare al momento opportuno un passo indietro, di essere curiosi dell’idee altrui. Siamo in trincea, e la dobbiamo difendere. Costi quel che costi. Ma la trincea è sinonimo di sofferenza, di non ritorno, di morte.

Dobbiamo avere la forza intellettuale di contaminarci se vogliamo seppellire le nostre trincee. Dall’incontro, senza pregiudizi, dell’idee, delle ideologie e delle religioni può solo nascere bellezza e armonia. Ciò che noi non abbiamo lo prendiamo dagli altri e gli altri prenderanno qualcosa da noi. Si chiama convivenza. Si chiama arricchimento.

E come entrare nella Basilica di San Pietro e avvicinarsi ad una statua che esprime sofferenza e dolore, grazie al genio di un uomo che ha dato un’anima ad un pezzo di marmo. È la Pietà di Michelangelo. Questa statua potrebbe stare in qualsiasi luogo, non solo per la sua bellezza e armonia fisica, ma per ciò che essa esprime nel suo immenso dolore: il nostro non ascoltare, la nostra trincea. Non dobbiamo darle solo un connotato religioso, molto spesso superficiale, ma soprattutto dobbiamo far nostro ciò che ci vuole comunicare: sentimenti veri, di apertura verso un mondo giusto.

È il mondo di Aylan. È il mondo di tutti quei bambini, che ogni giorno soffrono e muoiono, perché non ascoltiamo le loro voci cariche di felicità, di speranza, di futuro, di leggerezza. Uccidiamo il futuro. Uccidiamo noi stessi.
Sappiamo solo commuoverci di fronte alle terribili immagini dei piccoli Aylan. Una commozione che dura il tempo di un telegiornale, perché divoriamo tutto, anche i sentimenti.

Pensiamo che sia un problema che non ci riguarda. Pensiamo che sia un problema lontano da noi. Purtroppo è un problema che sta dentro di noi. Dobbiamo iniziare a guardare dentro noi stessi. Dobbiamo svegliarci. Dobbiamo riprenderci la nostra dignità di uomini.

Sì, dignità! La vita è fatta di compromessi, di scelte difficili, di momenti in cui dobbiamo turarci il naso, solo se è in discussione il bene dell’intera collettività, ma allo stesso tempo non possiamo mai oltrepassare il limite della dignità. Oltre quel limite non siamo più uomini, ma il nulla.
Forse, abbiamo già oltrepassato quel limite, perché siamo sempre in guerra, contro tutto e contro tutti. Ma siamo soprattutto in guerra con noi stessi. Non abbiamo alternative o riusciamo a trovare pace ed equilibrio in noi stessi o affondiamo.

Scriveva Lev Trotsky: “La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza, e goderla in tutto il suo splendore.” È una frase di una attualità sconvolgente. È un inno alla vita. È un grido di speranza. E come se Leon Trotsky avesse ridato la vita ai piccoli Aylan, perché li ha ascoltati. Ma allo stesso tempo ha indicato la strada che le generazioni future devono percorrere, affinché loro siano gli artefici di un mondo giusto. È un dovere morale che abbiamo nei confronti di Aylan e dei suoi “fratellini”.

La commozione fine a se stessa non serve a nulla. È venuto il momento di riprenderci la nostra di dignità di uomini. Grazie, Aylan!

Gruppo Politico
Impronta Unica

foto di copertina tratta dal web