"Il suono e le parole", rassegna di musica, poesia e teatro a Palermo (dal 18 gennaio), nasce da un'idea del Gruppo Teatro Totem realizzata insieme a "I Candelai - Teatro". Giunti a metà della rassegna, è il teatro ad avere la meglio con lo spettacolo teatrale "La paura del buio", di e con Luigi Fabozzi.
La Vita, la Pazzia, la Morte, l'Amore e di nuovo la Pazzia, Tutto era arrotolato nei Manicomi ... Lasciate a noi le vostre tristezze che non andiamo mai nei prati e che non vediamo mai il sole (cit. Luigi Fabozzi).
Lo spettacolo avrà luogo martedì 1 febbraio alle ore 21.00 presso I Candelai, via dei Candelai 65, Palermo.
Luigi Fabozzi, che è redattore anche della rubrica Il mercante di parole qui sul nostro sito, ha avuto una lunga chiaccherata con l'autrice e giornalista palermitana Daniela Gambino (blog gambinscritture quotidiane)
Riportiamo, dietro gentile concessione, l'intervista.
Il duro mestiere degli esseri umani: Luigi Fabozzi racconta La paura del buio, di D. Gambino
Ha 33 anni Luigi Fabozzi, palermitano, con la necessità poliedrica di artista che lo rende attore teatrale, regista, autore, scrittore, giornalista. Quando sceglie il teatro come forma espressiva dice di essere già adulto, ha 22 anni e un breve trascorso all'università di Medicina. Potrebbe sognare un futuro diverso, invece: "Perché come artisti anche come medici si nasce.
C'è una sensibilità e una capacità di analisi innata che gli artisti e i medici dovrebbero avere". E la sua lo porta lontano, sui palcoscenici d'Italia, dopo l'esperienza teatrale con Michele Perriera, per diversi anni si perfeziona nella Capitale (nonna e mamma sono romane). Ha lavorato e con diversi registi tra cui Walter Pagliaro. Adesso gira per i teatrid'Italia con gli spettacoli La Paura del Buio (parla dei Manicomi prima della legge Basaglia) in scena a Palermo, al teatro Gregoretti il 14 ottobre e Il Bambino nel Pozzo, in cui ripercorre un fatto di cronaca, la tragica sorte di Alfredino Rampi finito in un pozzo artesiano, avvenuta negli anni '80, quando Luigi era un bambino.
Malgrado si definisca "l'artista più sconosciuto di Palermo", nel 2011 uscirà il suo primo romanzo edito dalla casa editrice Robin.
Come riesce un ragazzo della tua età, in tempi di precariato intellettuale, a coniugare il teatro, l'arte, la scrittura e la vita di tutti i giorni?
Tu mi chiedi di precariato intellettuale e a me è venuto subito in mente un precariato generazionale.
Credo che la mia generazione sia ancora fortunata in questo senso. Siamo vissuti a cavallo tra un'idea di vita e la sconfitta di quell'idea. Quindi conosciamo e abbiamo conosciuto il profumo di un "eventuale" mondo migliore. Quello che mi preoccupa sono le cosìdette nuove generazioni, che poi sono quelle che sono nate 10 minuti dopo noi, dopo i trentenni. I figli completi della televisione.
Noi eravamo, siamo, i figli putativi. I figli completi fanno una fatica abnorme a guardarsi per quello che sono. Vedono il mondo attraverso uno schermo. Si vestono, amano, come se fossero ripresi da una telecamera. Ma non è certo colpa loro è colpa di un piano ben congeniato dove si è creato a tavolino il consumatore perfetto.
Tutto è stato svuotato di interesse e tutto diventa fintamente pieno, ma è il tempo di arrivare alla cassa.
Quindi io vivo male il precariato intellettuale, ma mi vergogno a dirlo: penso a chi sta peggio di me.
