Il nostro 'camino' de Santiago - di Michelangelo Testa 3 Puntata

Il nostro 'camino' de Santiago - di Michelangelo Testa 3 Puntata

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All’albergue ci accoglie Angel, un eccentrico hostellero: avevamo paura che non ci fossero posti, il suo “si!” è la nostra salvezza. Posteggiamo le bici in una stalla ed entriamo nell’albergue che è davvero bello. Fuori piove e la stanchezza è tanta. La doccia ci da un po’ di forze, quelle per andare e tornare dal ristorante che è vicino, ma pare così lontano…mangiamo benissimo per soli 7.5€ , e conosciamo due ragazzi di Milano, pellegrini a piedi, uno mi racconta che dalla partenza si è andato alleggerendo del superfluo, dalle continue telefonate che fa a sua madre per rassicurarla, mi auguro che si alleggerisca pure del telefonino e di sua madre.


La notte non passa liscia: Claudia è presa da “incubi da acido lattico”. La mattina scendere a fare colazione è una forzatura, ma non siamo soli: tanta gente ha sofferenze di ogni tipo.
Piano piano ci rimettiamo in moto: la via è un single-track pietroso; poi di nuovo sentiero in discesa verso Najera, la città ancora dorme, la attraversiamo in silenzio ammirando come paia scavata nella montagna e tagliata in mezzo dal fiume.
All’uscita del paese ci aspetta uno strappo in salita; lo facciamo aspettare ancora e ci fermiamo a fare la seconda colazione in una splendida e profumatissima pineta.
Ripartiamo immersi in campi coltivati a vigne e a grano, col sentiero rosso. Uno spettacolo.

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Arriviamo felici a S.Domingo de la Calzada, paesino turistico: strano notare la schiera contrapposta di pellegrini e turisti, sembra che ognuno pensi male dell’altro.

Usciamo presto dal paese e raggiungiamo Villarta, ci piazziamo nella piazza centrale ma di riposare non se ne parla: dei ragazzini in bici ci vedono e ci fanno la festa. Foto di rito e ripartiamo; solo pochi km e ci fermiamo per fare la bella siesta all’obra di enormi cipressi, sdraiati tra il grano appena tagliato…questa è vita. Le bici fanno da stendino ai vestiti lavati la sera prima. Claudia si addormenta e io mi godo il passaggio dei pellegrini a piedi, dondolanti sotto lo zaino a ancor di più sotto il sole cocente di Spagna, santi uomini della terra in cammino che è danza mentre il tempo si ferma e la vita chiede di essere capita finalmente.

Ripartiamo verso Belorado, attraversando paesini semi abbandonati; ogni tanto allo sterrato si alterna un asfalto morbido, oleoso e puzzoso…ma Belorado è vicina: siamo stanchi ma stiamo meglio del giorno prima: e poi l’arrivo a belorado è in discesa, uno sterrato veloce che pedaliamo felici di corsa rincorrendo dei bambini in bici, bambini anche noi.
Troviamo subito posto nell’albergue della chiesa, tutto è bello, la chiesa con le rondini sul campanile, la gente, i pellegrini.
Andiamo a fare compere e ci prepariamo da noi una cena ottima, sarà l’unica volta che cuciniamo. Facciamo amicizia con un gruppo di Messina, tra questi uno spassoso erborista ed un fisioterapista, al lavoro tra i pellegrini dolenti. Dormiamo coi tappi nelle orecchie, anche i pellegrini russano, e meno male che non mangiano fagioli.
Conosco un ragazzo, è infermiere in italia, è appena stato in ospedale: è sorpreso della gentilezza e professionalità con la quale è stato trattato.

La Spagna rappresenta forse ciò che avremmo dovuto o ancora potremmo essere: un paese dove il rispetto dell’uomo esiste, dove la cultura del prossimo, senza distinzioni di razza, sesso,, orientamento religioso è il collante di ogni rapporto; dove i dipendenti politici del popolo ne rappresentano l’indipendenza nei rapporti internazionali e lo sviluppo in quelli etico-culturali.
È un paese che vuole crescere, che ha messo al bando il ladruncolo Aznar (ladro di marmellate se paragonato allo psiconano italiano) che pure era favorevole ai pacs; un paese che ha detto no alla guerra e ha avuto i coglioni per tirarsi fuori da una occupazione illegale…
Una cosa mi ha impressionato: il loro sistema viario e di parcheggio, il primo diviso per veicoli, bici e pedoni, ognuno con le sue regole e diritti; il secondo “nascosto” spesso sotto le piazze, le piazze erano per le persone non per le macchine come da noi.

