Il discreto riscontro che le nostre righe su “Giummo” Tomasello hanno avuto, ci spinge a riandare con la memoria a qualche personaggio che non è più.
Per ricordarne tratti singolari e tipici del carattere, per parlare dei pregi e solo di qualche piccolo difetto, perché ovviamente non si può dire male di chi se ne è andato.
Lo spirito che ci muove ovviamente è quello di suscitare in quelli che li hanno conosciuto, anche solo un affettuoso ricordo; quindi il nostro ritratto prescinde da considerazioni e giudizi politici postumi e tanto meno etici.
Ripensavamo in questi giorni, con altri della nostra generazione, ad un consigliere comunale della D.C. Salvatore D’Alessandro, per tutti Totò, che è mancato all’improvviso nel 2003, ancora relativamente giovane.
Politicamente fu fedelissimo di Calogero Mannino, anche quando la stella di quest’ultimo si eclissò, in un rapporto che fu personale oltre che politico, e di un Totò Cuffaro allora giovane emergente.
Nessuno dei due lo dimenticò mai: fu Mannino a farne dopo l’omelìa un ricordo in chiesa, e Cuffaro fu il primo, da presidente della Regione, ad arrivare e a rendergli omaggio al suo funerale.
Tante volte consigliere per la Democrazia Cristiana eletto sempre con largo margine e più volte assessore, alle finanze soprattutto, per le sue competenze.
Professionalmente raggiunse traguardi importanti: direttore dell’Ufficio del collocamento di Palermo, e a conclusione della carriera fu anche Direttore generale dell’A.S.L. di Messina.
Però Totò aveva un carattere esuberante, particolare, pittoresco.
Sappiamo che se avesse letto le cose che diremo ne avrebbe riso con noi, perché aveva il senso delll’ironìa e dell’autoironìa.
Su di lui esiste una aneddotica vasta, anche se non sempre attendibile e riscontrabile.
Ma gli episodi di cui vi diremo sono tra quelli documentati con testimoni attendibili, e che ne descrivono meglio di un intero libro il carattere.
Totò D’Alessandro, aveva anche quello che si dice le “phisique du role”: un bell’uomo, mascella volitiva, risata rumorosa, espressione accattivante da simpatica canaglia, ghigno piratesco, un po’ Jean Paul Belmondo e un pò il nostro Renato Salvatori, a metà tra il "guappo" napoletano e il "cummenda" meneghino che si è fatto da sé.
Petto villoso ben in vista adorno di grandi medaglioni in estate: foulard, camicie o cravatte appariscenti, orologi d’oro e di gran marca, giacche rigorosamente di cachemire in inverno; vestire e gesticolare vistoso, insomma un personaggio un po’ - come si direbbe oggi - sopra le righe.
Vi raccontiamo alcuni episodi che lo videro simpatico e indimenticato protagonista.
Fu lui, a lasciarci senza parole, quando nel 1989 durante una seduta del consiglio comunale, tirò fuori dalla borsa un oggetto misterioso di cui allora si cominciava a favoleggiare sui giornali: il mitico telefonino (one).
Fece in modo, scoprimmo poi, di farsi chiamare durante la seduta del consiglio, e dopo il trillo che si sentì sino a Palagonia tirò fuori questo ordigno, lo portò all’orecchio e tenendo il braccio rigorosamente all’altezza della spalla cominciò con aria indifferente a fare avanti e indietro nell’aula consiliare.
Nessuno seguì più la seduta, e rosi dall’invidia, non sapevamo se ammirare l’ordigno o ascoltare la chiacchierata che avveniva, considerata la tecnologia ancora primitiva, a volume molto alto.
Non potevamo capacitarci: ma sta scherzando o telefona veramente?
Così il consiglio comunale di Bagheria entrò nel futuro delle telecomunicazioni.
Un suo collega consigliere comunale al quale aveva fatto una cortesia importante, per disobbligarsi in qualche modo, lo portò a Palermo da Dell’Oglio; come dire uno tra i negozi di abbigliamento più “in” di Palermo, che si trova (o trovava) in Via Ruggero VII, frequentato da clientela raffinata e con il portafoglio ben rigonfio.
