Una citazione canora che non poteva essere più calzante di così.
Una nutrita schiera di spettatori (giornalisti, curiosi, comparse, residenti) ad assistere alla “prima” della prima puntata della nuova fiction televisiva in onda ogni sera su Rai Tre, Agrodolce.
Un parterre di immancabili ospiti illustri (in ordine d’altezza, i lettori scusino il metro!): Giovanni Di Giacinto - Sindaco di Casteldaccia, Biagio Sciortino - Sindaco di Bagheria, Antonio Napoli - Sindaco di Santa Flavia, ex equo di Enzo Giunta - Sindaco di Termini Imerese e Giovanni Avanti - Presidente della Provincia di Palermo, Antonello Antinoro - Assessore regionale ai Beni Culturali, Ambientali e Pubblica Istruzione e Salvatore Badami – Sindaco di Misilmeri e presidente (facente funzioni) del Coinres.
Cast di attori, produzione e staff dell’esecutivo pressoché al completo: emozione, tensione, partecipazione. Un’attesa lunghissima, lavorare sodo per mesi e mesi, girare ogni giorno scene su scene eppure annegare in uno sconfinato silenzio-stampa che fa temere il peggio, nessuno dice più niente, Gianni Minoli glissa sulla data di messa in onda.
Poi ogni riserva è sciolta e, dopo che 230 puntate sono già state confezionate, l’8 settembre è il giorno del debutto (una furberia, considerando che l’8 settembre di un po’ di tempo fa è una data che ha già segnato le pagine della nostra storia...).
L’aria è pesante, resa quasi irrespirabile dall’afa e dall’altissimo tasso d’umidità. Ma qualcos’altro vizia l’atmosfera; in cielo si intravede l’amorfo disegno di una scia di fumo, l’odore scende pianissimo, i meno fortunati sono a tiro di vento: è immondizia bruciata, già.
Di là, poco distante da noi (che siamo qualche centinaio di persone) un altro rito si sta consumando, cinico e disperato: sì, perché dar fuoco a cassonetti stracolmi di spazzatura quando alle otto di sera la temperatura è ancora sui trenta gradi, è un gesto che senz’altro denota esasperazione ed assenza totale di speranza.
Loro sono seduti lì, concentrati sulla proiezione, attenti a quanto più di valore possa offrire la nostra terra. Sono gli amministratori del bene comune, sono quelli che plaudono Minoli per aver scelto la nostra provincia come sede del suo progetto e sono gli stessi che hanno investito fondi strutturali europei dove non erano mai stati investiti, per lo meno in maniera così consistente.
Sono i sette uomini che credono nella ripresa, nello sviluppo, nella cultura-volano della nostra economia.
“L’avvio di Agrodolce, realizzata in gran parte nel nostro territorio (presso i Med Studios allestiti nei locali dell’ex Istituzione Socio Scolastica permanente, n.d.r.) - ha commentato il sindaco Enzo Giunta - è un ulteriore segnale concreto della rinascita del nostro comprensorio, con una nuova importante e diversificata opportunità di lavoro.
L’occasione, inoltre - ha proseguito Giunta - contribuisce a far conoscere le ricchezze ambientali, paesaggistiche, monumentali ed artistiche della Sicilia e di Termini Imerese, che non è soltanto agglomerato industriale”.
Tutto vero, Minoli ci crede e sottolinea il modo assolutamente nuovo di “fare impresa”. “Termini non è solo Fiat; se l’industria Fiat non va bene, e ce ne rammarichiamo, sperimentiamo forme nuove per produrre ricchezza al sud: ci sono così tanti luoghi che sono set naturali per il cinema, in Sicilia gli esempi sono numerosi e possono essere moltiplicati; è necessario investire nell’industria culturale, che arreca benessere economico, posti di lavoro, turismo. Sono davvero entusiasta del fatto che già dopo poche settimane di lavoro siamo riusciti ad avere per Agrodolce l’80% di maestranze siciliane. Questo è un nuovo modo, moderno e intelligente, di far girare l’economia.”
E se ci pare ardua l’impresa di trasformare i nostri luoghi amati dal cinema in laboratori permanenti di Cultura, ancor più arduo ci sembra l’impegno a far sparire ogni traccia di luridume dalle nostre strade, dagli angoli più belli e suggestivi della nostra costa. Eppure questo va fatto al più presto, prima che giungano sulla nostra incantevole isola nuovi visitatori attratti dal successo della soap.
Cos’altro dire. Agrodolce come un romanzo popolare, ha detto tantissime volte, oramai, Minoli. “Romanzo popolare” è una definizione stretta, forse un po’ troppo di genere per andar bene per la fiction in questione. Ma guardando più da vicino, certo è che trae le mosse dalla “serialità” di quel prodotto che, nell’Ottocento, era solito essere pubblicato a puntate, per l’appunto, su quotidiani o riviste. Era popolare, poi, perché contrariamente alla letteratura comunemente intesa, questo particolare genere riusciva a coinvolgere un pubblico molto più vasto di lettori, annoverando fra i suoi consumatori abituali anche gente scarsamente scolarizzata e, si badi bene, donne, tante donne.
Infatti sono pochi gli argomenti che incollano le donne alla sedia come gli ingredienti principali di questo genere, ossia l’amore e la suspense. Storie d’amori e dolori infiniti, che all’infinito si intrecciavano e... da qui la carriera fortunatissima degli scrittori dei romanzi d’appendice: era possibile riconoscerne l’inizio, ma non la fine – era il successo dell’opera a decretarne il proseguimento o l'interruzione.
Aver seguito la prima puntata della soap non basta a farsi una chiara idea sul valore complessivo dell’opera o sull’equilibrio delle scelte fatte.
Ma su due elementi crediamo di poter formulare un giudizio abbastanza netto fin da subito: la bellezza della fotografia e la cura dei dettagli. Davvero poco sembra lasciato all’improvvisazione e all’invenzione; le immagini scorse sullo schermo sono sinceramente accattivanti e rendono giustizia a tutta la poesia che quei luoghi suscita.
Qualcuno potrà dire che Lumèra sembra la perfetta copia di qualche quadretto surrealista tardo-romantico, ma è soltanto acredine, poiché i luoghi ritratti sono realmente quell’incanto paesaggistico, e magari è soltanto un po’ l’effetto estraniante della tv a farli sembrare lontani. (Gli attori sono tutti freschi e bravi, alcuni sembrano in odor di grandissimo successo; forse è mancata un pò d'introspezione psicologica dei personaggi, ma su questo torneremo più avanti con altri articoli).
Che poi il perno su cui ruota la narrazione sembri essere, secondo il cliché del genere, l’eterno conflitto fra Bene e Male, la lotta estenuante dell’eroe/eroina virtuoso/a contro l’antagonista spregevole, il corrotto di turno, fino all’atteso giudizio manicheo di vincitori e puniti, beh, anche questo è vero. Ma non è una colpa, e lo diciamo senza retorica. Che giallo sarebbe senza mistero? Che romanzo popolare sarebbe senza i mille casi della gente a incastrarsi fra loro, senza il virtuosismo di uno schema che s’arricchisce di personaggi, situazioni e colpi di scena che gli sceneggiatori organizzano in funzione della curiosità e dell’interesse da suscitare negli spettatori? I parametri vanno rispettati per essere riconoscibili e riconosciuti.
E a noi piace che ci si riconosca. Che i nostri luoghi lo siano, da Cosenza a Vicenza, che i nostri attori lo siano, e che il borgo marinaro di Santo Nicolicchio lo sia, in tutta Italia.
Un simpatico backstage della fiction Agrodolce realizzato da cherry tv