Sul ponte sventola bandiera bianca- di Giusi Buttitta

Sul ponte sventola bandiera bianca- di Giusi Buttitta

senza zucchero
Typography

     alt

Premessa - Ogni numero zero merita un’introduzione che chiarisca un po’ da dove si parte, dove si vuole andare e cosa si vuole ottenere. Un pugno di parole e buone intenzioni su Progetto & Costruzione. In genere si fa così, ma non è necessario per questa rubrica, perché SenzaZucchero, non vuole andare da nessuna parte, non ha una missione, vuole solo annotare. Annotare cosa? Fatti, volti, personaggi, frasi, scenari, cancrene, cronicizzazioni, parole, schizofrenie, assenze, vuoti, insensatezze, illogicità, dati di fatto, impotenze, ridicolaggini, mostri e mostruosità, velleità, paradossi che fanno da corredo, contorno e prova testimoniale ad una verità: la speranza è agonizzante. La stiamo perdendo, il battito è flebile e rallentato. This is the end (inevitabile e non casuale citazione di ispirazione morrisoniana).Siamo cittadini di uno Stato senza speranza, l’Italia; di una Regione con ancor meno speranza, la Sicilia; di un paese sull’orlo dell’implosione, Bagheria. Scatole cinesi con vista sulla disperazione. Questa presa d’atto è un’operazione necessaria, per questo torno a tenere una rubrica, un messaggio in bottiglia nel mare del web, per quel che vale; ma cosa ci rimane da fare, se non far circolare le idee? L’effetto placebo di considerare normale e/o transitorio quello che accade rischia di ucciderci, lo sta già facendo e nemmeno tanto lentamente. L’abbinata del Titanic con le danze che non vogliono smettere, coi passeggeri che si ostinano a non prendere atto, è una metafora consunta, ma sempre efficace. Questa rubrica è una maniera per non partecipare al ballo. Non si può più vivere dentro certi modelli, accanto a certe facce, circondati da certe parole, perseguitati da certi slogan. Non si può convivere col vuoto. Oppure, lo si può fare, consapevoli che di questi modelli, di queste facce, di queste parole, di questi slogan, rimarremo avvelenati fino all’irreversibile. Sempre che non si sia già nell’irreversibile. Io penso di sì; attendo, eventuali, segnali contrari. Questo farà questa rubrica, attaccare su un muro tante istantanee (significative e non) spinte dal vento che soffia su un mondo tossico. Ridendoci e piangendoci su, come ogni tragedia merita.

 

ARCHITETTURA - Capita, a volte, di apprendere dei dati che, in quanto tali, non ti sconvolgono certo la vita. In Italia abbiamo circa 250mila laureati in Architettura, di cui, 150mila, iscritti all’albo. Ma, se i dati cominci a raffrontarli ad altri dati inizi a costruirci un puzzle che ti porta da altre parti, ad altre riflessioni. Abbiamo 5 architetti iscritti all’albo ogni 2mila abitanti e rappresentano il 27% degli architetti d'Europa. In rapporto al numero di laureati abbiamo, di fatto, un architetto a Km quadrato; boschi, fiumi, laghi, aree degradate, discariche, quartieri abusivi compresi. In Germania, secondo paese più popolato di architetti, se ne contano poco più di 100mila unità. Il Regno Unito e la Francia, rispettivamente al 5° e 6° posto ne vantano solo 30mila (poco più della somma degli iscritti agli Ordini di Roma e di Milano). Cominciamo a disporre in fila questi numeri come fossero le carte di un mazzo chiamato Italia e aggiungiamoci la carta Sistema Scolastico, poi quella definita Orientamento e, conseguenzialmente, quella triste della Disoccupazione. È ovvio che un Paese che aspira (non si sa bene su quali basi) a rimanere nel Primo Mondo non può non governare i processi. A proposito di processi, una realtà anche peggiore è quella degli avvocati, il triplo della media europea. E fino a qui la situazione è grave, ma ne comprendi le dinamiche, l’assenza di un’efficace politica di orientamento porta ad un sovradimensionamento e a un surplus di figure professionali. Male, ma siccome ogni male non viene per nuocere, allora ti aspetti le ricadute positive, in un Paese così traboccante di competenze architettoniche immagini che una sensibilità urbanistica in senso lato permei trasversalmente gli strati della società civile e gli organismi deputati a governarla. Come si spiegano allora gli scempi, le brutture, gli abissi estetici che ci circondano? In un Paese dove le facoltà di giurisprudenza sfornano laureati a pieno regime immagini una macchina della giustizia che funzioni come un meccanismo perfetto? Allora perché ogni bega giudiziaria, al di là dell’esito e della portata, rappresenta per il malcapitato l’anticamera dell’inferno, anzi, l’inferno, e, di fatto, la vera condanna? Lunga, come nessun’altra condanna. Dietro l’apparenza di un titolo accademico il sistema di istruzione italiano quali competenze reali trasmette? Quando si dice un tema strettamente collegato, forse il più importante, con l’assenza della speranza.

