La domanda è: si può morire per eccesso di assuefazione? E non è una domanda retorica, non racchiude in sé la risposta, è una domanda concreta, che ha una sua ragion d’essere. Perché potrebbe anche essere che, in verità, l’assuefazione sia la strategia vincente, forse l’unica possibile. Perché si potrebbe morire per una incapacità ad assuefarsi, espulso da un ambiente come un elemento spurio. Ai cambiamenti, agli accadimenti, mi adatto, mi modello su di essi e vado avanti. Flessibile, plasmabile, rimodulabile. Concavo, convesso, piatto.
Acritico. Ma, soprattutto, indifferente. Assuefatto. Perché di piccole e grandi cose che meriterebbero ferme posizioni trasversali ne accadono, e pure tante, ma non indignano, non sconvolgono, al più infastidiscono, ma ancora più fastidiosi sembra risultino quelli che ancora si prendono la briga di sottolinearle, di provare a portare avanti un ragionamento. Che, poi, è proprio quello che manca e quando c’è è considerato un intruso: il ragionamento.
Nella migliore delle ipotesi la reazione si esaurisce nel fuoco di paglia dei social, d’istinto, di pancia, si è tutti il Charlie di turno per qualche minuto e poi l’andamento della quotidianità riprende il suo moto frenetico e monotono, impegnati a ingurgitare notizie di ogni tipo, vittime di un inquinamento da informazione che porta a fare un frullato di tutto senza più riconoscere il peso e la portata delle cose. Per farlo occorrerebbe ragionarci su, approfondire, sviscerare, dedicarsi alle sfaccettature, ma per ragionare serve tempo e lo scorrimento un po’ più lento della pagina web.
Per esempio, accade che un governo con un presidente del consiglio mai eletto da nessuno sia il padre della nuova legge elettorale. Non male come contraddizione. Basterebbe questo. La legge è un pastrocchio che potenzialmente, grazie ai premi di maggioranza, può portarti a governare partendo da percentuali ben lontane dal 50 (Chi al primo turno riesce a ottenere il 40% dei consensi si aggiudica un premio di maggioranza che lo porta automaticamente a 340 deputati, su 630. Se nessuna delle liste ottiene quella percentuale, due settimane dopo si torna alle urne a votare il ballottaggio tra le prime due liste “classificate” al primo turno, e chi arriva prima ottiene il premio che la porta a 340 eletti. Quindi se, al primo turno, la lista prima classificata ottiene il 20% e la seconda il 18%, queste due liste andranno al ballottaggio e l’Italia sarà governata da un gruppo di potere che avrà avuto il consenso, bene che vada, del 10-12% degli italiani, considerando che il 20% iniziale riguarda il numero di votanti).Questo il contenuto, ma non importa, il padre della nuova legge, Renzusconi, va in televisione a presentarla come un successo, si appella al fatto che da anni si attendeva una legge elettorale, e ora “eccovela” (come se ne fosse servita una, qualunque essa fosse), segue qualche voce fuori dal coro, qualche politico che dichiara “la legge elettorale fa schifo”, ma “gli italiani hanno ben altre priorità”; il lavoro, la sicurezza, l’immigrazione. La democrazia, no. Evidentemente non importano a nessuno potenziali derive autoritarie, non fanno saltare dalla sedia, anzi la gente ti fissa e sembra dirti: “lei con i suoi discorsi mi tedia”. E allora, viva l’Italicum. E le preferenze? E le liste bloccate? E le percentuali azzardate?
Domande che affogano dentro uno sbadiglio.
Il primo maggio, durante una manifestazione NO-EXPO, i black-bloc devastano il centro di Milano. Partono i complimenti, e tutto un bravo-bravo trasversale, ministro dell’interno, vertici delle forze dell’ordine, esponenti politici. Non si è caduti nelle provocazioni, si è evitata un’altra Genova. E in tanti ad annuire.Certo qualche altra considerazione si poteva fare, tipo: ma la presenza dei black bloc non si poteva prevenire e bloccare? ma a manifestazione finita non si potevano arrestare? e si può parlare di successo di fronte a vittime incolpevoli chiamate a pagare tramite i loro beni (auto, negozi, etc…)?
Esiste la necessità di risolvere, attraverso una via plausibile ed efficace, il contrasto tra legalità e ordine pubblico, che da noi faticano a coincidere.
Perché in Italia tutto quello che avviene all’interno di un’aggregazione umana che invade una piazza, la curva di uno stadio, il binario di una ferrovia, ha una gestione extra codice senza che questo scandalizzi nessuno?
Perché i diritti, o anche i privilegi, di soggetti che aggregati fanno una forza, devono pesare di gran lunga di più degli stessi diritti di un singolo individuo? Il codice non è fa mai una questione di quantità, di forza dei numeri. L’Italia è un paese dove lo Stato quando non è in grado di garantire la legalità si accontenta dell’ordine pubblico.
Di fatto, è una resa. Esistono esempi estremi di resa, basta leggere la nostra storia recente. E questo accade sempre più spesso. La legalità ad intermittenza dovrebbe provocare indignazione, fastidio, ribellione, soprattutto presso quei cittadini che, invece, sono chiamati a fare i conti con la faccia più ferma ed intransigente della legge. Invece tutto evapora in un “si sa che le cose vanno così”, fatalista e rassegnato. E chi continua ad agitarsi è solo qualcuno che non ha capito nulla della vita.
Da un comunicato stampa di lancio delle prime iniziative della Sicilia all’Expo: «A far da apripista per i 180 giorni di attività, unico partner pubblico italiano di EXPO MILANO 2015, saranno le isole di Sicilia (Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Favignana, Levanzo, Marettimo, Ustica, Lipari, Vulcano, Salina, Stromboli, Panarea, Alicudi e Filicudi) che, con una sorta di “james session“, porteranno a Milano prodotti, stili di vita, identità culturali ed attrattive territoriali. Questa modalità intende premiare le peculiarità di ciascun apporto identitario, all’interno di un’armonia condivisa».
Quando si tratta di farci ridere dietro non ci facciamo mancare niente. Ebbene sì, il signor James Session non esiste, non c’è, bisogna farsene una ragione. C’è una tale jam session che, wikipedia alla mano, sarebbe “una riunione (regolare o estemporanea) di musicisti che si ritrovano per una performance musicale senza aver nulla di preordinato, di solito improvvisando su griglie di accordi e temi conosciuti (standard)”. Insomma, siamo allo slang anglo-siculo sui comunicati ufficiali. La superficialità al potere. Ma, anche su questo, nemmeno tanta sorpresa, nemmeno troppa ilarità, perché, in fondo, che vuoi che sia, si sa che da noi funziona così.
Nel frattempo a Bagheria affiorano spontanee e graziose fontanelle sulla superficie delle strade, trasformano il paese in una sorta di installazione di arte contemporanea, arte concettuale, un simbolo, una metafora dal titolo: Facciamo Acqua Da Tutte Le Parti.
Giusi Buttitta
Assuefatti - di Giusi Buttitta
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