Ho scoperto che da uno studio fatto in Italia si è riscontrato che nel tempo libero le persone non stanno con i loro cari o a passeggiare, ma decidono di trascorrere il loro tempo girovagando fra gli scaffali dei Megastore e io questo lo giudico, francamente, abominevole.
I bambini di oggi non hanno neanche il tempo per annoiarsi. Sono pieni di stimoli per lo più inutili. Quindi mi sento ancora fortunato. O forse sono sfortunato, perché noi trentenni siamo delle specie di mezzo né acquatici né terrestri. Mentre chi vive appieno questo tempo è nel suo habitat naturale.
Tornando alla domanda: ho vissuto male questo mio lato artistico. Che è anche l'unico lato. Fin da piccolo. Desideravo essere un po' come gli altri. Ti dico che io sono cresciuto in scuole difficili io bambino borghese gettato nelle fauci della giungla.
Perché lì era così. I bambini si prendevano a coltellate e a pugni un giorno sì e uno pure. Quindi tutto ciò che era umano è stato in me inghiottito e reso bestiale per sopravvivenza. Per questo io leggevo di nascosto e poi magari qualche minuto dopo mi ritrovavo in una scazzottata, bene che andasse.
Quindi ho fatto outing artistico molto tardi. E forse è un bene. O no.
Ho cominciato a pensarmi come artista a 20 anni o addirittura più tardi. Quando già i giovani intellettuali magari frequentavano i circoli bene. O le scuole per bene.
Mentre leggo, sento e vedo dei figli della vera borghesia con un sacco di soldi che non hanno vissuto il nero e il buio della miseria (anche degli altri) e la vedono come "caratteristica, tipica", come un carretto siciliano.
Li scopri subito perché non c'è il terrore vero nei loro racconti e nel loro slang. È come se un milanese dei navigli raccontasse e storpiasse il siciliano. Ce ne sono tanti purtroppo, tantissimi e sono soprattutto quelli più apprezzati.
Io li chiamo Siciliani Camilleriani. Da esportazione. Io sono credo l'artista più sconosciuto di Palermo. Nonostante siano 15 anni che opero in vario modo a Palermo e in tutta Italia. Perché sono uno che odia fare salotto perché non so trovarmi il mio bel posto al sole. Questo è il 90% del lavoro che l'artista deve fare.
Me ne rendo conto e lo so. Ma è più forte di me. Ma questo è sempre stato così. In tutte le età storiche. Che noi artisti siamo un po' puttane è vero. Ho visto e partecipato a vario titolo a incontri tra artisti che lamentavano che il comune (di destra o di sinistra) non li valutava.
Che poi in sintesi voleva dire che non gli dava soldi.
Il problema principale è che gli stessi se lo stesso governo della città avesse buttato 1000 euro per terra loro li avrebbero raccolti e sarebbero stati zitti.
Piange il cuore a dirlo ma gli artisti sono così. Io per sottrarmi a tutto questo lavoro. Lavoro come autista di pullman, come assistente per disabili, come libraio, come lavacessi, come traslocatore, come... ne ho fatti tanti che non me li ricordo tutti.
Cosa ne pensano in famiglia, della tua attività?
In famiglia hanno cercato di convincermi a tornare a medicina in maniera molto blanda però. In modo silenzioso, ma devo dire di aver sempre avuto un appoggio per quanto possibile. Figurati che mio nonno voleva pagarmi per tornare a medicina.
Mia nonna, la mia amata nonna che mi ha fatto da seconda mamma, mi chiamava a Roma per dirmi: "ma che stai a fa là" e io rispondevo "nonna sto studiando per fare l'attore" e lei tenerissima mi diceva: "ma io non ti vedo mai in televisione".
Con lei mi intenerivo molto, se fosse stato qualcun altro magari l'avrei mandato a quel paese. Certo era bella la sensazione quando ti domandavano cosa fai nella vita e rispondevi studio medicina. Quel sorriso e quella pacca sulla spalla erano confortanti.