 

SITUAZIONI CHE SI RIPETONO SENZA TEMPO- Il 25 Maggio si voterà a Bagheria. Entusiasmo zero. C’è stanchezza, è palpabile. Il rito si rinnova con tempi troppo ristretti. I candidati, le riunioni, le aspirazioni, le ambizioni, la caccia al voto, le rassicurazioni, l’antivigilia, la vigilia, poi le elezioni, poi gli eletti. E poi? Già, e poi? Il governo, dovrebbe arrivare il momento del governo. Riavvolgiamo il nastro. 5 candidati alla carica di sindaco. 253 candidati al consiglio comunale, tre anni fa erano oltre 500. Il numero si è dimezzato (la politica non paga più come una volta?). In totale 258 uomini e donne certi di poter fornire il loro contributo al governo della comunità. Sdraiamoli, uno per uno, sul lettino dell’analista, questi 258 candidati e chiediamo loro: perché lo fai? La domanda è banale, ma questo non è un gioco. Vi siete guardati allo specchio e vi siete detti “Sì, sono io la persona giusta! Ho capacità, competenze, idee, voglia di innovare, so cosa fare e come lo si deve fare.”; ne siete convinti? Bene, procedete. In ogni altro caso, un consiglio: lasciate stare. Siete ancora in tempo. Ci si ritira, la collettività apprezza il gesto, ringrazia per la presa di coscienza e si va avanti. Perché non c’è più spazio per gestioni di potere, governicchi, spartizioni, nemmeno per politiche occupazionali che si traducono in occupazione della politica, non è più tempo di posti al sole, né di sistemazioni, di strategie private tramite la cosa pubblica. Non è più tempo, la collettività non può tollerarlo. Non è più tempo di teatrini, né di gioco delle parti. È tempo di serietà, si faccia politica, si prometta con molta onestà e trasparenza quello che si è – ragionevolmente - in grado di mantenere e dopo, per favore, niente scuse. Altrimenti, lasciate stare. Perché non ci si può candidare sbandierando ottimismo e poi trincerarsi dietro alla difficoltà oggettiva di governare appellandosi a una serie di motivazioni, anche fondate, che impediscono ogni azione. Il dissesto del bilancio comunale lo conosciamo, le difficoltà le immaginiamo; ritenete di essere in grado di gestire queste difficoltà? Allora, andate avanti. State pensando “intanto, vinciamo le elezioni e poi si vede”? Siete dei dilettanti allo sbaraglio in cerca di un posto al sole? Allora, abbandonate. Non c’è più spazio per voi, non è più il vostro tempo, ci fate del male. Ricordatevi che nessuno vi obbliga, nessuno ve lo chiede, qualsiasi ruolo andrete a ricoprire non avrete scuse. Quindi, o avete competenze, idee, generosità per governare, oppure, affidateci ad un commissariamento senza fine. Di tristi giri di giostra tra parole, sorrisi, idee e volti sempre più sbiaditi, nessuno sembra più averne voglia.

 

ANATOMIA POLITICA- La cosa che più mi incuriosisce della campagna elettorale? Sono le facce dei politici che tappezzano le strade nel periodo che precede (e, purtroppo, segue, a volte a lungo) la competizione elettorale. Quando si dice: partire col piede sbagliato. Non so se provocano più irritazione o tenerezza. Sorvolo sulle perplessità circa l’idea che da questo stantio strumento di propaganda possa passare il vento nuovo della politica, la comunicazione, rimangono, però, le espressioni, le posture (inquietanti; fissi certi sguardi e comprendi cosa possa significare entrare in sala operatoria e accorgersi che al chirurgo mancano due dita della mano destra): il sorriso ostentato dell’ottimista militante, quello accennato di chi sembra capitato lì per caso, la faccia seriosa e riflessiva di chi si è già messo a lavoro, quella quasi gioiosa ripresa con taglio obliquo, quella disarmante di chi tra timidezza e sincerità sembra voglia suggeriti “sì, sì, tutto qui, questa è l’espressione più intelligente che ho”. Pose pensate, pose studiate, volti in superficie come presagi preoccupanti. Speri che le menti, una volta all’opera, siano più profonde degli sguardi. Forse, tutto parte da un equivoco legato all’usurata espressione “occorre metterci la faccia”. Non è in questo senso che bisogna farlo. Proposta: perché non cambiare parte anatomica? Basta con facce che non dicono nulla, passiamo alle mani o ai piedi. Un paese pieno di mani ci darebbe un’idea di operosità. Oppure, rivoluzione totale. Spiazzateci. Nobilitate quella parte anatomica ingiustamente derisa e –a volte - perseguitata, dove anche il sole non si degna di battere, attraverso la quale, storicamente, trovano la via d’ingresso le umane sventure, tallone metaforico senza la dignità di un Achille. Mostrate quella parte sui manifesti, almeno nessuno vi potrà accusare di inespressività, nessuno l’ha mai richiesta ad un fondoschiena, non sarà necessario apparire intelligenti, e, magari, considerando che da troppi anni partendo dalle facce dei politici le dinamiche hanno portato funeste conseguenze sulla stessa parte anatomica, ma degli elettori; vuoi vedere che l’unica possibilità di un’inversione di tendenza possa partire proprio da questa, apparentemente insignificante, svolta espositiva?

 

ANNOTAZIONE- A proposito di assenza di speranza, mentre scrivo il governo nazionale si appresta a varare un ddl sul lavoro che rappresenta un altro passo verso la “cinesizzazione” del mercato del lavoro; il presidente del consiglio, Matteo Renzi, leader del centrosinistra, afferma che il provvedimento rappresenta una perdita di potere per i sindacati (sottolineo, è un’affermazione del leader della sinistra; “Gulp” esclamerebbe un personaggio dei fumetti) e Genny ‘a carogna capo degli ultras napoletani tratta con le istituzioni l’inizio della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina. Un piccolo spaccato ad uso e consumo di chi ci vorrà tacciare di eccesso di catastrofismo.

 

La Frase – Sul ponte sventola bandiera bianca (Franco Battiato) 

alt      alt

vignetta di Gianni Allegra                                                                                                                 Giusi Buttitta