La notte a Belorado passa presto, troppo presto; la mattina prepariamo le bici che avevamo incatenato in uno spiazzo dietro la chiesa…di chiese ne visiteremo tante, tutte simili ma tutte diverse; siamo gli ultimi a lasciare l’albergue, il cammino inizia con una salita e ci fermiamo di continuo fino a che ci stoppiamo: Claudia ha troppo dolore alle gambe, proviamo con le vitamine ma nel frattempo siamo fermi, seduti su una panchina a guardare gli altri pellegrini passare; vorrei essere sulla bici…ma aspettiamo. La sosta, una aspirina e le vitamine fanno bene a Claudia che riprende a pedalare alla grande. Siamo sempre tra i vigneti e continuiamo a salire; reincontraimo i messinesi che sono partiti all’alba: è bello godersi gli incontri, anche se hanno il gusto del non vedersi più. Dopo la pausa caffè siamo di nuovo on the road; e la strada stavolta comincia ad impennarsi; oltretutto fa caldo; ma siamo uniti, e arriviamo “cu ciatuni” al passo di Punta Petraia a quota 1.150m. potremo scendere fino a Burgos dalla facile carrettiera, ma siamo pellegrini; preferiamo quindi continuare per San Juan de Ortega…ne varrà la pena, se di pena si può parlare: la strada è larga, piatta, sterrata ed in leggero declivio; per di più immersa in un bosco fittissimo: siamo nel paradiso del ciclista: mentre i pellegrini a piedi camminano, noi sperimentiamo l’efficace invenzione della ruota.

altRaggiungiamo S.Juan in scioltezza: la chiesa è l’elemento principale dell’agglomerato di case, la visitiamo e poi incontriamo il prete per il sello; quando gli diciamo che siamo siciliani l’unica cosa che sa dire è “mafia”, come se uno mi dicesse basco e io rispondessi “Eta”; gli sorrido egli dico di stare attento, mentre davvero in una parte di me qualcosa inizia a roteare. Ripartiamo, tanto la strada è in discesa. Claudia ha la bici con la forcella e si lancia…io devo stare attento ad ogni pietra, sono più pesante di corpo e di bagaglio.

Dopo un po’ usciamo dal bosco e il paesaggio si apre colorandosi di un giallo intenso. Alberi maestosi segnano ogni tanto la strada e così, col caldo che aumenta, arriviamo ad Atapuerca, borgo sperduto di origine paleolitica.
È ora di pranzo e consoliamo il nostro appetito nell’unico emporio, bar, supermercato, entro commerciale del paese. I “tizi” sono gentilissimi e preparano ottimi panini; la siesta la facciamo all’ombra in un giardino.
Quando riprendiamo il camino decido di sperimentare vie nuove: convinco Claudia ad abbandonare le frecce “guarda, vedi? Il sentiero gira attorno a queste colline, noi ci giriamo attorno per di qua…”…; fatto sta che allunghiamo di 5km e per di più finiamo dentro una enorme fabbrica di calce e cemento…(sono bravo a perdermi).
La strada è ora una statale, la pendenza e l'effetto traino dei camion che ci sorpassano, ci fa volare fino alla periferia di Burgos.
Dopo giorni passati in mezzo alla natura, ritrovarsi nella periferia commerciale di una città...fa schifo.
Incontriamo dei pellegrini, sono straniti e dubbiosi "possibile che sia questa la strada?"
Meno male che il tratto non dura molto, almeno in bici. E così entriamo nella parte storica della città: attraversiamo il fiume e passando sotto una porta si apre alla vista la splendida Cattedrale.
Decidiamo di visitarla a turno, mentre l'altro resta di guardia alle bici.
Vado per primo e ...é bellissima.
Quando entra Claudia noto la curiosità che attira la sua bici, saranno le salamandre?
Arriviamo all'albergue di Burgos che si trova dentro un parco, peccato si possa dormire solo a terra: invero sentiamo il bisogno di pace, di quella pace che solo un paesino può dare; e allora via!
mentre pedaliamo ci raggiungono Sonia e Ivan...iniziamo a fare strada insieme, pedalando allegramente come quattro amici da sempre, raggiungendo Rabè de la Calzada; qui prendiamo posto in un albergue gestito da una coppia formata da un marito rincoglionito e una moglie tirchia.
La cena la prepara la signora di sopra: un panino col formaggio, la peggiore cena del camino.
A noi si "unisce" Dino, un collega di professione di Claudia.
La mattina, dopo foto di rito e saluti, ripartiamo nel freddo, avvolti dalle nostre maglie antivento; siamo nell'altipiano spagnolo a circa 800m.
Tra una foto e l'altra ci riaggruppiamo a Sonia, Ivan e Dino: sarà uno dei più bei giorni di camino.
Dopo un pò lo spazio prende a dilatarsi, la sensazione che si prova è quella di un eterno perdersi, annullandosi nella vastità dei campi, il confine è lontano e il niente che ci separa dalla linea di confine stessa annulla la percezione di noi: siamo un granello di polvere perso nell'infinito essere...
Pedaliamo insieme, nella Comunione che è, che siamo.
Vedo Claudia serena. Il paesaggio meraviglioso, la strada che ogni tanto scende per poi tornare su....
Dopo un paio d'ora siamo ad Hontanas, un paesello medioevale nella persa meseta. Facciamo la seconda colazione nel bar dell'albergue. è ottima: le merende supercaloriche della Dulcesol mandano in estasi.
Resterei qui per un bel pò, magari un annetto o due.
Usciamo da Hontanas e ci aspetta la vista di un bellissimo campo di girasoli, la strada è una mulattiera e Dino ha qualche problema alla bici che gli si va smontando.
Bellissime le rovine di un castello dei Templari gestito da fedeli di Sant'Antonio da Padova.
nel brecciolino che "pavimenta" il sito Claudia fa una caduta. Mi prende un pò di timore: basta così poco e tutto il camino va in fumo! e questo vale sia per noi che per le bici.Esperamos!.