“Totò scegli quello che ti piace, per oggi pago io”- gli dice l’amico entrando.
In negozio ci sono altri clienti tra cui due signore inglesi, ed altri impettiti gentiluomini.
Atmosfera ovattata, toni piani e cortesi, insomma un ambiente e un clima di grande signorilità.
Conoscendo Totò, che era allora il direttore del collocamento di Palermo, e la sua propensione per l’eleganza, il direttore del negozio, non appena lo vede, se lo prese subito “in carico”, e propone ovviamente il top: una giacca di cachemire.
Totò cominciò a provarsi la giacca, a guardarsi e riguardarsi, girarsi e rigirarsi, ammirandosi compiaciuto allo specchio; e mentre una commessa parlava in inglese alle clienti e un altro curava in perfetto italiano, e con voce suadente e garbata i ben rigonfi portafogli, si vede Totò sempre di fronte allo specchio lisciarsi e accarezzare la giacca di cashmere con sincero autocompiacimento, e nello stupore e nell’imbarazzo generale esplodere ad alta voce: “Minchia!…diritturi, ma stu’ cascimir veru curnutu è”...
Un'altra volta, nei primi degli anni ’80 era in trasferta a Roma con altri assessori.
La sera a cena rigorosamente in Via Veneto, in uno dei migliori ristoranti della capitale.
Clientela, come si può ben capire, dai gusti raffinati, e dal palato fine; del portafogli abbiamo già detto.
Si avvicina il sommelier, che, fa la proposta di accoppiamento dei vini, ai piatti già ordinati di aragoste e ostriche, oltre ad altre prelibatezze: “Moet Chandom, Pinot grigio, Dom Perignon” ? signori...- chiede deferente e ossequioso.
E Totò lo guarda con aria stranita e, senza aver capito un tubo, rilancia: ”Senta, azzusa ri D’Azzò, nuatri na viviamu a Baarìa, portanni a sciampagna cchiù cara chi ccè e ‘unni parramu cchiù”. (sino agli anni ’70 l’azienda D’Azzò imbottigliava a Bagheria le gassose a caffè e a limone)
Era una notte buia e tempestosa, con la nebbia che si tagliava con il coltello nelle vicinanze di Viareggio: nell’auto targata Palermo, con Totò altri tre, tra assessori e consiglieri.
Posto di blocco dei carabinieri che fermano l’auto: “Buonasera, documenti “.
Prendono la patente del guidatore e si allontanano nella luce incerta della notte romagnola.
I nostri lasciano accese solo le luci di posizione, ed al buio non vedono più neanche l’auto dei CC.
Dopo un po’ Totò innervosito dal contrattempo e dalla perdita di tempo, sbotta: “Vabbè, ora ci vado io, gli faccio vedere il tesserino di funzionario dello Stato, gli dico che sono il direttore del collocamento di Palermo, così ci lasciano andare via”.
E Totò, fiducioso, si immerge nella nebbia.
Passano cinque, dieci, quindici minuti e Totò non ritorna.
Allora quelli rimasti in auto, accendono le luci grandi per cercare di vedere meglio, e cosa vedono?
Totò, faccia al muro, mani in alto e gambe divaricate, con i mitra puntati addosso, che veniva perquisito dai carabinieri.
Ce ne volle del tempo per convincere i militari che erano amministratori di Bagheria, che si trovavano a Viareggio per un convegno sugli Enti locali.
Solo all’indomani i nostri seppero che il giorno prima a Palermo un commando di quattro killers a bordo una macchina dello stesso tipo e colore della loro, aveva commesso in pieno giorno un duplice omicidio.
Caro Totò, anche tu fai parte di quella Bagheria e perché no? Di quella politica d’altri tempi che non c’è più.
Oggi quando vanno in trasferta gli assessori bevono al massimo il Tavernello in brik!
Angelo Gargano
Foto Roma, via Veneto