Ma purtroppo io sono nato artista e ci morirò.
Come Marlon Brando vorrei fare dell'altro vorrei essere dell'altro, infatti molti attori, scrittori, ma quelli veri, molti vengono schiacciati dal loro essere artista.
Tornando un attimo al precariato io credo che l'artista debba essere precario. Debba soffrire l'instabilità, l'instabilità ti porta ad acuire i sensi. A capire. Del resto gli artisti sono sempre stati precari, sempre. Hanno sempre avuto difficoltà, sempre. Come sempre sono esistiti gli artisti e gli impiegati dell'arte. Gli artisti sono quelli che rompono i coglioni. Che fanno star male il proprio pubblico.
Oggi, ma ripeto forse sempre è stato così, il pubblico non vuole più stare male. Vuole essere lasciato in pace.
Ecco noi artisti non dobbiamo lasciarli in pace. Per questo i Poteri hanno sempre odiato l'arte.
Gli impiegati dell'arte sono invece quelli che hanno più successo e che lavorano sempre. Hanno casa, famiglia e sono tutto sommato tranquilli. Si trovano sempre sotto il culo del cavallo del potente di turno.
Mi racconti la storia di quest'incontro, quello con la persona che ha ispirato lo spettacolo La paura del buio, l'idea di partenza?
Devi sapere che in famiglia sin da piccolo ho vissuto con la malattia.
Non la mia, ma quella di mia sorella, che è affetta da tetra paresi spastica (non lo dico in giro perché odio chi si fa pubblicità dei propri dolori) ma non posso spiegare perché ho scelto questo spettacolo senza farti questa premessa.
Fin da tenera età ho vissuto il vissuto di chi ha un problema a casa. Un problema irrisolvibile.
Salto tutto ciò che ha comportato nella mia vita ma ti ho raccontato questo segreto perché appunto io appena ho iniziato a pensarmi artista mi sono detto: un giorno dovrai affrontare questo tema. Ti aspetta, ti cerca e ti punge di notte e di giorno.
Devi sapere che a Palermo superato il 18esimo anno di età le persone con disabilità fisica e mentale grave non hanno nulla. Il deserto. Sono lasciate sulle spalle dei familiari. Per me e per i miei genitori è un dolce peso non vorrei far credere che io non ami mia sorella e la vita che abbiamo vissuto e viviamo insieme.
Però non tutti hanno questa sensibilità.
E comunque come è giusto che sia Valentina, questo il nome di mia sorella, si è rotta le palle a stare sempre con noi.
Dopo tante traversie siamo giunti in un "porto" un'associazione che la mattina la accoglie. Facendola breve io sono entrato anche come lavoratore. Portavo il pullman, lavavo i piatti, pulendo letteralmente il sedere ai ragazzi/uomini.
È stato il momento più felice della mia vita. Il vivere con persone con cui devi ricodificare tutto te stesso.
È come incontrare una razza aliena che ha le sue tradizione, le sue culture, il suo linguaggio. È una sfida magnifica che mi esaltava e mi dava la carica ogni giorno. Come spesso accade, e come racconto poi nel mio racconto, si hanno più problemi con i normo dotati all'interno di queste organizzazioni che con gli utenti. Insomma io non mi vergogno a dichiarare che amo profondamente ognuno di questi ragazzi.
Perché io non li facevo "suonare" secondo la mia musica come fanno tutti Ma io mi sono intonato alla loro.
Ognuno aveva una musica diversa. Ed era difficile, ma ripeto meravigliosa la danza che mi costringevano a fare.
Diciamo che nello spettacolo c'è la summa di tutti loro. Ma soprattutto di Aldo, un ragazzo autistico, che mi ha scelto come interlocutore. Io ho cominciato a imitare i suoi movimenti e lui piano piano mi ha accettato nel suo mondo. Sapevo cosa lo rendeva felice e addirittura mi ha dato un bacio sulla guancia.
La bellezza era che non c'era nessun pietismo in me. Ero totalmente a mio agio. Certo forse vuol dire che sono pazzerello anch'io. Beh questo è probabile.
Quali sono secondo te le differenze sostanziali fra crescere adesso e negli anni 80?
È come dire nascere nei magnifici anni '60. C'era chi viveva veramente la magnificenza degli anni 60 e chi viveva ancora nell'anno 1000.
Quindi posso parlarti dei miei anni '80 con i punti in comune tra le varie vite. I miei anni '80 hanno il sapore dolcissimo delle prime merendine (che mio padre chiamava Merdine) e la paura. La paura (quest'altra l'affronto nell'altro spettacolo) della morte. Nel mio altro spettacolo racconto la morte di Alfredino Rampi. E soprattutto racconto la morte della fanciullezza e della invincibilità che l'infanzia dovrebbe avere.
Vivere quei giorni per me è stato una caduta degli dei, degli angeli, degli apostoli e chi più ne ha più ne metta. Vedere questo bambino dentro un pozzo e vedere soprattutto tutti questi Adulti che non riuscivano a salvarlo è stata la morte della totipotenza dei genitori, della polizia, dei vigili del fuoco, dell'uomo in genere.
E questa cosa mi ha accompagnato per tutta la vita. Anche questa ho dovuto affrontare.
In realtà quando venite a vedere i miei spettacoli forse dovrei pagarvi io perché mi state psicanalizzando.
Cosa pensavi di fare a 20 anni?
A ventanni cercavo di sopravvivere. Non avevo grandi aspettative . mi ero iscritto a medicina ed era l'unica cosa importante per me. Sì, diciamo che a ventanni volevo fare il medico, ma poi l'università di medicina e la medicina in generale mi hanno fatto cambiare idea.
Perché? Perché è una spelonca di ladri e ignoranti. Vista da dentro la medicina, o per meglio dire i medici sono per lo più degli affaristi senza scrupoli che non hanno alcuna remora a fare affari sulla pelle degli altri.
Un po' di tempo fa scrivevo in un mio articolo: quanti di noi hanno avuto problemi con la sanità? E quanti con i Rom? Però il problema che più ci colpisce sono i Rom.
È calcolato che milioni di persone nel mondo muoiono per errori medici. Comunque questo è uno dei vari paradossi che mi hanno allontanato dal mio mestiere, non so se definirlo primo mestiere o secondo. Perché come artisti anche come medici si nasce. C'è una sensibilità e una capacità di analisi innata che gli artisti e i medici dovrebbero avere.
Che consigli daresti a chi vuole fare il tuo lavoro?
Beh bisogna capire quale lavoro vogliono fare dei tanti che faccio. L'attore? Lo scrittore? Il Giornalista? Io non credo ci sia discontinuità tra loro. Una cosa li unisce tutti. Fatevi una cultura. Leggete di tutto. Leggete 1000 libri. Leggete e abbiate curiosità. Questo vi renderà uomini oltre che un mestiere. Sono consigli che fanno bene a tutti ma soprattutto a chi deve scrivere e recitare.
Io ho conosciuto artisti e soprattutto attori di un'ignoranza abissale e guardavano chi aveva curiosità con sdegno invece di porsi il problema che loro erano al di là del baratro. Ma mi domando chi insegnerà la voglia di leggere e di conoscere? La scuola della Gelmini che vuole avvicinare il "mondo del lavoro" alla scuola?
La scuola deve formare esseri Umani non Tecnici. Quindi in sostanza se volete fare il mio mestiere dovete essere Esseri Umani. E questa è la cosa più difficile del mondo. Ma il mondo ha bisogno di artisti. Fatelo.
La paura del buio, a Palermo, sarà anche al teatro Gregoretti, viale delle Scienze, nei pressi degli edifici 14 e 16, il 14 ottobre alle 21 (ingresso gratuito).
Daniela Gambino